Un grande concorso di popolo ha salutato il rientro delle Sorelle di S. Chiara nella restaurata struttura
di Goffredo Palmerini - L’AQUILA - Una splendida giornata
di sole, un cielo terso color cobalto e un venticello vezzoso hanno salutato a Paganica la riapertura del Monastero di Santa Chiara, dopo i
complessi lavori di restauro dai danni del terremoto del 6 aprile 2009. Le Sorelle
Clarisse, guidate dalla badessa Madre
Rosa Maria Tufano, che solitamente trasmettono quella serenità francescana
che fa meditare sul valore dello spirito rispetto alla caducità delle cose
terrene, sabato scorso 9 marzo avevano nel sorriso un quid in più, di gioia davvero
intensa, propria di un ritorno a casa, benché il monastero sia assai vicino
alla provvisoria struttura di legno che le ha ospitate negli anni del dopo
terremoto. Nella piccola Chiesa di San Bartolomeo, ove sono custodite le
spoglie incorrotte della Beata Antonia
di Firenze, già piena come un uovo mezz’ora prima della celebrazione
eucaristica fissata per le quattro del pomeriggio, le Sorelle rispondevano con
un cenno festoso a chi, oltre l’inferriata posta tra il presbiterio e la parte
riservata ai fedeli, inviava loro un sorriso o un gesto di saluto.
Anche l’esterno della
chiesetta, dov’erano sistemate altre panche a sedere, c’era un pieno di gente
in attesa, con quell’animazione tipica dei grandi eventi. La grande Chiesa di Santa Maria del Carmine, consacrata
nel 1912 e adiacente al monastero, ha bisogno ancora di alcuni mesi per il
completamento dei lavori di consolidamento e restauro. Dunque ancora la
chiesetta di San Bartolomeo ospita questa importante celebrazione. Splendidamente
restaurata dal Ministero dei Beni Culturali, con lavori condotti dalla
Soprintendenza e diretti da Bianca Maria
Colasacco, la chiesa, una monoaula con tetto ligneo a vista e lacerti di
due preziosi affreschi – un’Annunciazione e una Crocifissione – risalenti al
XIII secolo, è stata arricchita sulle pareti laterali dalle opere del maestro iconografo Paolo
Orlando, che vi ha realizzato due cicli di affreschi, uno mariano e l’altro
sulla vita di Gesù. Probabile che questo tempio fosse la parrocchiale di una
delle numerose Ville che dopo l’anno Mille concorsero all’incastellamento di Paganica, ampliando l’antico nucleo del
pagus sorto negli anni della Roma
repubblicana, intorno al 430 a.C., proprio al confine tra i popoli Vestini e
Sabini.
Alle ore 16 in punto il lungo corteo dei celebranti fa
ingresso nella chiesa, aperto da una ventina di sacerdoti, secolari e
francescani, seguito da tre vescovi – il Nunzio apostolico mons. Orlando Antonini, il vescovo di
Termoli-Larino mons. Gianfranco De Luca
e il vescovo di Rieti mons. Domenico
Pompili – e
chiuso dall’arcivescovo metropolita dell’Aquila, Cardinale Giuseppe Petrocchi. Tra i presbiteri il parroco di
Paganica, don Dionisio Rodriguez, e
due ospiti – don Alessandro Blandino,
modicano e parroco a Pachino, e don
Sergio Boccadifuoco, parroco a Frigintini di Modica – della diocesi di Noto, fortemente legata a Paganica, in
amicizia e spiritualità, dopo il sisma del 2009. Tanto che la Parrocchia di
Paganica ha contratto un gemellaggio religioso con la Parrocchia di San Pietro,
a Modica, laddove era parroco don Corrado Lorefice, ora arcivescovo
di Palermo.
Grande raccoglimento
durante la celebrazione eucaristica e forte emozione durante l’omelia dell’arcivescovo
Cardinale Petrocchi, che nel
recupero del monastero vede il segno della speranza e della rinascita. E dopo
aver commentato il Vangelo della prima domenica di quaresima, che racconta le
tentazioni del demonio su Gesù in digiuno nel deserto, il porporato ha richiamato
il valore della contemplazione e della preghiera delle Clarisse. “Il monastero, laboriosa dimora – ha
detto il Cardinale Petrocchi –, ha le finestre aperte sul mondo e spesso,
pur recluse, le monache Clarisse attraverso la preghiera arrivano dove noi non
riusciamo ad arrivare”. Con una illuminante metafora l’arcivescovo
ha detto che un monastero ha un influsso benefico anche sulla società civile:
infatti, come i pannelli solari convertono l'energia del sole in energia
elettrica, così in un monastero la contemplazione converte la vita divina
ricevuta e assimilata in energie di comunione da immettere nelle relazioni
sociali, a vantaggio di tutti. Sicché l’opera delle sorelle Clarisse è energia
spirituale che s’irradia in questo territorio, nella diocesi, nel mondo intero,
ha detto infine l’arcivescovo concludendo la sua omelia.
Alla fine della
celebrazione, animata egregiamente dal Coro diocesano giovanile “San Massimo”
diretto da Davide Castellano, il
Cardinale Petrocchi ha ricordato le vittime del terremoto e, parlando della
ricostruzione, ha fatto appello a sollecite procedure per consentire ai
cittadini il rientro nelle loro case e la ripresa completa delle attività nella
città capoluogo e nei centri del cratere sismico. Ma soprattutto, riprendendo
un tema che gli è caro, ha parlato dei sismi dell’anima e della ricostruzione
morale della comunità aquilana, colpita dalle conseguenze morali del terremoto
che, pur non appariscenti, sono più gravi e durature dei danni materiali. Verso
questi drammi intimi e sociali deve andare l’attenzione e la cura delle
istituzioni, non meno che verso la ricostruzione di case, chiese, scuole,
uffici e impianti produttivi.
La badessa, Madre Rosa Maria, ringraziando le
innumerevoli persone che hanno dato il loro aiuto, ha ricordato Madre Maria Gemma Antonucci. Quantunque
deceduta sotto le macerie del terremoto nella notte del 6 aprile 2009, lei è
stata la vera pietra angolare che ha sorretto il monastero negli anni difficili
del post sisma. Ha poi rivolto un pensiero a Suor Geltrude, morta qualche mese fa alla veneranda età di oltre cento
anni, anch’ella con Madre Gemma ora partecipi in Cielo della gioia di questo
evento. Quindi il corteo processionale, preceduto dalle Clarisse e seguito dai
celebranti tutti, dalla chiesetta si è diretto verso l’ingresso del restaurato
Monastero per la benedizione inaugurale, che l’arcivescovo dell’Aquila ha
impartito. In questi primi locali, di vestibolo e parlatorio, si è potuto
ammirare un saggio del restauro realizzato all’intera struttura, che ha curato
a meraviglia il recupero dei dettagli costruttivi d’epoca. All’inaugurazione è
seguito il concerto “Il Privilegio di
Chiara”, oratorio sacro per voci femminili e quartetto d’archi
dell’Ensemble Fideles et Amati, con testo e musica di Marcello Bronzetti.
Ma ora torniamo ai giorni,
mesi e anni difficili del dopo terremoto. In quella terribile notte del 6
aprile 2009 il sisma devastò il Monastero
delle Clarisse e il centro storico di Paganica, popolosa
frazione a 9 chilometri dalla città capoluogo d’Abruzzo. Alle 3 e 32 crollò il
tetto del monastero, proprio sopra le celle delle Sorelle claustrali. Madre Gemma Antonucci, la badessa, perì sotto le macerie. Ferite gravemente
due suore, le altre miracolosamente illese. Continuavano le scosse quel giorno
e nei giorni seguenti, con uno sciame inquietante. Le Sorelle, con l’aiuto dei
soccorritori e dei Vigili del Fuoco prontamente accorsi, messa in salvo l’urna
con il corpo incorrotto della Beata
Antonia da Firenze, che era custodita nella Chiesa del Carmine, raccolte le
poche cose recuperabili, partirono per Pollenza,
in provincia di Macerata, per essere temporaneamente ospitate nel locale monastero
delle Clarisse. Lì la Beata
Antonia fu per 7 anni custodita in sicurezza. Intanto, a
qualche giorno dal sisma, lo slancio di solidarietà promosso da Tele Pace avviò
la generosa raccolta di fondi che permise, entro la chiusa murata del convento,
la costruzione d’un piccolo monastero in legno dove le Clarisse, sotto la tenace
guida della badessa Madre
Rosa Maria Tufaro succeduta a Madre Gemma, fin dal dicembre
2009 vollero fortemente rientrare. Qui hanno dimorato fino ad ora, in spazi
assai ristretti.
Il 16 luglio 2016,
finalmente, il ritorno da Pollenza della Beata
Antonia, la cui urna venne sistemata nella Chiesa di San Bartolomeo, in
attesa della riapertura della Chiesa del Carmine. L’evento del rientro della Beata Antonia fu di significativa
portata storica, sia perché ricomponeva un pezzo di memoria civile e spirituale
dell’Aquila dopo il sisma del 2009, sia per la devozione portata dagli Aquilani
verso la Beata che, insieme a S.
Bernardino da Siena, a S.
Giovanni da Capestrano, al Beato Vincenzo dell’Aquila e al Beato Timoteo da Monticchio,
forma quella schiera di Santi francescani che hanno tenuto viva nella città e
nel territorio aquilano la spiritualità di Francesco e Chiara d’Assisi.. La Beata Antonia ritornò
dunque nella sua terra e nella sua casa, il Monastero di S. Chiara a Paganica, dove le Clarisse
dal 1997 vivono, quando si trasferirono dall’antico Monastero dell’Eucarestia,
nel cuore storico dell’Aquila, per cercare un luogo più silenzioso e adatto
alla vita contemplativa, trovato appunto a Paganica nell’ex Convento dei Frati Minori, che
da anni era dismesso.
Nell’antico Monastero dell’Eucarestia,
a L’Aquila,
le Clarisse avevano abitato per secoli, fin da quando nel 1447 Giovanni da Capestrano l’aveva
affidato ad Antonia e alle sue religiose claustrali. Un prezioso complesso,
quello dell’Eucarestia. Un vero e proprio scrigno d’arte, sebbene il sisma del
2009 l’abbia fortemente danneggiato. Il corpo architettonico si distende lungo
via Sassa. L’interno è a pianta rettangolare, con massicce volte a crociera
poggianti su capitelli pensili del Rinascimento. Lo spazio ripartito in due
ambienti distinti: l’uno era riservato alle monache e l’altro, anteriore, ai
fedeli. Il muro divisorio con una grata permetteva alle sorelle di seguire
dall’interno le funzioni religiose. Il Coro, interamente affrescato da Paolo Cardone nel 1586, ha
99 stalli ed è opera di ebanisti milanesi di inizio Cinquecento. La Chiesa
conserva mirabili opere dei principali artisti del Rinascimento abruzzese: Andrea Delitio, Francesco da Montereale, e
appunto Paolo Cardone.
Di particolare pregio gli affreschi di Andrea Delitio: l’Adorazione del Bambino colpisce
il visitatore per le notevoli dimensioni e l’estrema delicatezza nella resa dei
volti. L’intento del pittore e di Antonia,
probabile committente dell’opera, era quello di mettere in evidenza l’umiltà
della Sacra Famiglia, nello spirito della prima regola di S. Chiara.
Altrettanto pregevole è l’affresco raffigurante la Madonna con Bambino e Sant’Ansano, come pure
preziosi sono i tre affreschi di Francesco
da Montereale, risalenti al 1490, che raffigurano la Crocifissione, la Via Crucis e la Teoria di Santi Francescani.
La Beata Antonia (Firenze,
1400 – L’Aquila, 1472) è una figura preminente nella spiritualità aquilana e
nel contesto del movimento riformista del francescanesimo che va sotto il nome
di Osservanza minoritica.
Il movimento fu fortemente presente dal 1415 in poi a L’Aquila e in Abruzzo, al centro d’un fenomeno di dimensioni
europee con importanti ricadute sulle comunità abruzzesi, sia sotto gli aspetti
religiosi che sociali e culturali. Del notevole rilievo dell’Osservanza danno
testimonianza la biografia stessa della Beata
Antonia ed il contesto storico e spirituale nel Quattrocento.
Ne tracciamo qui una sintesi, anche per comprendere l’attaccamento che gli
Aquilani nutrono verso il francescanesimo e le sue figure più rappresentative.
Antonia nacque a Firenze intorno al 1400.
Andata sposa giovanissima ad un suo coetaneo, prematuramente morto a qualche
anno dal matrimonio, ebbe un figlio che curò da sola e da sola attese alla sua
prima educazione. Non intese passare a seconde nozze, nonostante le
raccomandazioni dei familiari, per l’inatteso arrivo della chiamata alla
vocazione. In quegli anni Bernardino
da Siena stava diffondendo l’Osservanza, che avrebbe dato un nuovo impulso
all’ordine francescano con il richiamo all’austerità della Regola ed alla
povertà. Bernardino, predicando nelle chiese e sulle piazze di tutta Italia,
aveva suscitato un’autentica primavera di vita cristiana. Predicò anche nella
Chiesa di S. Croce, a Firenze,
dall’8 marzo al 3 maggio 1425. Antonia
lo ascoltò e maturò nel cuore la decisione di consacrarsi a Dio. Quattro
anni dopo entrò nel Terz’ordine francescano regolare femminile, fondato dalla Beata Angelina dei Conti
di Marsciano. L’accolse il Monastero fiorentino di S. Onofrio, nel quale rimase
per poco tempo, perché dalla fondatrice fu chiamata prima a Foligno, ad Assisi e poi a Todi. Infine, richiesta a L’Aquila per fondarvi un
Monastero di terziarie, Antonia
fu inviata insieme a un piccolo drappello di suore. Era il 2 febbraio 1433. Rimase
alla guida del Monastero di
S. Elisabetta per 14 anni, ma la pur intensa vita spirituale
non riusciva ad appagare il suo desiderio d’una sempre più profonda
contemplazione. Andava così maturando in lei il pensiero di lasciare il Terz’ordine
per abbracciare la Regola di S. Chiara.
In quegli anni altri
monasteri di Clarisse, vicine al movimento degli Osservanti, stavano vivendo un
intenso rinnovamento, volendo rivivere la freschezza delle loro origini,
mediante la primitiva Regola di S. Chiara. In questa decisione forte ed eroica Antonia trovò sostegno
spirituale e guida in Giovanni
da Capestrano, in quegli anni a L’Aquila, che procurò i locali necessari per
lei e per le consorelle che avevano deciso di seguirla. Era il 16 luglio 1447.
Un grande corteo di cittadini con a capo Giovanni da Capestrano, partendo da
Collemaggio, accompagnò Antonio e le altre 13 sorelle al Monastero dell’Eucarestia,
successivamente chiamato “della
Beata Antonia”,
dopo la morte di lei. Incominciò così sotto il segno della più stretta povertà
l’ultimo cammino ascensionale di Antonia, che portò tanto splendore all'Ordine
delle sorelle povere di S. Chiara. Per sette anni tenne l’ufficio di badessa
impostole da Giovanni da Capestrano, poi tornò nel silenzio e nella
contemplazione più profonda del mistero di Cristo crocifisso, nel quale
s’immedesimò completamente. Ma quei sette anni di guida del monastero furono
sufficienti ad imprimere uno straordinario impulso alla vita contemplativa,
nella perfetta osservanza della Regola, tanto che la fama si diffuse subito in
città e nei dintorni, procurando numerose altre vocazioni.
Antonia seppe tuttavia
vivere l’austera povertà con letizia evangelica. Sapeva trascinava tutte, con
la parola e l’esempio. Era forte e materna, coltivando con tutte l’unità e
l’armonia della vita in fraternità. Le Sorelle subirono il fascino del suo
esempio e molte di loro offrirono alla Chiesa un genuino esempio di santità,
come Ludovica Branconio,
Giacoma dell’Aquila,
Bonaventura d’Antrodoco,
Paola da Foligno,
Gabriella da Pizzoli,
Giacoma da Fossa,
proclamate Beate,
ed altre ancora. Antonia visse sempre in obbedienza ed umiltà. Il suo stile di
vita sempre limpidamente evangelico: occupava a mensa e in coro l’ultimo posto,
indossava i vestiti più logori della comunità. Le Sorelle inferme, deboli,
tentate e scoraggiate, trovavano sempre in lei conforto e l’amore tenero di una
madre, pur essendo lei stessa affetta da un’orribile piaga che mantenne
nascosta. Diversi i fenomeni mistici, di cui le Sorelle furono testimoni,
frutto del suo grande amore per il Signore.
Antonia morì la sera del
29 febbraio 1472. Il suo trapasso fu segnato da miracoli prima ancora che fosse
inumata la salma, come le guarigioni istantanee d’un aquilano sofferente di
idropisia e di suor Innocenza clarissa, anche lei aquilana, che fu guarita
dalle numerose piaghe. Quindici giorni dopo la sepoltura le suore riesumarono
il sacro corpo per rivederlo, prima che si disfacesse completamente. Con grande
meraviglia lo rinvennero incorrotto. Ripeterono più volte l’esperienza, tanto
che se ne diffuse la voce in città. Ma per evitare esagerazioni il vescovo,
cardinale Amico Agnifili,
ordinò che la salma fosse sepolta allo scoperto, fuori del luogo sacro. Cinque
anni più tardi il vescovo Ludovico
Borgio, successore dell’Agnifili, concesse la riesumazione del
corpo, trovato nuovamente incorrotto. Solo allora venne autorizzato il culto
pubblico e il corpo fu levato da terra. Dopo regolare processo canonico, il 28
luglio 1848 Pio IX
la dichiarava Beata. Il messaggio lasciato dalla Beata Antonia è quello
d’una santità gioiosa e nascosta, totalmente avvolta nella segreta bellezza di
un Dio sommamente amato. Ancor oggi le Sorelle povere, trascinate dal suo
esempio e da quello di S. Chiara, vivono una vita semplice, nel silenzio del
chiostro, ponendo Dio come il tutto della loro vita. Le Sorelle dell’antico monastero
dell’Aquila, ora operanti nel Monastero di S. Chiara a Paganica, custodiscono con
fedeltà il corpo della loro Madre, Beata Antonia, e continuano il cammino di
consacrazione, nella gioia d’un amore che non ha fine. Sono davvero un punto di
riferimento spirituale, di serenità, di attenzione verso gli ultimi, di
preghiera, che molto giova ad una comunità così duramente colpita dalla
tragedia del terremoto, consapevole della certezza di trovare nelle Clarisse un
luogo sicuro di meditazione e fraternità.
***
Ma quale fu il contesto
storico e spirituale nel quale l’Osservanza
minoritica maturò, con particolare riguardo a L’Aquila e l’Abruzzo, per poi
diffondersi in Italia
e in tutta Europa? Alla morte di Francesco
d’Assisi l’Ordine minoritico che egli aveva fondato era già
molto diffuso, raggiungendo negli anni successivi, oltre che buona parte del
continente europeo, anche Irlanda,
Scozia, le
regioni balcaniche e perfino la Scandinavia.
Tuttavia, con la morte del fondatore, l’Ordine dei frati minori dovette
affrontare una grave crisi d’identità, a causa d’una progressiva
normalizzazione che portò all’accentuazione del carattere clericale. La fase
evolutiva si concluse con Bonaventura
da Bagnoregio che, eletto ministro generale dell’Ordine nel
1257, redasse una biografia ufficiale di Francesco e ordinò la distruzione
delle “legende”
più antiche, come quella scritta da Tommaso
da Celano, e promulgò le nuove costituzioni dell’Ordine. Sotto
la sua guida lo scopo dell’Ordine divenne quello di rispondere alle necessità
più urgenti della Chiesa, come la predicazione, le missioni e la lotta
all’eresia, cosicché i francescani iniziarono a non rifiutare d’accettare la
dignità di vescovo o la carica di inquisitore. La povertà venne quindi
interpretata come semplice rinuncia a ogni forma giuridica di proprietà e venne
introdotta la nozione di “uso in povertà” dei beni materiali.
Durante tutto
il Duecento e oltre, in seno all’Ordine s’accese una forte disputa
tra frati favorevoli ad una interpretazione più blanda della Regola, in modo da
privilegiare lo studio e la predicazione nelle città, e altri più inflessibili
nel chiedere il ritorno alla volontà originaria del fondatore e
all’interpretazione letterale della Regola, specie in materia di povertà.
Questa posizione radicale circa l’austero rispetto della Regola si fuse con le
attese apocalittiche del pensiero di Gioacchino
da Fiore, dando vita al movimento degli Spirituali, che ebbe forte
riferimento anche organizzativo con Angelo
Clareno e Ubertino
da Casale, quest’ultimo anche con atteggiamenti fortemente
critici verso il papato. E peraltro il movimento esercitò una forte influenza
sulla vita religiosa di quel periodo, che attendeva l’Era dello Spirito, resa
ancora più imminente nelle attese con l’elezione al soglio pontificio del
monaco eremita Pietro del
Morrone, diventato papa Celestino
V. Nei cinque mesi di papato prima della sua storica rinuncia,
il 13 dicembre 1294, Celestino aveva fatto diversi atti innovatori, come
l’emissione della Bolla della Perdonanza,
che istituiva il primo giubileo della Cristianità concedendo l’indulgenza
plenaria e gratuita a chiunque si recasse sinceramente pentito e confessato,
dai vespri del 28 a quelli del 29 agosto d’ogni anno, alla Basilica di
Collemaggio, a L’Aquila. O come la concessione agli Spirituali della facoltà
di organizzarsi in Ordine religioso che osservasse alla lettera la Regola di San
Francesco e la vita eremitica. Pensò il suo successore Bonifacio VIII ad annullare
la concessione, ed i successivi pontefici Clemente V e Giovanni XXII a bollare d’eresia il movimento
degli Spirituali, definendo fraticelli
gli eretici.
Nel 1368 Paoluccio Trinci ottenne
dal ministro generale Tommaso
da Frignano il permesso di riaprire l’eremo di Brogliano e di osservare
la Regola in tutto il suo rigore. La santità personale di frate Paoluccio, la
sua sottomissione alle autorità ecclesiastiche e la protezione politica
assicurata dai suoi familiari, signori di Foligno, permisero alla comunità di Brogliano
di svilupparsi e raggiungere la stabilità, facendone un autorevole centro di
riforma che conobbe una rapida diffusione, in Umbria e nell’alta Sabina. Fu
quella di Paoluccio la prima comunità dell’Osservanza. Con Giovanni da Scontrone le
comunità osservanti salirono a trentaquattro e i frati a duecento. Ma il
maggiore sviluppo s’ebbe con l’ingresso di grandi personalità, come quelle
di Bernardino da Siena,
Giovanni da Capestrano
e Giacomo della Marca,
con il sostegno di Alberto
da Sarteano.
Sotto il loro influsso
gli Osservanti, pur mantenendo stile di vita eremitico, si aprirono agli studi
e all’apostolato della predicazione. Il successo e la forte diffusione dei
frati osservanti acuirono i contrasti con i francescani “conventuali”,
favorevoli ad una Regola meno rigida. Per riportare all’unità l’Ordine, diviso
in conventuali e osservanti, nel 1430 Martino V diede ai francescani delle nuove
costituzioni, elaborate da Giovanni
da Capestrano - fine giurista, prima di diventare frate -, con
norme accettabili da entrambe le parti sulla proibizione dell’uso del denaro e
sulla rinuncia ai beni immobili. Ma il tentativo si rivelò un insuccesso, come
pure quelli degli anni successivi. Nel 1438 venne eletto vicario generale
degli osservanti Bernardino
da Siena, che scelse Giovanni
da Capestrano come suo assistente. Con loro l’Osservanza
francescana si diffuse rapidamente in Francia,
Germania e
nei Paesi Bassi,
poi in Austria,
Ungheria, Polonia e Boemia, specie sotto
l’influsso della predicazione di Giovanni
da Capestrano.
Ancora un’annotazione,
infine, sull’opera della Beata
Antonia e dell’Osservanza
francescana in territorio aquilano. Gli osservanti erano
arrivati all’Aquila intorno al 1415. Ma la forte espansione del movimento
s’ebbe con la predicazione a L’Aquila
di S. Bernardino da Siena (Massa
Marittima, 1380 – L’Aquila, 1444), insieme a S. Giovanni da Capestrano (Capestrano, 1386 –
Ilok, 1456) e S. Giacomo
della Marca (Monteprandone, 1393 – Napoli, 1476), che con Alberto da Sarteano
costituirono le quattro colonne portanti dell’Osservanza. Alla loro opera s’unì
la Beata Antonia,
insieme alle consorelle clarisse, con il grande carisma che le animava. Grande
la fioritura spirituale nel Quattrocento, grazie a queste grandi figure, cui
s’aggiunsero i francescani osservanti Beato
Vincenzo dell’Aquila e Beato
Timoteo da Monticchio, insieme alle numerose Beate clarisse, già
citate, tutti straordinari testimoni della fede. Grazie a loro e all’Osservanza
fiorì la rinascita spirituale a L’Aquila,
in Abruzzo,
in Italia e
in Europa.
Rinascita resa ancor più
feconda dalla scelta di Bernardino
di tornare in città, sentendo vicina la morte. “Eamus, fratres, ad Aquilam. Non subsisto possum, ad Aquilam,
ad Aquilam, ad Aquilam missus sum”. Così la notte del 30 aprile
1444 Bernardino degli
Albizzeschi, 64 anni, sfinito ed emaciato dalla malattia e
dalla penitenza, aveva salutato per l’ultima volta i frati del convento della
Capriola, nei pressi di Siena.
Vincendo le loro preoccupate implorazioni a restare in città, spinto da una
grande forza interiore, con quattro confratelli s’era messo in cammino verso
l’Abruzzo in quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Un viaggio lungo,
faticoso, pieno di sofferenze. Giunto all’Aquila, nel suo convento di San
Francesco, sentendo arrivare l’ora del trapasso, Bernardino aveva chiesto ai
confratelli d’essere deposto, spoglio e con le braccia aperte a croce, sul nudo
pavimento della sua cella. Poco dopo, al vespro di quel mercoledì, spirò. Era
il 20 maggio del 1444. Con tutte le residue forze aveva desiderato transitare
alla vita eterna non nella sua terra toscana ma a L’Aquila, la bella città che più amava, dove aveva predicato
insieme ai fedeli discepoli Giovanni
da Capestrano e Giacomo
della Marca, esercitando una grande influenza nella vita
spirituale, sociale e civile.