Sono due sculture in bronzo alte circa due metri, risalenti all’età di Pericle, in Atene, tra 460 e 430 a.C. il periodo d’oro della Grecia e della civiltà occidentale; entrambi i bronzi realizzati in questo periodo, a distanza, dicono gli esperti, di una trentina d’anni l’uno dall’altro, da due artisti differenti. Sono esposti nel Museo archeologico di Reggio Calabria.
Grecia antica è la eredità del mondo occidentale, il volano
da cui tutto è partito. Fino ad oggi, ovunque.
L’arte scultorea e pittorica
in Grecia, componente fondamentale della società, aveva come riferimento non l’individuo o il
collezionista bensì la città, cioè l’arte assolveva ad una pubblica e, possiamo
impiegare il termine pertinente allora inventato, democratica istanza, quindi
opere intese per la comunità dei cittadini, a
loro gradimento ed acculturazione. Il tempo, le guerre, le distruzioni,
la disgrazia vuole che di una ricchezza straordinaria è rimasto poco oppure in generale solo
ruderi. Di pittura dell’epoca quasi nulla, di opere scultoree in prevalenza
solo i bassorilievi delle metope cioè le decorazioni sugli architravi dei
templi, famosi quelli del Partenone,
oppure opere scultoree in massima parte di valore sacrale. Nella Grecia
antica la cura del corpo, soprattutto maschile, era una impegnativa attività e
dovere di ogni cittadino; il corpo espressione e simbolo di bellezza e di
perfezione che avvicinava l’essere umano agli dei e perciò numerose le
iniziative di ogni genere di carattere ginnico
ed agonistico. La manifestazione
artistica che più di tutte assolveva a
tale principio celebrativo, la scultura, è totalmente scomparsa, in massima
parte distrutta nel corso del tempo, in particolare quella in bronzo: conosciamo e ammiriamo nei musei le opere
realizzate dai grandi artisti greci solo perché ne conosciamo le repliche e le
riproduzioni eseguite dagli artisti romani nel corso dei secoli: cioè sono
scomparsi gli originali, salvo rarissime eccezioni, e rimaste le copie in marmo
perché enormemente richieste dai nobili romani per le loro abitazioni e ville
sparse nell’impero e continuamente replicate. Delle opere in bronzo, arte in
cui gli artisti greci erano maestri insuperabili, escludendo le statuette che avevano di solito una funzione di ex voto
o di offerta religiosa o le poche rare
opere maggiori di povero significato
artistico, in effetti di opere in bronzo che consentano di ammirare il corpo umano e allo
tesso tempo l’alta qualità artistica greca
sono, incredibile, stando alle
parole del grande archeologo Bianchi Bandinelli, in totale tre
conservate! L’Auriga nel Museo di Delfi, il Giove che lancia fulmini nel Museo di Atene, la
testa di Apollo al British Museum in Inghilterra: il grande studioso allorché
si scoprirono e si iniziarono a restaurare i due bronzi di Riace, di gran lunga al di sopra dei tre, non era più di
questo mondo.
La perfezione assoluta dei corpi e dei lineamenti, dei volti
e delle capigliature, le gambe, il torace, i glutei, la linea della schiena,
perfino la esemplarità del cosiddetto ‘piede greco’: i due bronzi, sono
l’apice e la vetta della bellezza
e dell’armonia: oltre ai bronzi di Riace non vi è nulla di nemmeno lontanamente
atto a richiamare e a documentare la essenza dell’arte e della bellezza nei
principi costitutivi: gran parte di quanto visibile nei musei e gallerie o sono
copie e repliche, come detto, da originali scomparsi oppure, se dell’epoca, non
presentano i requisiti di affidabilità con riferimento alla qualità e/o
all’età. La visione delle due sculture
rappresenta dunque un autentico lavacro
dell’anima per tutti, principalmente la percezione, quasi la scena e
spettacolo, di che cosa sia la bellezza e la perfezione: più che lo specchio, i bronzi di Riace ne
sono il paradigma e la quintessenza.
Vista la gran parte delle espressioni oggi, ovunque nel
pianeta, offerte al pubblico, molte
chiaramente scioccanti e perfino destabilizzanti, la
presenza clamorosa e miracolosa dei bronzi di Riace sarebbe sufficiente
per richiamare all’ordine e al medesimo tempo offrire opportunità differenti. Purtroppo non pare che il significato rivoluzionario dei due bronzi sia
pienamente compreso o dovutamente fatto
conoscere: in effetti nulla o quasi, si sente e vede al fine di facilitarne al
meglio e ai più, la vicinanza e la visione. Dovranno dunque cambiare i tempi.
Pare perfino che l’UNESCO fino ad oggi ne ignori la
presenza!! Si direbbe quasi che interessi di diversa natura ne ottengano e sollecitino la emarginazione o
la scarsa visibilità possibile.
Michele
Santulli