di Andrea Giostra - La “Vucciria” di Renato Guttuso è un’opera realizzata nel 1974 che raffigura il millenario mercato di Palermo che si trova a pochi passi dai “Quattro Canti”, biforcazione nei Quattro storici Mandamenti della Palermo dentro le Mura. L’opera è stata realizzata con olio su tela ed ha una dimensione di 300 x 300 cm. L’immagine raffigura un angolo del mercato della Vucciria. Le bancarelle di questo mercato – che da una quindicina d’anni ha assunto una diversa connotazione commerciale e sociale - sono distribuite in un ampio spazio delimitato da via Roma, La Cala, il Cassaro, via Cassari, piazza del Garraffello, via Argenteria nuova, piazza Caracciolo e via Maccheronai.
Il
termine “vucciria” deriva dal francese “boucherie” che si significa
“macelleria”. Durante l’epoca angioina (1266-1282), infatti, nel luogo si
trovava un macello con le attività di vendita. In seguito il mercato è stato ampliato
e ha assunto il nome di “Vucciria” che in palermitano significa “Chiasso,
Casino, Voci che si sovrappongono delle quali non si capisce il significato,
Confusione…”.
Oggi
l’opera donata da Renato Guttuso all’Università degli Studi di Palermo si trova
a Palazzo Chiaramonte-Steri, sede del Rettorato dell’Università allocato nella
meravigliosa Piazza Marina a due passi dal mare.
La
Vucciria è probabilmente il dipinto più conosciuto dell’artista di
Bagheria. Renato Guttuso è da considerare uno degli artisti italiani più
significativi del Novecento. La “Vucciria” è ritenuta dagli storici e dai
critici dell’arte un’opera simbolo della Palermo e dell’Italia di allora. Il
dipinto, dal 2004, è posizionato nella parete centrale della Sala delle
Armi che, per esaltare l’opera, è stata dipinta di nero.
NUOVO
ALLESTIMENTO:
Di
recente è stato realizzato un nuovo allestimento finalizzato ad accrescere
l’apprezzamento dell’opera e esaltarne i pregi e la potenza artistica.
È
stata scelta una soluzione cromatica che, ad un primo impatto, appare
interessante e convincente: sia l’opera che l’atmosfera ne beneficiano. Sulle
altre pareti sono stati fissati diversi apparati per proiezioni di video che
raccontano la storia della “Vucciria” di Guttuso.
Ma
detto questo, l’aspetto che non convince affatto riguarda l’allestimento
multimediale e il gioco di luci proiettati sull’opera. Nella Sala delle Armi un
potente impianto stereofonico trasmette senza soluzione di continuità il
vocitare delle gente che popola il mercato e le “abbanniate” dei
venditori. Un’illuminazione dinamica proiettata sull’opera ne mette in evidenza,
in successione programmata, alcuni dettagli che sottraggono al visitatore la
visione “del tutto”, costringendolo a focalizzare “parti”
e lasciandolo per qualche secondo “all’oscuro” di altre. Questo
si ripete a cadenze regolari di pochi secondi.
Lo
straordinario risultato di questa soluzione di allestimento è che diventa impossibile
per il visitatore concentrarsi sulla “Vucciria” di Renato Guttuso perché
catturato e distratto dalla inopportuna “neo-vucciria” artificiale creata
da chi ha progettato ed approvato il nuovo allestimento.
RENATO GUTTUSO ALLA VUCCIRIA, foto di Franco Scafidi |
L’OPERA:
Renato
Guttuso, Vucciria, 1974, olio su tela, 300 x 300 cm. Palermo, Palazzo Steri
APPROFONDIMENTI
Palazzo
Steri Chiaramonte e i Graffiti dell’Orrore:
“I Graffiti dell’orrore di Palazzo Steri-Chiaramonte, sede
dell’inquisizione siciliana” | di Andrea Giostra
I Graffiti di Palazzo Steri-Chiaramonte di
piazza Marina a Palermo hanno dell’inquietante, dello spettrale, del doloroso,
trasudano di disperazione e di funereo, di mortificazione e di abbandono, di
violenza e di prepotenza.
La prima volta che li vidi, alcuni anni fa,
fui accompagnato dall’allora Rettore dell’Università degli Studi di Palermo,
Roberto Lagalla, che, come un esperto Cicerone, m’illustrò e mi raccontò le
storie che i ricercatori dell’università avevano ricostruito utilizzando
antichissimi documenti e sperdute tracce lasciate dalle vittime del cinico e
crudele potere religioso di allora. Ricordo che sentii brividi e terrore
attraversarmi il corpo, ma al contempo, mi assalì una profonda curiosità di
conoscere quelle storie, quegli uomini e quelle donne, che mi costrinse ad
ascoltare con voracità i racconti e le parole del Rettore.
Fu nel 1603 che l’architetto spagnolo Diego
Sanches venne incaricato dall’Inquisizione di progettare un edificio per
ampliare le prigioni dello Steri, già sede del Sant’Uffizio in Sicilia dal 23
luglio 1601 al 27 marzo 1782. Questo rimane il primo esempio di edilizia
carceraria a Palermo, completato in due momenti: la prima parte, quella del
piano terra, nel 1605, dove furono ricavate otto celle, dopo qualche
anno vennero realizzate altre sei celle nel primo piano. Terminata l’Inquisizione,
lo Steri fu destinato ad Archivio della Reale Cancelleria e del Tribunale
Civile, per poi essere destinato, agli inizi del Novecento, ad Archivio del
Tribunale Penale. Nel 1957 il Tribunale venne trasferito nell’attuale sede di
piazza Vittorio Emanuele Orlando, e il carcere venne lasciato in uno stato di
totale abbandono. Solo nel 2005 iniziarono i complessi e lunghi lavori
di recupero e di restauro.
Giuseppe Pitrè (1841-1916),
famosissimo etnografo palermitano, fu colui che tra il 1906 e il 1907, dopo
aver scavato per oltre sei mesi negli intonaci che avevano coperto tutte le
possibili tracce, scoprì i Graffiti dello Steri. «Linee sovrapposte a linee, disegni a disegni davano l’idea di una gara
di sfaccendati ed erano sfoghi di sofferenza», scrisse nei suoi appunti
durante la scoperta il Pitrè, che battezzò quelle incisioni a parete, “palinsesti del carcere”. Dopo di
allora, le prigioni furono chiuse e nessuno se ne occupò più per moltissimi
anni, fino al recente restauro iniziato nel 2005, e alla successiva fruizione
turistica iniziata circa dieci anni fa.
Leonardo Sciascia (1921-1989),
impressionato dalle segrete e dalle malefatte che immaginò strazianti “urla senza suono”, ci scrisse un
racconto, “Morte dell’Inquisitore”,
pubblicato nel 1964, ambientato proprio a Palazzo Steri, che narra di Fra Diego La Matina.
Il grande fotografo Ferdinando Scianna (1943), all’inizio degli anni Ottanta, ricevette
segretamente l’incarico di realizzare un reportage fotografico proprio da
Leonardo Sciascia, per dare testimonianza dei graffiti alla luce allora. Le
foto di Scianna dimostrarono l’abbandono e l’incuria in cui Palermo aveva
lasciato quelle preziose testimonianze di vite e di storia siciliana.
I ricercatori hanno stimato che il più antico
dei graffiti, datato 1632, è a firma di Battista Gradu e Thomasi
Rizzo, ambedue di Messina. Le scritte sono in siciliano, latino, inglese,
arabo-giudaico. Il più drammatico ricorda l’incipit del Canto III di Dante
all’ingresso dell’Inferno, «Nisciti di
speranza vui ch'intrati». Il più ironico recita così, «Allegramenti o carcerati, ch' quannu chiovi a buona banna siti.»
(Rallegratevi o’ carcerati, perché quando pioverà sarete in un buon posto
riparato). Molto interessante è il graffito del giovane pescatore Francesco Mannarino, rapito in mare e
venduto ad un Ra’is, finendo come
mozzo di una nave corsara. Durante i tre mesi di prigionia allo Steri,
Mannarino incise magnificamente la battaglia di Lepanto del 1571, che ricostruì
grazie ai racconti dei suoi compagni di navigazione. La maggior parte dei
graffiti gronda dolore, rabbia, pentimento, devozione a Dio, alla Patrona di
Palermo, La Santuzza, Santa Rosalia,
e poi alla Madonna, ai tanti santi. Riportiamo fedelmente alcune delle scritte
incise: «Poco patire, eterno godere, poco
godere eterno patire»; «Maledetto è l'uomo iniquo e rio che confidasi in uom e
non in Dio»; «Pochi giungono al ciel, stretta è la via»; «Santa Rosalia che hai
salvato Palermo dalla peste salva anche me». Le incisioni raffigurano per
lo più il Cristo, la Madonna, i santi, gli angeli e i diavoli, mappe della
Sicilia e di paesi conosciuti, date e simboli; sono tante e tutte
straordinariamente impressionanti e molto belle. Sono tutti graffiti di
condannati a morte dall’Inquisizione siciliana. Prigionieri che sapevano bene
di non avere più alcuna possibilità di uscire vivi da quella terribile
prigionia. L’unica speranza, per chi credeva in Dio, era quella di liberarsi
con la morte da quelle torture, da quella prigionia, e trovare pace
nell’aldilà.
Le prigioni si trovano all’interno del
sontuoso e poderoso Palazzo Steri, già sede dell’Inquisizione siciliana, ma che
fu anche residenza della potentissima famiglia siciliana dei Chiaramonte, oltre
ad essere stata sede dei viceré di Sicilia nell’età degli Asburgo, e in
successione, della dogana, degli uffici giudiziari del tempo.
Le prigioni, o “segrete”, come si
chiamano tecnicamente, dopo quasi cento anni di oblio, sono tornate alla luce
con tutte le loro verità. Il restauro fu affidato all’“Opificio delle Pietre Dure di Firenze”, che fece un lavoro di
recupero certosino e di altissimo pregio, tenuto conto che l’allora viceré
Caracciolo diede alle fiamme gli archivi dell’Inquisizione per cancellare
qualsiasi traccia dei soprusi, delle violenze, degli orrori delle segrete di
Palazzo Steri.
Le prigioni furono attive dal 1623 al 1782,
per quasi cento sessanta anni, un periodo infinito, il periodo più feroce e
violento della storia della Sicilia. Furono i seguaci del potentissimo Inquisitore Torquemada a compiere
quegli atti terribili, il più delle volte per spogliare di tutti i beni
materiali le vittime predestinate, che spesso non avevano commesso alcuna colpa
se non il loro potere e le loro ricchezze. Furono 188 le vittime che
resistettero alle torture e a non confessarono i loro peccati, che furono arsi
al rogo nel corso di quelli che erano vere e proprie feste di piazza, le
cosiddette “Auto da fé”. L’allora
potente macchina del Sant'Uffizio,
che disponeva di oltre 25 mila fidatissime aguzzini, era davvero lucifera.
Palazzo
Steri-Chiaramonte si trova nel famoso quartiere della Kalsa, in prossimità del
porto storico della città, conosciuto ai siciliani più colti, anche come “Mandamento
dei Tribunali”. Durante il periodo della dominazione araba, la Kalsa, o “al Khalisa” (L’Eletta), era il
quartiere più importante. I re di Spagna stabilirono in questo Palazzo la sede
del Tribunale dell’Inquisizione.
Palazzo
Steri sta per “Hosterium”, ovvero,
Palazzo Fortificato, abbreviato in dialetto siciliano con “Osterio”. La costruzione ebbe inizio nel 1307 ad opera del
potente e ricchissimo Conte Manfredi Chiaramonte, proprietario dell’immenso
Feudo di Modica, detto anche “Regnum in
Regno”, che godeva di grandi e tali privilegi che gli aragonesi dovevano
chiedere il suo permesso per alloggiare a Palermo, preferendo risiedere a
Catania o a Messina per l’intero anno. La potenza dei Chiaramonte si concluse
nel 1392 con l’uccisione in pubblica piazza dell’ultimo dei discendenti,
Andrea Chiaramonte, e con la confisca di tutti i beni di famiglia che passarono
alla Casa Reale. Dal 1468 al 1517 il Palazzo fu la dimora dei sovrani
aragonesi, poi dei viceré spagnoli, per diventare infine sede
dell’Inquisizione. Piazza Marina divenne il luogo preferito dove eseguire i
roghi e le esecuzioni dei condannati a morte. L’Inquisizione venne
definitivamente abolita il 27 marzo 1782, e, come abbiamo già scritto,
tutte le macchine di tortura e i documenti dei sommari processi, dati alle
fiamme dal viceré Caracciolo.
INFO E CONTATTI:
Piazza Marina 59 – 9134 Palermo
+39 091 238 93788
+39 091 238 96775
Visite:
Complesso Monumentale Steri
Ingresso a pagamento
Accessibile a persone con mobilità ridotta
Orari di apertura:
Lunedi: chiuso.
Dal martedì alla domenica: 10:00-18:00
Link:
http://www.musei.unipa.it/steri.html
Virtual tour:
http://musei.unipa.it/piazzale_2.html