di Francesca Ghezzani - Autrice del romanzo “Avrei voluto portarti sulla luna, ma ho trovato posto solo al lago” (Ed. Albatros), Anita è una scrittrice che dietro a uno pseudonimo nasconde profondità e emozioni forti. La scrittura per lei è il veicolo d’elezione per tirare fuori i sentimenti che prova e superare paure e fragilità.
Anita, quali sono le fonti di ispirazione di cui ti servi quando scrivi? Parti da esperienze reali, autobiografiche o dalla tua immaginazione?
Tutto inizia quando
ho bisogno di elaborare un sentimento o un malessere che crea in me emozioni
con una grande carica emotiva, successivamente cerco di unire esperienze
personali con eventi di pura immaginazione.
Cosa
rappresenta per te il passato e come può essere utile per costruire il futuro?
Il passato è
fondamentale per costruire e ricostruire ciò che siamo, serve a trovare la
motivazione giusta per portare avanti i nostri progetti e le nostre ambizioni.
Dobbiamo sempre ricordarci che cosa abbiamo affrontato per migliorare la nostra
vita. Non avremmo alcun futuro se non potessimo confrontarci con il nostro
passato.
Parli, nel tuo romanzo, di un amore eterno: credi davvero
nel ‘per sempre’ anche in una società come quella attuale?
Diciamo che è molto
difficile, non impossibile, ma difficile. L’amore non è mai come noi vorremo, è
sempre in evoluzione, messo in discussione, l’amore affronta le nostre
insicurezze e le nostre paure. Ho 31 anni e il concetto di amore cambia, si
evolve, per cui mi viene difficile paragonarmi con qualcosa che non ha un
principio né una fine, ma ho la fortuna di essere una sognatrice, quindi mi
viene naturale crederci.
Se l’amore che racconti è pressoché da fiaba, la sofferenza sembra quasi spazzarlo via… o quanto meno lo mette a dura prova. I sentimenti vincono comunque anche su destino avverso?
Sì, sono certa che
se abbiamo la fortuna di provare un amore autentico, profondo, viscerale, si
possano affrontare situazioni molto difficili. L’amore in ogni sua forma può
farci riscoprire una forza che spesso siamo inconsapevoli di avere.
La morte la vedi più come una fine o come liberazione? E
i tuoi personaggi, Anita e Agostino, come la vivono nelle tue pagine?
La morte è un argomento di grande conflitto
per me, penso che sia la fine di un percorso terreno, quando si muore ci
spegniamo, smettiamo di far parte del mondo, sopravvivono alla morte il nostro
ricordo, una nostra foto per non farci dimenticare, le parole delle persone che
ci hanno voluto bene o, contrariamente, che ci hanno disprezzato, ma prima o
poi smetteremo di esistere: di noi non resterà neanche il ricordo.
Mi conforta, tuttavia, il pensiero che in qualche modo la nostra energia possa continuare a vivere, a essere percepita, per proseguire un nuovo viaggio.
Infine,
nel tuo libro parli anche di una rinascita in un certo qual modo, intesa sia a
livello personale che per i tuoi protagonisti?
Soprattutto a
livello personale, avevo bisogno di farmi spazio, di esprimere un carico
emotivo che avevo messo da parte per molto tempo, avevo voglia di liberare le
mie fantasie, cercare di essere me stessa senza provare vergona.
Anita e Agostino sono
rinati dal momento stesso in cui si sono incontrati, hanno portato reciprocamente
nelle loro vite emozioni e parole che hanno cambiato la prospettiva che avevano
su sé stessi, modificando di conseguenza il modo di pensare e l’idea che
avevano sull’amore.