di Andrea Giostra.
È la narrazione che fa di “chi scrive” uno scrittore, ovvero, un grande scrittore, e non sono
certo le storie raccontate, sempre secondarie rispetto al fluido narrativo composto
dal linguaggio, dalla scrittura, dalla struttura, dallo stile, dalla
musicalità, dall'armonia, dal ritmo, dalla cadenza della successione delle
parole che riescono – o non riescono affatto! – a catturare (talvolta a
imprigionare) l’attenzione e la curiosità del lettore. E non c’è ombra di
dubbio che Sándor Márai appartiene
alla categoria dei “grandi scrittori” della letteratura occidentale del
Novecento. Ungherese naturalizzato americano, proprio come Joseph Pulitzer qualche decennio prima di lui, Márai
riesce con apparente facilità a narrare di fatti orrendi e terrificanti,
con una leggerezza che si trasforma improvvisamente in un fendete di violenta
umanità, di naturale esplosione di pulsioni ed agiti non dominati dalla
ragione, o se vogliamo, dall’etica e dalla moralità laica o religiosa che sono
quelle componenti che apprendiamo con l’educazione e la cultura e che distinguono
l’uomo dalla bestia: elementi questi – l’etica e la morale trasmessi di padre
in figlio con l’educazione e la cultura - oggi più che mai contemporanei ed
attuali! Una narrazione che ha del thriller, del noir, del quale il lettore si
accorge quando l’evento è già stato letto e metabolizzato: è questa qualità
appartiene ai grandi talenti della letteratura.
Márai sa bene innestare diversi elementi di riflessione su
come un essere umano possa modificare la propria natura esistenziale costretta
ad adattarsi al contesto nel quale sta vivendo, oppure, a concepire una
dimensione di socialità ritenuta “democratica” malgrado la maggioranza di noi
occidentalizzati oggi potremmo pensarla in modo diametralmente opposto a quella
di Otto, il protagonista della storia che vive una guerra dura e crudele: «Erano in tanti, e tutti uguali, e quali
fossero stati in precedenza gli scopi per cui erano vissuti quei corpi che
marciavano con le loro giubbe grigie adesso non se lo chiedeva più nessuno; e
questo livellamento dei destini, che forse molti potevano avvertire come
degradante per la propria dignità umana, lui lo percepiva come una
manifestazione di assoluta e pacificante democrazia, di entusiasmante
perequazione, e quando volgeva lo sguardo verso l’avvocato ebreo accanto al
quale giaceva da qualche settimana nella famiglia della trincea non riusciva a
nascondere un sorriso soddisfatto e un po’ orgoglioso: là, sottoterra, erano
tutti delle talpe; qualcuno provava ancora a portare il pince-nez o a leggere
libri, ma la sera erano tutti intenti a spidocchiarsi.»
“Il Macellaio” è il racconto d’esordio di Márai,
pubblicato nel 1924, che narra di Otto, un ragazzino tedesco figlio di un’umile
famiglia di sellai, che dopo aver assistito in compagnia del nonno alla
macellazione di una vacca, scopre di possedere il talento per l’arte di
uccidere animali e di voler fare il mestiere del macellaio… ma iniziato questo
nuovo lavoro nella grande e caotica Berlino, l’imminente Prima Guerra Mondiale
lo costringerà a mettersi alla prova con altre forme di sopravvivenza e di
uccisioni che non sono più quelle di animali per sfamare uomini. Il finale è da
scoprire come avviene in un ottimo giallo noir. L’autore è certamente da
leggere perché brillante e perché possiede il grande talento dell’arte dello
scrivere.
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Andrea
Giostra