Marco Carta a Fattitaliani: raccontare i sentimenti e la propria verità è l'arma vincente. L'intervista

Fattitaliani

Proprio ieri, venerdì 17 giugno è uscito "Sesso romantico" nuovo singolo di Marco Carta (articolo): una data che per le persone superstiziose è assolutamente vietata per inaugurare o iniziare qualcosa. Inizia da qui la conversazione tra Fattitaliani e Marco Carta, raggiunto al telefono. L'intervista.

"Se fossi stato superstizioso - ci dice - non avrei fatto uscire il singolo proprio in questo giorno tanto particolare. Credo nelle cose reali: se te la devo dire tutta, il 17 giugno di tanti anni fa morì mia mamma, quindi in sé non è neanche una bella data. Ma i ricordi sono ricordi e i numeri sono numeri".
Quanti anni avevi quando è morta tua madre?
Ero piccolo, dieci anni: un'assenza importante.

Il “Sesso romantico” è una cosa difficile da provare come tu stesso hai ammesso. Perché secondo te? È una questione di educazione, cultura, mentalità, abitudini?

Il sesso è un argomento tabù: siamo stati educati in maniera molto "italiana". Secondo me, di sesso si può parlare nel modo giusto, fa bene parlarne: è liberatorio, ci si confronta, con il partner o con un amico, con chi ti va di farlo. Con il mio brano voglio raccontare l'incontro fra il sesso carnale, godereccio con quello romantico: l'uno non esclude l'altro. Se sei innamorato, vuoi fare sesso in una modalità romantica. L'altro sesso, quello carnale, più passionale tende a essere dimenticato e questo è un grande sbaglio. Non c'è infatti cosa più bella di unire il vero amore con il sesso.

Parlavi di tabù, eppure sul web di sesso se ne parla e vede in modo evidente. Secondo te, internet e la facilità di accedere a certi contenuti sessuali rende l’approccio al sesso più facile in senso positivo o negativo?
È un'arma a doppio taglio: un giovane dovrebbe avere la possibilità di capirsi ed esplorarsi attraverso degli strumenti che potrebbero aiutare a identificarsi. Ho saputo che oggi molti giovani sono dipendenti dal porno, cosa che diventa malsana. Tutto dovrebbe avere una misura che forse con internet 24 ore su 24 ore non c'è.

Adesso ti faccio delle domande citando alcuni tuoi titoli. Quando s’inizia un nuovo progetto, qual è in assoluto “La prima cosa da fare”?
Raccontare la verità, essere veri, scrivere qualcosa di autentico. Ma cos'è l'autenticità alla fine? Non è niente di più di quello che noi proviamo moralmente; è vero che qualcuno altro può averlo pensato, ma nessuno lo racconterà come te, perché tu sei tu, sei già autentico: ognuno di noi lo è perché non ha vissuto la vita dell'altro, per forza. Raccontare i sentimenti e la propria verità è l'arma vincente. Per esempio, quando s'interpreta una canzone se ne capiscono le vere intenzioni: secondo me, la chiave, la prima cosa da fare è essere sinceri.

Il singolo arriva un anno dopo “Mala suerte”. Che Marco Carta sei oggi a distanza di un anno appunto e dopo aver attraversato un periodo difficile?
Il Marco Carta di sempre. Certo: cambiamo, ci evolviamo, cambiamo idea su qualcosa, ma oggi mi sento molto sereno. Quando le persone mi chiedevano "Tu, sei gay o bisessuale?" non sapevo come rispondere perché mi stupivo che mi stessero facendo questa domanda, non ne capivo il senso. Ecco, adesso mi sento libero perché la gente sa. E poi io non mi identifico come gusto sessuale, io mi identifico come persona, cosa che molti non capiscono: non vedo l'urgenza di far sapere quello che faccio sotto le lenzuola.


A proposito di “Suerte”, che concezione hai della Fortuna? Te la sei cercata o ti è venuta addosso? Le sei andato incontro, l’hai persa e poi recuperata?

Bellissima domanda. Credo nel destino, un altro modo per chiamarla. Credo di averne avuto tanta, credo di averne avuta poca: certo la fortuna gioca, il destino è beffardo perché va va e viene dalla tua vita e non ci si accorge. Certamente la fortuna va cercata: non puoi vincere all'Enalotto se non giochi

In questi anni di carriera e periodi di pausa, adesso sei ben consapevole di “Come il mondo” discografico gira e funziona?
Sì, sicuramente. Penso ci siano diversi mondi discografici, come delle squadre e fazioni. C'è chi pensa solo al business e ad arricchirsi facendo numeri, e c'è chi -pur guadagnandoci- mette alla base di tutto un progetto artistico consapevole e che si porta avanti perché ci si crede. Questa seconda categoria è rara ma esiste ancora, come nel caso del mio progetto che stiamo portando avanti.

Cantare è sempre liberatorio e positivo “Anche quando” non ti andrebbe o non hai lo spirito giusto?
Cantare per me è sempre cantare anche quando non ho lo spirito giusto, anche quando sono triste. Si pensa che sia una cosa che si fa quando si è allegri o che renda allegri. E invece no. Cantare è molto di più: la musica è la propria amica, la propria compagna e forse quando si è tristi che bisogna farlo: perché la musica malinconica, quella vera, viene tutta fuori.

Chi ti ha incoraggiato nella tua “Splendida ostinazione” di perseguire la carriera di cantante?
Io ero piccolo quando ho cominciato a cantare, mi sarebbe piaciuto fare questo lavoro ma non credevo di avere le doti e la possibilità. Un giorno mia zia Veronica mi ha sentito cantare e mi ha detto che avevo una voce bellissima e che nella vita dovevo cantare: è come se mi avesse letto nel pensiero. Era quello che volevo fare ma la vedevo come una cosa troppo grande. Il suo incoraggiamento è stato decisivo.

Guardi spesso il cielo? Quando osservi le “Stelle” pensi a qualcosa o a qualcuno in particolare o ti limiti ad osservare lo spettacolo naturale?
Sono estremamente affascinato dalle stelle, dai pianeti, dai corpi celesti. Mi affascina da morire pensare che quella luce che ammiriamo probabilmente non esiste più, è solo un viaggio nel tempo arrivato fino a noi. Quella stella è morta, ma continua a viaggiare nella luce e nel tempo per noi e per chi è ancora più lontano. Rimango estasiato quando guardo il cielo, soprattutto quando vado via da Milano, dove le stelle non si vedono. L'altro ieri c'era la luna piena e la guardavo estasiato.

Tu cantavi “Tu sarai La forza mia”… Oggi, hai trovato in te stesso la chiave di appoggio, la forza interiore per andare avanti anche da solo?
Direi di sì, l'ho trovata e sono consapevole che il primo mio migliore amico sono io; bisogna riuscire ad amarsi facendo tanta autoanalisi. Vivere da soli per me non sarebbe possibile totalmente, ma la stare da soli è importante anche per ascoltarsi e io ho imparato a farlo. In certi periodi passo parecchio tempo da solo, ho trovato un mio equilibrio: non ho per forza bisogno di uscire tutte le sere, stare al cellulare per parlare, parlare, parlare... Bisogna farlo quando c'è veramente qualcosa da dire, ma se parli sempre non hai tempo di pensare.

Hai vinto Sanremo 2009. Hai seguito ultimamente il Festival? Chi ti è piaciuto?
I primi due posti li ho trovati molto belli: Mahmood-Blanco ed Elisa sono stati bravissimi. Se devo sceglierne una, Elisa non si smentisce mai, è una performer dotatissima, eccezionale.


Tanti giovani emergono ogni anno, la concorrenza si fa sempre più forte e diventa più arduo restare a galla. Le case discografiche puntano su un nome nuovo finché dura oppure coltivano i propri talenti senza abbandonarli?

Generalmente non c'è voglia di coltivare, è molto difficile perché come hai detto comunque adesso ci sono tanti giovani che emergono: molti giovani non hanno il tempo e la fortuna come me di affermarsi realmente. Mi spiace per loro. Giovanni Zambito.


Fattitaliani

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