Iniezioni letali in America. Colpi alla nuca in Bielorussia. Impiccagioni in Iraq ed Egitto. L’agonia riprende la scena.
Oggi,
più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o
nella pratica. Nel 2019, sono state messe a morte almeno 657 persone in 20
paesi, una diminuzione del 5% rispetto al 2018 (almeno 690).
Nel
1764 la pubblicazione del pamphlet (trattato breve, libello) Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria stimolò la riflessione
sul sistema penale vigente. Nel trattato (in particolare nel capitolo XXVIII),
Beccaria si esprimeva contro la pena di morte, argomentando che con questa pena
lo Stato, per punire un delitto, ne commetterebbe uno a sua volta: «Parmi un assurdo che le leggi, che sono
l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne
commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio,
ordinino un pubblico assassinio.»
Tra
i tanti, il film “Just Mercy”, (titolo
italiano” Il diritto di opporsi”) riportò a galla temi che, forse, forzatamente
sono stati tenuti nel fondo: come il clima di odio razziale di cui è teatro
endemico un paese che solo apparentemente ha consacrato la libertà in una
statua, simbolo del mondo intero e che solo timidamente, con l’elezione di Obama, ha voluto emulare i grandi
leader carismatici del passato.
Difatti,
il perdurare di una pena che toglie la vita fa apparire l’America un paese fortemente contraddittorio: la fiaccola che tiene
viva la libertà è la stessa di Caronte che accompagna le anime nell’oltretomba.
Obama ha avuto paura
di essere considerato non solo un Presidente afroamericano ma il Presidente
degli afroamericani e quindi ha adottato una sorta di strategia di normalizzazione
che fece passare, nel neutralizzare, il problema semplicemente non parlandone. Negli
otto anni del suo mandato, non disse mai esplicitamente che questo problema
continuava ad esistere negli Stati Uniti.
Ricordo
che ne parlò a Selma, in occasione
dell’anniversario della famosa marcia di Martin
Luther King, sostenendo che quella marcia non era finita e che bisogna
proseguire e continuare il lavoro. Ma eravamo già agli sgoccioli della sua
amministrazione.
In
qualche modo Obama salutò l’idea che
la sua elezione potesse davvero rappresentare gli inizi di un’età post razziale
e che, questo semplice fatto, avrebbe in qualche modo cancellato queste nozioni
dal dibattito pubblico.
Gli
intellettuali americani lamentarono a lungo la dismissione del parlare
esplicitamente di discriminazioni. E dunque oggi come allora. Bianchi contro
neri e neri contro bianchi.
Cinquanta
anni fa, gli Stati Uniti erano la
culla della segregazione razziale. I “colored” avevano posti riservati sui bus,
bagni separati dai bianchi e scuole per conto proprio.
Solo
Martin Luther King o Malcolm X riuscirono a formare vere e
proprie manifestazioni di massa e forme di disobbedienza civile che poi furono
portate avanti dalla popolazione afroamericana.
Mi
torna alla mente la poesia Invictus,
che fu scritta nel 1875 dal poeta inglese William
Ernest Henley proprio sul letto di un ospedale. La poesia, poi, fu usata da
Nelson Mandela per alleviare gli
anni della sua prigionia durante l’apartheid e per questo fu citata nel film Invictus (L’invincibile, del 2009,
diretto da Clint Eastwood con Morgan
Freeman e Matt Damon).
L’ultimo
verso venne citato da Oscar Wilde
nell’epistola De Profundis del 1897,
scritta durante la prigionia nel carcere di Reading, in seguito alla condanna
per omosessualità.
Il
testo, nel ripercorrere la storia della relazione con il giovane Lord Alfred
Douglas, riportò la frase: “I was no
longer captain of my soul”.
Walter
McMillan, protagonista di “Just Mercy”,
storia vera, invece, da uomo innocente, per mitigare la sofferenza chiude gli
occhi e rivede i pini ballare nel vento. Quel vento che fa parlare gli alberi e
che li fa vibrare di luce.
Il
fondatore del buddhismo, il Buddha
Sakyamuni, si pronunciò contro la vendetta e lo spargimento di sangue, non
legittimando tali atti in nessun caso: «Il
sangue non pulisce ma sporca. L’odio non cessa con l’odio, in nessun tempo;
l’odio cessa con l’amore, questa è la legge eterna.»
L’opinione
pubblica contro la pena capitale si divide, infine, in abolizionisti (come Amnesty International) e sostenitori
della moratoria (come l’associazione radicale Nessuno tocchi Caino). C’è chi considera anzitutto la sospensione,
in particolare a livello internazionale, un primo e migliore passo, poiché gli
stati autoritari possono revocare l’abolizione, che comunque è più difficile da
ottenere e non si può imporre o decidere da parte di organismi sovranazionali.
La
pena di morte, ribadisco, è un omicidio premeditato da parte di uno Stato, che
non potrà essere punito come prevede la legge dello Stato stesso. La pena di
morte è sintomo di una cultura di violenza e lo Stato che la esegue dimostra la
stessa prontezza nell’uso della violenza fisica.
Daniela Piesco - Vice Direttore www.progetto-radici.it
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Daniela Piesco