Nasce 500 anni fa a Venezia il primo ghetto d’Europa: da segregazione a punto di riferimento internazionale

Era il 29 marzo 1516 quando la Repubblica Serenissima decretò il trasferimento, in laguna, di circa settecento ebrei di origine tedesca e italiana, in un’area isolata della città, già sede di una fonderia. Una zona malsana, vicina alle carceri e al convento di San Girolamo. Nacque così il primo ghetto della storia d’Europa: il ghetto di Venezia. Un luogo affascinante, il cui skyline verticale conserva storie di famiglie stipate in case insolitamente troppo alte per Venezia, che giungono anche ai nove piani. Un luogo chiuso da cancelli, di segregazione, dove si poteva crescere solo in altezza. Nei suoi 1600 anni di storia, Venezia celebra in questi giorni il ricordo degli ebrei deportati nei lager e lo fa attraverso decine di iniziative e posizionando sui suoi tradizionali masegni 30 pietre d’inciampo (che si aggiungono alle 105 già posate), a perenne memoria di ciò che è stato e che non dovrà mai più ripetersi.     

Furono quasi 250 gli ebrei veneziani, uomini e donne, tra i due mesi e gli ottantanove anni, catturati e deportati tra il 1943 e il 1944. Molti altri trovarono rifugio, in clandestinità, nelle campagne venete, in Svizzera, fuggendo al sud verso gli alleati. Una guerra che lasciò il segno nell’antico Ghetto di Venezia, che non solo si spopolò di abitanti ma che vide anche il depauperamento della comunità religiosa. 

“Quando entrarono in vigore le leggi razziali, nel 1938, la comunità ebraica entrò nel panico – racconta Daniel Touitou, rabbino capo della comunità ebraica di Venezia da due anni – c’è chi scelse di scappare, chi di cercare di sfuggire in Svizzera, chi nelle campagne veneziane. Si calcola che prima della guerra ci fossero in città 1200/1300 ebrei, mentre dopo la guerra la comunità ripartì con un numero pari a 700 ebrei. La nuova comunità era caratterizzata da persone segnate dagli eventi della guerra, traumatizzate”. 

A Venezia gli ebrei giunsero verso gli inizi del Mille, diventando a poco a poco un nucleo considerevole. Avvertendo la necessità di controllarli, il governo della Repubblica, con decreto del 29 marzo 1516, stabilì che questi dovessero abitare tutti in una sola zona della città, nell’area dove anticamente erano situate le fonderie, “geti” in veneziano; inoltre stabilì che dovessero portare un segno di identificazione (un cerchio giallo sul mantello, poi trasformato in un berretto giallo e, dal 1500, rosso) e li obbligò a gestire banchi di pegno a tassi stabiliti dalla Serenissima, nonché a sottostare a molte altre gravose regole, come l’aumento degli affitti di un terzo, per avere in cambio libertà di culto e protezione in caso di guerra. Il Ghetto veniva chiuso con pesanti cancelli ai ponti sul rio di San Girolamo e sul rio del Ghetto durante la notte, mentre dei guardiani percorrevano in barca i canali circostanti per impedire eventuali sortite notturne.

“Cecil Roth, importantissimo storico ebreo inglese, dice che l’ebraismo a Venezia esisteva da 800 anni e a prova di ciò ci sono delle tombe nel cimitero ebraico del Lido che risalgono a 800 anni fa – spiega Touitou – A quel tempo la comunità viveva ancora a Mestre perché era proibito l’insediamento di ebrei a Venezia. Venezia non voleva gli ebrei e non li volle per molti secoli. Con la nascita del ghetto, 500 anni fa, si formarono dei nuclei organizzati da due comunità, quella tedesca – giunta in Italia per scappare dalla peste nera – e quella italiana, mentre nel 1601 nasce la comunità portoghese fondata da Daniel Rodriga. Queste comunità sono rappresentate dalle due sinagoghe: la spagnola e la levantina. Così nacquero e si formarono vari nuclei e, nel momento di massimo splendore, si calcola che vivessero nel ghetto circa 6 mila persone, un numero enorme per questo spazio. A quel tempo, questa era senza dubbio una delle più grandi comunità ebraiche”. Il Ghetto era una città nella città: oltre ai luoghi di studio e di preghiera, si trovavano un teatro, un’accademia di musica, cenacoli, salotti letterari e ogni sorta di botteghe, un albergo con 24 stanze, una locanda e un ospedale. 

“La Serenissima era una Repubblica di commercianti e gli ebrei erano interessanti perché pagavano molte tasse – continua il rabbino – le case del ghetto affittate per legge agli ebrei avevano, per gli ebrei, un costo pari al 30% in più. Gli ebrei spagnoli pagavano dieci mila ducati l’anno. Possiamo dire che gli ebrei fossero il bancomat della Serenissima. Poi, alla fine del 1800 c’è stata una grave crisi finanziaria e gli ebrei non erano più in grado di pagare tutte queste tasse, sicché dovettero cambiare in parte politica. La comunità ebraica di Venezia ha prodotto grandi personalità, grandi rabbini, grandi letterati, grandi medici. Alcune persone importanti del Risorgimento veneziano sono ebree ma poi, con la soppressione dei ghetti, la comunità ebraica si è innervata nella città allontanandosi dal suo quartiere storico, partecipando ad un processo di emancipazione politica e sociale che in alcuni casi ha causato l’allontanamento dalla pratica ebraica. Certo, l’’idea di un ghetto è brutta, tuttavia questo posto è stato centrale per la popolazione ebraica, soprattutto tra il 1500 e il 1600”. 

Oggi a Venezia vivono 420 ebrei. “Soffriamo del calo demografico, del fatto che molte persone lasciano la città perché non trovano lavoro – conclude – La comunità in 20 anni ha perso 200-300 persone, un dato molto preoccupante.  Il nostro obiettivo futuro è quello di portare nuove coppie e nuovi bambini qui”.

Fattitaliani

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