Nuovo appuntamento con la rubrica "Canzonando. Una canzone, uno scrittore": ospite oggi su Fattitaliani Evelina Maffey che ha composto un racconto denso di emozioni, prendendo spunto dall'incipit della canzone "In viaggio" di Fiorella Mannoia. Ecco il suo componimento scritto apposta per noi.
Domani
partirai non ti posso accompagnare.
Ho
sempre saputo che un giorno saresti partito e mi avresti lasciata.
Sola.
O
forse, sarei partita io prima di te e ti avrei lasciato. Solo.
Non
importa chi. Sapevo che uno di noi due sarebbe rimasto. Solo.
Avrei
voluto lasciarti io per prima. Tu saresti rimasto. Solo. Senza di me.
Sarebbe
stato un fardello troppo pesante da farti affrontare. Solo.
Non
avrei mai potuto farti questo. Tu così forte e così debole.
Amore
mio. Non avrei potuto farti neanche uno o il più piccolo torto.
Tu.
Così indifeso, così fragile, così puro, così innocente.
Amore
mio tu non sai che non io non avrei mai potuto pensare per un attimo
che
tu ed io ci saremmo lasciati. O forse l’ho sempre saputo.
Per
questo ogni giorno è stata una conquista. Sapendo che avrebbe potuto
essere l’ultimo.
Ogni
giorno è stato un giorno strappato alla vita ed allo stesso tempo è
stato un giorno regalato alla vita perché vissuto intensamente più
di ogni altra cosa al mondo sapendo che in ogni momento avremmo
potuto perdere tutto all’istante e lasciarci. Improvvisamente e
senza saperlo.
Sì,
sapevamo che ogni istante era l’ultimo, per questo motivo, era
prezioso più che mai. Un istante strappato ed un giorno guadagnato.
Un tesoro straordinario, puro come un diamante. Come quando tu mi hai
riconquistata il primo giorno. Baci e baci sulla bocca come petali
di rosa che sbocciano e si spiegano ai raggi del sole.
Avrei
voluto non soffrire alla tua dipartita e per questo, con sano
egoismo, partire io. Per prima. Avrei voluto affrontare un lungo
viaggio e lasciarti in dono tutta la mia eredità fatta di amore,
passione, sentimento, emozione, carezze, gioie e dolori.
Noi
insieme, una forza titanica.
Invece
tu lo sapevi. Lo hai sempre saputo ed i tuoi sguardi profondi erano
molto significativi: fatti di silenzi ed intuizioni, memorabili di
tanta profondità come i tuoi occhi neri, le tue sopracciglia a forma
di ali di uccello e quelle lunghe ciglia nere a corolla che
ombreggiavano ancor di più i tuoi occhi onice imperscrutabili di
abissi oceanici.
Amore
mio, il tuo silenzio non placa la gigantesca onda che mi monta dentro
e che sale con prepotenza come uno tsunami a gridare il vuoto immenso
che provo per la tua partenza.
Sì
domani sarà il grande giorno ed io non lo so ancora. Vivo di piccoli
gesti e delle tue grandi attenzioni, i nostri sguardi si incrociano e
le nostre mani si accarezzano e le nostre dita si stringono sempre
più forte a non volersi lasciare mai più. Amore mio che ti appresti
a partire e a lasciarmi in questo deserto di lacrime ma sappi che il
fuoco della mia passione non si è estinto, brucia, brucia, brucia
maledetto.
Ed
ora che io piango e verso fiumi di lacrime, non riesco a riempire la
marea di tristezza, l’incolmabile senso di spaesamento e di
alienamento. Sono uno spaventapasseri impotente ed abbandonato in un
campo di corvi neri che stridono lottando tra di loro per un acino
d’uva.
Amore
mio che te ne sei andato in una fredda giornata di gennnaio. Una
grigia giornata umida e di pioggia. No. Non è vero. Era una
meravigliosa giornata di sole, di quello che possono esserci solo al
sud. Una giornata che stride con tutto il resto dell’inverno e
sembra uno schiaffo per chi vuole rimanere rintanato a casa a
lamentarsi del tempo. Tu avresti dovuto gridare di uscire ed avresti
dovuto ridere di quella sciocchina che ti avrebbe preso in giro per
le tue sane battute che facevano ridere pure a me proprio perché
cretine e perché ero contagiata dal tuo ridere a singhiozzi.
Quello
che fa proprio rabbia è che tu non hai gridato che volevi partire.
Che te ne volevi andare. Non mi hai detto niente. Neanche una parola.
Senza parole. Senza niente. Tutto si è fermato ad un tratto. Le
voci, le macchine, le persone, i telefoni, gli elettromestici.
L’abbaiare di un cane si è interrotto, il miagolio di un gatto si
è arrestato a metà, gli uccelli in volo sono rimasti sospesi
nell’aria, i clacson non hanno più suonato, gli alberi hanno
smesso di ondeggiare, la televisione si è spenta, le persone sono
rimaste bloccate nei loro movimenti come degli automi, come dei
robots e così ancora, ancora ed ancora. C’è stato un vuoto
improvviso ed indicibile. Tutto si è fermato in uno scatto. CIACK!
Un urlo nel silenzio.
Non
è stata una fotografia, non è stata una ripresa di un film. E’stato
il film della tua vita, della mia vita, della nostra vita. La tua
dipartita.
Quello
che mi fa proprio rabbia è che tu sei partito senza saperlo ed in
silenzio dagli occhi miei. Amore mio perché mi hai lasciato? Amore
mio rispondimi, ti prego. Amore mio non lasciarmi senza una tua
risposta. Amore mio ti prego ancora, dammi una risposta, parlami.
Parlami come sai fare solo tu.
Parlami
con la tua voce profonda da maschio. Tu avresti voluto fare il
doppiatore: “Il resto non vale, ma la voce sì.” Mi dicevi
ridendo. “Anche quando presentavo in televisione e parlavo alla
radio, le mie fans erano affascinate dalla mia voce. “ Non si
accorgevano dei tuoi difetti, della tua disabilità fisica, del tuo
male che ti aveva colpito a croce. Tu ridevi di questo, amore mio. Io
che non conoscevo la tua diversità o meglio non me ne accorgevo
affatto. Tu eri l’uomo più perfetto al mondo agli occhi miei e per
questo agli occhi di tutti.
Sì
hai ragione. Mi manca la tua voce, roca, baritonale, da Uomo che fa
vibrare le corde della mia anima da Donna. Amore mio parlami, ti
supplico e non una, ma due, tre dieci volte ancora oppure morirò
soffrendo come non ho sofferto mai.
Ricordo
all’inizio quando appena toccati dal colpo di fulmine, ai nostri
primi incontri mi ripetevi i versi di Catullo:
Viviamo,
o mia Lesbia, ed amiamo
e
i rimproveri dei vecchi passanti non stimiamoli un soldo bucato.
I
soli possono tramontare e risorgere;
noi,
quando una buona volta finirà questa breve luce,
dobbiamo
dormire un'unica notte eterna.
Dammi
mille baci, poi cento,
poi
ancora mille, poi di nuovo cento,
poi
senza smettere altri mille, poi cento;
poi,
quando ce ne saremo dati molte migliaia,
li
confonderemo anzi no, per non sapere (il loro numero)
e
perché nessun malvagio ci possa guardare male,
sapendo
che ci siamo dati tanti baci.
Caro,
abbracciami in silenzio. No, non parlare. Stiamo così. Insieme.
Senza parole. Ascolto muta. Il silenzio. Mi basta la tua mano che mi
stringe o meglio la mia mano che tiene quella tua. Così assorta nel
percepire il tatto morbido della tua pelle, il tuo profumo delicato.
Caro mi manchi. Tanto. Stammi vicino. Abbracciami. Io so che tu sei
ancora accanto a me. Che mi guardi, che mi sostieni. So che con te
vicino non sono sola. Amore mio stammi sempre accanto ora più che
mai che piango e le mie lacrime di sale mi bruciano gli occhi e non
riesco più a vedere le righe di questa pagina bagnata.
Amore
mio ti sono vicina. Sento il tuo cuore pulsare. Sento la profondità
del tuo corpo. Annego nel tuo respiro. Lo sento ondeggiare e
ritornare a me come una danza di tamburi africana.
Tu
mio Catullo. Io la tua Lesbia. A
chi morderai le labbra?
Caro,
ti sto raccogliendo dentro il mio grembo nuziale come un feto
raggomitolato. Tu bozzolo di crisalide trascendi in un’esplosione
di luce e di ali di farfalla sgargiante.
Domani
partirai non ti posso accompagnare…Più.
Evelina
Maffey
L'AUTRICE
L'ultimo libro di Evelina Maffey s'intitola “Il viaggio di Melqart”, edito da Angelo Mazzotta Editore. È l’ultima opera che costituisce la quadrilogia della Saga del mare Mediterraneo basata sui miti e le leggende per approdare alla fisica quantistica. La poetessa Evelina Susanna Maffey, come il dio fenicio Melqart ritrovato nelle acque tra Sciacca e Selinunte, va alla ricerca del proprio sé, della propria identità, nelle maree alle quali l’essenza dell’anima si abbandona, nei viaggi, delle profondità insondabili, degli abissi in cui sprofonda per ritornare poi alla luce del sole, dopo secoli, fra le reti di un pescatore, con una
assoluta, forse apparente, casualità consapevole della propria unicità e godere delle bellezze del creato.
assoluta, forse apparente, casualità consapevole della propria unicità e godere delle bellezze del creato.
LA CANZONE
In viaggio è una ballata in cui la cantante romana finge di parlare con una figlia ideale. In un'intervista ha dichiarato che non bisogna avere figli per essere madre. Secondo lei, ogni donna è madre anche se non mette al mondo neanche un figlio, in quanto il 'gentil sesso' ha la maternità nel Dna. Il brano, scritto da Cesare Chiodo, Fiorella Mannoia e Antonio Calò, fa parte dell'album "Sud" pubblicato il 24 gennaio 2012 con distribuzione Sony Music e con etichetta Oyà.