Intervista alla vulcanica Ivana Manferdelli: Le mie storie nascono da fatti quotidiani, momenti qualsiasi, esperienze

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di Laura Gorini - Scrivere è incrociare le parole, si allineano, si raggruppano, si sostituiscono, a un incrocio si sceglie la direzione e si continua il viaggio. 

E' decisamente una donna che non ama starsene con le mani in mano la simpatica e vulcanica Ivana Manferdelli. Dopo aver dato alle stampe svariati  libri per bambini e una silloge poetica, eccola pronta a raccontarci di Fuori Tempo, la sua nuova raccolta di racconti, tutta da leggere e da scoprire!

Ivana, hai scelto di intitolare la tua raccolta di racconti, fresca  di stampa, Fuori Tempo che è anche il titolo di un racconto contenuto in essa. Tu quando ti sei sentita tale?

Sì, Fuori Tempo è anche il titolo di un racconto che contiene brevi storie in cui il tempo ha ruoli e valenze diverse: c’è un tempo sprecato da recuperare, c’è un tempo di dolorosa attesa, c’è un  tempo che non viene avvertito e c’è un tempo finalmente alleggerito dagli affanni. Tante sfaccettature, anche sentirsi fuori tempo può essere disagio, benessere, o altro. Certamente mi è capitato - e mi capita - di sentirmi tale. Penso a quando (ahi, tipico degli anziani) rimpiango un’epoca in cui non c’erano i social, le app da scaricare, le password di autenticazione. Per trovare invece un’accezione positiva mi viene in mente il dormiveglia, quel tempo magico tra sonno e risveglio in cui si è consapevoli di sognare e inconsapevoli della realtà, o forse  si è consci della realtà ma si è liberi di modificarla. Le rare volte che ricordo il mio dormiveglia mi stupisco per la disinvoltura con cui l’assurdo si impossessa del reale: persone, dettagli, situazioni esistenti o esistite inserite in situazioni paradossali. Per me il dormiveglia è un sentirsi fuori tempo che dà serenità.

Alcune storie sono ambientate poco prima dell'arrivo della pandemia. Sono forse nate in quel periodo?

Le storie che racconto nascono da fatti quotidiani, momenti qualsiasi, esperienze che stanno lì buone buone poi magari diventano racconti o magari no. Le storie c’erano già prima della pandemia, il lockdown ha fatto da artefice, mi ha lanciato un foglio bianco e mi ha detto “usalo” (il foglio è simbolico visto che utilizzo la videoscrittura). In isolamento dentro casa ho scritto e ho messo mano a cose  scritte prima. Non potendo d’altronde ignorare ciò che aleggiava nell’aria -  pardon, che pesava come un  macigno - la pandemia è entrata con prepotenza in un paio di racconti. In altri non è entrata  ma si è fatta sentire scalpitando da fuori.

La scrittura quanto ti è servita a stare meglio anche durante la clausura?

Guardandomi indietro posso dire la scrittura mi è stata utile, mi sono divertita, mi ci sono buttata, mi sono lasciata prendere. Come quando ci si accanisce con le carte da gioco o con le parole crociate. Da passatempi diventano sfide. A proposito di “parole crociate” trovo che si associno bene con “scrittura”, ancora meglio “incroci di parole”. Scrivere è  incrociare le parole, si allineano, si raggruppano, si sostituiscono, a un incrocio si sceglie la direzione e si continua il viaggio. Forse mi piace scrivere perché mi piace viaggiare.

Sei una brava narratrice. Quel che racconti non è mai banale o scontato, talora ha anche del poetico. È dovuto alla tua grande sensibilità di fondo?

Grazie, è un bel complimento, non so se lo merito, dire se sono una brava narratrice o meno sta a chi legge. Esclusi però conoscenti e amici: prima di tutto perché sarebbero troppo buoni (i cattivi passano nelle file dei nemici), poi perché leggendomi sarebbero influenzati da ciò che già sanno di me. Un racconto invece deve stare in piedi e camminare da solo. Circa la sensibilità di fondo è senz’altro una mia condizione di partenza dato che la maggior parte di questi brevi racconti sono memoir o auto-fiction,  sono emozioni che racconto con cognizione di causa.


Non manca poi nei tuoi racconti l'utilizzo intelligente dell'ironia. Ami utilizzarla anche nella vita?

L’ironia è un ponte che aiuta a raggiungere più agevolmente un obiettivo. Per raccontare una vicenda che passa per qualcosa di fastidioso o di imbarazzante, quando arrivo al tabù sposto il punto di osservazione. Visti dall’esterno imbarazzo e  fastidio fanno ridere o sorridere, alias sono neutralizzati. Oppure esagero in modo lampante il punto critico per  confondere o eliminare il solco tra vero e inventato: tutto è detto e tutto è scherzo, tutto è autentico e niente ferisce. Si, in certi limiti credo di utilizzare l’ironia e l’autoironia anche nella vita. Dopotutto, è l’arma degli insicuri e dei timidi.

Quando secondo te l’ironia sfocia in satira?

Secondo me la satira è una evoluzione raffinata dell’ironia ma bisogna essere bravi per evolvere. Io rinuncio. In un film preferisco la comicità suggerita alle battute grasse o a raffica, allo stesso modo l’ironia, o l’autoironia, secondo me consegnano una comicità evocata, più rispettosa e più discreta.

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