Reel Tape presentano “Fake bloom”, un singolo che racconta la storia di Murray Bookchin. L'intervista di Fattitaliani

“Fake bloom” è il nuovo singolo dei Reel Tape. Il brano è estratto da “Fences”, un album dedicato interamente alle barriere e ai confini, non solo fisici e politici, ma anche sociali e mentali. Come da una sorta di alfabeto caotico e sconclusionato, i Reel Tape estraggono campioni video e audio per creare un’istantanea (s)oggettiva degli eventi che sconvolgono la nostra quotidianità. L'eco delle sensazioni, inquietudini ed esperienze personali, viene impresso ed assorbito nella trama emotiva delle musiche e dei testi. Le dodici tracce hanno uno stile eterogeneo, accostando sonorità post-rock a influenze elettroniche e psichedeliche, e includendo lingue differenti per testi e campioni scelte in base alle loro possibilità espressive e sonore.

Abbiamo intervistato la band per saperne di più sul nuovo singolo e video.

Parliamo del vostro nuovo singolo. Com’è nato? Cosa rappresenta per voi?

È un brano nato dalla sensazione di distacco e sradicamento dalla natura, dall'impotenza di fronte alle conseguenze del rapporto distorto tra uomo e pianeta, e dall’energia delle folle di ragazzi scesi in piazza per la crisi climatica.

Nella ritmica serrata del brano abbiamo inserito la voce di Murray Bookchin, filosofo e attivista fondatore dell’ecologia sociale, che ci ricorda l’assurdo tentativo dell’uomo di dominare la natura, che inevitabilmente si scontra con la limitatezza delle risorse e con la crescente minaccia del climate change. Nel testo risuona l’eco della frustrazione e dell’angoscia per un equilibrio che appare ormai destinato a spezzarsi.

Per noi il brano è particolarmente importante, per il messaggio e le atmosfere alt-rock che trasmette, ma soprattuto come primo singolo di Fences, un album interamente dedicato alle barriere e ai confini, tema declinato in 12 modi diversi: da quelli fisici e politici di “Brexit” e “The Fence” (sul muro Messico-USA), allo sradicamento tra uomo e natura in “Fake Bloom”, alle barriere architettoniche di H-Play, a quelle psichiche in NOF4 e in Stronghold (sul fenomeno Hikikomori), all’incomunicabilità tra le persone, alle barriere sociali e esistenziali. Per affrontare questi temi abbiamo usato lo strumento dei campioni vocali, estratti presi dalla realtà e dall’attualità e inseriti nei brani.

I testi sono nati di conseguenza, come una trama emotiva che riflette l'eco delle sensazioni, inquietudini e suggestioni impresse dai campioni stessi.

Abbiamo anche cercato di armonizzare sonorità diverse, tra alt-rock ed elettronica, tra atmosfere rarefatte e suoni ambientali, e in questo senso le 12 tracce suonano molto varie ed eterogenee, con qualche sorpresa...

Ma “Fences” vuole essere anzitutto un album sull’osservazione della realtà, e sulla necessità di cambiarla radicalmente. Per questo l’intro strumentale, 10.000 miles away, con i samples di Armstrong e Gagarin, è una sorta di sguardo distaccato che dallo spazio si avvicina progressivamente alla Terra, mettendola a fuoco senza le divisioni prodotte dall’uomo.

A quale idea si ispira il videoclip?

Con questo video, autoprodotto ma pubblicato con Black Candy Produzioni., volevamo provare appunto a descrivere la sensazione di straniamento e preoccupazione di fronte alla minaccia del cambiamento climatico, e per farlo cercavamo un luogo surreale, delle immagini potenti e inquietanti.

La ricerca ci ha portati alla base NATO abbandonata del Monte Giogo: è servito un viaggio lungo e complicato per raggiungerla e ci siamo presi qualche rischio per effettuare le riprese, ma crediamo ne sia valsa la pena. Queste immagini si alternano a esperimenti pseudo-scientifici strampalati che abbiamo girato, non senza un pizzico di ironia, per evocare la manipolazione a volte insensata nei confronti della natura, e a disastri naturali veri o evocati.

Le riprese della ex base Nato a 1500m sono state girate a settembre, e certamente non pensavamo che queste immagini sarebbero risultate ancora più inquietanti, quasi sinistramente profetiche, di fronte alla guerra in corso e alle nuove drammatiche tensioni geopolitiche fra blocchi contrapposti.

Quali sono le vostre influenze musicali?

I nostri singoli background musicali sono in parte diversi, ognuno arriva da esperienze musicali in generi differenti, e questa è un po’ la forza dell’album: mi viene a mente la metafora del tendone da circo, in cui ognuno tira in una direzione diversa e questo sforzo apparentemente disarticolato permette però poi di alzare il tendone... In parte noi funzioniamo proprio così, poi sicuramente c’è un background musicale comune, dai Public Service Broadcasting, ai REM, ai Radiohead, e ancora Smashing Pumpkins, Mogwai, David Bowie, Kurt Vile, Suede, Cocteau Twins, The Horrors e molti altri.

Chi ascolterà “Fences”, su tutte le principali piattaforme digitali, si accorgerà che si tratta di un lavoro eterogeneo che passa attraverso atmosfere e persino generi differenti, a volte anche all’interno dello stesso brano, e una babele di lingue diverse, fra testi e campioni, tra inglese, italiano, giapponese, spagnolo, islandese ecc...

Come e quando è iniziata la vostra passione per la musica?

Ognuno di noi proviene da percorsi musicali differenti, tutti avevamo già esperienze in varie band locali, non necessariamente dello stesso genere, e questa eterogeneità si è poi riflessa anche nei brani dell’album, che oscillano tra post-rock, alternative, funky, dream-pop e psichedelia. Per tutti noi oltre che una passione, la musica è anche una necessità espressiva e comunicativa.

Il progetto è iniziato nel 2017 dall’idea di tre amici, Lorenzo Franci - tornato a Firenze dopo anni a Londra - Lorenzo Cecchi e Lorenzo Nofroni, di provare a ibridare le proprie influenze musicali con lo strumento espressivo dei campioni vocali, dopo aver assistito ad un folgorante concerto dei Public Service Broadcasting.

Da questo il nome del gruppo, che fa riferimento al cutting & splicing delle bobine a nastro cinematografiche. Hanno poi completato il gruppo pochi mesi dopo il batterista bolognese Lorenzo Guenzi e il cantante Alessandro Lattughini, originario di La Spezia.

Con quale artista vi piacerebbe collaborare e perché?

Il pensiero va naturalmente ai Public Service Broadcasting che sono stati una fonte di ispirazione importantissima, in particolare per l’uso particolare dei samples vocali. Ma ci sono molti artisti interessanti anche in Italia, alcuni che purtroppo restano più o meno confinati nell’underground.

Una band di grande valore ad esempio sono gli Handlogic, che in un paio di occasioni live mi hanno veramente impressionato.

Progetti futuri?

In questo momento, dopo un periodo sicuramente difficile in cui le possibilità di suonare live si sono clamorosamente ristrette – e le poche parevano riservate ai gruppi cover -, iniziamo finalmente a programmare dei live, di cui potrete presto essere informati seguendoci sui canali social (Facebook, Instagram e Twitter) ; nel frattempo continuiamo anche a lavorare a nuovi brani, con un approccio ancora differente, stavolta cercando di usare lo strumento delle campionature in modo più “sonoro” e meno verbale. Non vediamo l’ora di rientrare in studio a registrare nuovo materiale, ma intanto ci godiamo “Fences”, un lavoro che è stato anche faticoso (con il mix e master realizzati in remoto durante il lockdown 2020) ma che ci soddisfa molto.

 

Fattitaliani

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