In un libro di Elso Simone Serpentini e Loris Di Giovanni la storia di Costanzo Di Costanzo e Melchiorre Delfico, due abruzzesi nel gotha dell’Ordine.
di Goffredo Palmerini. L’AQUILA - Era il primo maggio 1776, in quella che va
sotto il nome di notte di Valpurga o
delle Streghe, quando ad Ingolstadt, bella città bavarese sulle rive del Danubio, Adam Weishaupt
professore nell’ateneo cittadino, insieme ad un gruppo di suoi allievi, fondava
l’Ordine dei Perfettibili, poi
rinominato degli Illuminati. Il sodalizio, a carattere coperto, si
diffuse presto in tutta la Baviera, grazie all’opera di alcuni
“agenti” che facevano proseliti tra le logge massoniche tedesche ed europee. S’infiltravano
nel loro seno, ne scalavano i vertici per poi condizionarle e piegarle verso i
propri obiettivi: la negazione di troni e altari.
Uno degli agenti reclutatori più audaci e provetti,
che operavano nella massima segretezza, fu Costanzo Di Costanzo, figlio
cadetto del Duca di Paganica, dove la famiglia nobiliare napoletana era
arrivata nel 1753 rilevando il feudo da una delle stirpi più antiche e
blasonate di Roma, la famiglia Orsini.
Costanzo si trasferì giovanissimo dal popoloso paese dell’aquilano in Germania
per evitare d’entrare nella vita religiosa, come invece avevano dovuto fare i
suoi numerosi fratelli e sorelle, eccetto il primogenito Giovanni
destinato a succedere nel ducato al padre Ignazio. A Monaco di Baviera il giovane Costanzo indossò la
divisa militare. Entrò nella massoneria, avviatovi dal cognato anch’egli
militare, poi passò tra gli Illuminati
con il nome iniziatico di “Diomede”.
Agendo nell’ombra Costanzo
era riuscito a portare tra gli Illuminati
il barone Adolph von Knigge,
colui che ebbe il merito di dare forte impulso all’Ordine conseguendone una
rilevante diffusione, in Germania e
in gran parte d’Europa. Proprio da Costanzo
Di Costanzo e dalla sua
intensa attività segreta nell’Ordine
degli Illuminati parte un filo rosso che unisce la Baviera e l’Abruzzo. Gli insigni studiosi Elso Simone
Serpentini e Loris Di Giovanni, profondi conoscitori della massoneria abruzzese cui hanno
dedicato ricerche e molti interessanti lavori – tra cui “La storia della Massoneria
in Abruzzo” – ne ricostruiscono la trama nel corposo volume “Gli Illuminati. Un filo rosso tra la Baviera
e l’Abruzzo”, pubblicato da Artemia Nova Editrice su commissione del
CeSSMA (Centro Studi per la Storia della Massoneria in Abruzzo), terza opera
della collana Documenti Massonici Abruzzesi dell’editore teramano.
Nel libro Serpentini e Di Giovanni
intrigano il lettore con oltre 500 pagine di storie segrete, svelate con
documenti tratti da pubblicazioni dell’epoca, ma anche con atti rinvenuti in
archivi di tutta Europa - Amburgo, Copenaghen, Berlino, Vienna
- oltre che in quelli abruzzesi, in primis l’Archivio di Stato e la Biblioteca
“M. Delfico” di Teramo, dove sono
conservati gli originali di alcune lettere scambiate tra Delfico e Münter. Il
libro incrocia le vite di tre personaggi collegati in diverso modo
all’intricato e oscuro mondo degli
Illuminati, ancor oggi avvolto nel mistero, accusato di devianti
pervasività di coscienze e istituzioni, come pure d’alimentare sconvolgimenti religiosi,
politici e sociali. I tre personaggi, eccezionali ciascuno a modo suo,
incrociarono le loro esistenze nella seconda metà del Settecento e nei primi
dell’Ottocento, in una fase cruciale della storia che conobbe evoluzioni e
rivoluzioni dell’assetto politico dell’Europa, sia nel processo d’elaborazione
d’un nuovo concetto di Stato, sia del rapporto di esso Stato con i propri cittadini
non più sudditi.
Dei tre personaggi in questione due erano abruzzesi -
il citato Costanzo Di Costanzo (1755-1810) e il teramano Melchiorre
Delfico (1744-1835) – danese invece il terzo, Friederich Münter (1761-1830). Quest’ultimo era dei tre il
più giovane e costituì il terzo vertice di un triangolo assolutamente
particolare, essendo senza ipotenusa, di fatto un triangolo a tre vertici e due
lati, mancando un collegamento diretto tra due dei vertici, Delfico e Di Costanzo. Tutti e tre frequentarono logge massoniche e cenacoli
latomici.
Melchiorre
Delfico, filosofo e uomo
politico, allievo del Genovesi a Napoli e seguace di Locke e Condillac,
acquistò fama con le sue opere giuridiche ed economiche (Riflessioni sulla vendita dei feudi, 1790; Ricerche
sul vero carattere della giurisprudenza romana e de' suoi cultori, 1791; Memoria
sulla libertà del commercio, 1797),
piuttosto che con quelle filosofiche (Saggio
filosofico sul matrimonio, 1774; Indizi di morale, 1775), la cui pubblicazione fu impedita dalle autorità. Durante
la rivoluzione napoletana del 1799 fu destinato
al governo dei due dipartimenti d'Abruzzo.
Dopo una parentesi d’esilio a San
Marino, si dedicò quasi unicamente a incombenze amministrative. Dal 1823 si ritirò a Teramo.
Nella sua opera più importante (Pensieri
sulla storia e sull'incertezza e inutilità della medesima, 1806), egli ardente assertore dell'indefinita perfettibilità
dell'uomo, porta alle ultime conseguenze l'antistoricismo illuministico del
Settecento.
Figlio d’un
pastore e teologo protestante, Friederich Münter, nato a Gotha in
Turingia, iniziò i suoi studi all’Università di Göttingen, poi nel
1784 fu il primo protestante ad ottenere un dottorato in filosofia e tre anni
dopo diventò professore all’Università di Copenhagen. Archeologo, filologo e
storico, divenne poi vescovo della chiesa riformata luterana nella capitale
danese. Percorse buona parte dell’Europa, ma la sua azione più significativa Münter la svolse
a Napoli e in Sicilia, dove soggiornò per tre volte nel 1785 e ’86. A Roma, invece, frequentò archivi e
biblioteche alla ricerca di documenti sui Templari, studiando lingue
antiche e buona parte di idiomi moderni. Massone, fu Maestro venerabile nella
loggia di Copenhagen e dell’Ordine degli Illuminati con il nome
iniziatico di “Syrianus”. Proprio per gli Illuminati fondò a Napoli una loggia
con insigni personaggi partenopei (Domenico
Cirillo, Eleonora de Fonseca
Pimentel, Vincenzio Russo ed
altri), con i quali stabilì intensi rapporti. Alcuni di essi promossero la
Repubblica Napoletana e nel 1799, fallita la rivoluzione, finirono impiccati. Münter fu pure membro della loggia di Palermo.
Differenti per età e generazione, Costanzo Di Costanzo, Melchiorre
Delfico e Friederich Münter erano
però accomunati dalla ferma idea di migliorare la condizione dell’uomo quale
persona sociale in una comunità universale, e delle città, concepite come
insieme di anime e intelletti pensanti. Tutti e tre erano schierati nettamente
contro la persistenza di consunte strutture feudali che intendevano contribuire
ad abbattere. Di Costanzo degli Illuminati fu il più produttivo “agente
reclutatore” nell’area tedesca. Münter venne in Italia con la missione
di diffondere l’Illuminatismo lungo
la penisola, a Roma nel cuore
stesso della Cristianità e nel Regno di
Napoli. I due, Di Costanzo e Münter, s’incontrarono segretamente
a Roma nella primavera del 1786, si
frequentarono spesso anche a Napoli,
poi continuarono a scambiarsi informazioni sull’espansione in Italia dell’Illuminatismo.
Costanzo, che non aveva buoni rapporti con i suoi a Paganica, tornò in Germania,
spostandosi tra Norimberga, Altdorf ed Amburgo. Delfico incontrò Münter
e tenne con lui una lunga corrispondenza, perfino quando il danese diventò vescovo di Copenaghen. Delfico
morì a 91 anni circondato dall’affetto della sua famiglia. Münter morì a
69 anni, vescovo amato dai suoi fedeli.
Costanzo Di Costanzo morì “di
consunzione” a 55 anni, a Vienna, dove fu sepolto. La sua famiglia, come
s’è detto, comprò il feudo di Paganica
il 23 aprile 1753 dalla duchessa Faustina
Mattei Orsini, principessa Santacroce, mantenendolo fino al 2
agosto 1806, quando nel Regno di Napoli venne abolita la feudalità. Ressero il
feudo don Ignazio Di Costanzo fino alla
sua morte il 15 gennaio 1792, poi il figlio don Giovanni anch’egli fino al giorno della sua scomparsa, il 31
ottobre 1800. L'antica famiglia Di
Costanzo era originaria di Pozzuoli,
ascritta al Patriziato napoletano dei Seggi di Portanova e Montagna. Le
origini nobiliari si fanno risalire alla seconda metà del Duecento, quando la
famiglia, insieme ad altre nobili napoletane, conferì somme di denaro al re Carlo I d’Angiò per sostenere la guerra
contro gli Svevi.
Dopo l’acquisto del feudo di Paganica, don Ignazio Di Costanzo volle celebrare
l’evento alla grande, commissionando un fastoso Palazzo Ducale al valente architetto marchigiano Mattia Capponi. Preziosa dimora
quadrangolare, munita di un distaccato edificio adibito a scuderie, il Palazzo
su due lati s’allargava nell’ampia villa con giardino all’italiana, disegnato
con un armonioso gioco d’aiuole e gallerie di bosso, purtroppo andato distrutto
negli anni della Seconda Guerra mondiale. Nel fronte sud della villa una
sequela di poderosi platani, nel fronte ovest il Palazzo dialoga con il
prospetto della settecentesca Chiesa della Concezione, sul fronte nord affaccia
sulla bella piazza impreziosita dalla facciata balconata della Chiesa Madre.
Il complesso ducale, diventato di proprietà pubblica
nel 1922 acquistato dal Comune di Paganica - nel 1927 passato al patrimonio del
Comune dell’Aquila a seguito dell’annessione di Paganica al capoluogo - ha ospitato per alcuni decenni un collegio
e la scuola materna delle Suore della Presentazione. Tornato da una ventina di
anni nella disponibilità comunale, quando saranno completati i lavori di
restauro dai danni del terremoto del 2009, diventerà museo archeologico e
centro culturale. L’edificio Scuderie,
invece, dopo l’accorto restauro realizzato a fine degli anni Ottanta, è diventato
Centro Civico e sala espositiva. Al
suo interno, nel 1990, il pittore Constantin
Udroiu, grande artista d’origine romena molto legato a Paganica, vi realizzò
un vasto affresco con luminose scene agresti. Gli splendenti colori “fauve” dell’opera
donano oggi alla sala un’intensa suggestione.