di Goffredo
Palmerini - ANCONA - Jesi è una
bella città in provincia di Ancona, situata sul lato settentrionale del corso
del fiume Esino. E’ il centro più
importante della Vallesina. Una leggenda racconta che la città venne fondata da
Esio, re dei Pelasgi, qui
giunto dalla Grecia nel 768 a.C.
Lo stesso leone rampante del blasone cittadino
si dovrebbe al fondatore greco, come si legge anche su un'iscrizione presente
sotto l'edicola recante lo stemma civico, sulla facciata del Palazzo della
Signoria. Questo mitologico re fu ritenuto il capostipite degli Etruschi, dei
Sabini e dei Piceni, tre popoli italici di grande civiltà e valore. Tuttavia uno
degli eventi più significativi nella storia di Jesi fu certamente la nascita, il 26 dicembre 1194, in una tenda
imperiale nella piazza centrale della città – l'antico Foro romano – di Federico II di Svevia. Il grande
l'imperatore, lo Stupor mundi, colui
che donerà poi a Jesi il titolo di “Città Regia”, con rilevanti diritti di
piena autonomia, consistenti privilegi sul dominio del Contado e ampie libertà
comunali che la Chiesa, con il suo alterno dominio, non poté più abrogare.
Il Palazzo della
Signoria è la sede originaria della Magistratura civica di Jesi, dove il
Gonfaloniere e i Priori tenevano il governo della città. Progettato da Francesco di
Giorgio Martini, insigne architetto senese, venne
edificato tra il 1486 e il 1498. Parte interessante del Palazzo è il
cortile porticato interno, su disegno di Andrea
Sansovino, con tre ordini di logge, sebbene l'ultimo non sia mai stato
completato. L'edificio insiste
sulle fondamenta dell'antico teatro romano. E’ uno dei più imponenti palazzi pubblici delle Marche. La sua
possente mole quadrata affaccia su Piazza Colocci, nell'area più alta della
città. Nel 1586 il Palazzo della Signoria fu ceduto al Magistrato Pontificio e
da allora divenne il Palazzo del Governatore, fino all'Unità d’Italia. Dopo
il 1861 divenne sede della Pretura della città.
Nella Sala Maggiore del magnificente Palazzo della Signoria, il 30 marzo prossimo (sabato) alle ore
17:30, verrà presentato il volume “Il
diritto alla felicità” (Novalogos editore) di Roberto Tiberi, avvocato e giurista, che a Jesi è nato e vive.
All’evento parteciperanno Massimo Bacci,
sindaco di Jesi, Renato Balduzzi,
professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università Cattolica di
Milano, e l’autore. L’incontro sarà moderato da Flavia Fazi, giornalista Rai. Ripercorrendo
il significato di felicità, dalla filosofia greca e latina ai pensatori dei
nostri tempi, Tiberi giunge a ricomprendere la felicità tra i diritti naturali
e inalienabili dell’uomo. Ad ogni modo questo diritto alla felicità individuale
è possibile solo a patto che si realizzi anche una felicità collettiva. “A tutti gli
uomini è riconosciuto il diritto alla felicità”, viene enunciato nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America,
votata a Philadelphia il 4 luglio 1776, mentre Epicuro asseriva “Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza
della felicità”.
Su
tali riferimenti di fondo, accennati nella sinossi appena riportata,
l’interessante testo di Roberto Tiberi
si dispiega in puntuali argomentazioni, che per ora non si vuole qui recensire.
Ma un richiamo certamente va fatto alla Prefazione, vergata da Franco Venarucci, magistrato, che nell’incipit
svolge queste considerazioni: “La
nuova opera dell’Avvocato Roberto Tiberi induce a stupore già dal suo titolo.
Abbandonati gli argomenti inerenti la tutela penale dell’ambiente con in quali
si è in precedenza confrontato, l’Autore ci trasporta con linguaggio mai
pomposo e compiaciuto, ma singolarmente agile e profondo, nella regione della
essenza della felicità. Finendo con il travolgerci con le multiformi declinazioni
con le quali il pensiero umano ha tentato di teorizzarla e definirla nel corso
dei secoli. […]”.
Di
estremo interesse è peraltro l’Introduzione, scritta da Pierfranco Bruni - archeologo, saggista e scrittore insigne - uno
degli intellettuali italiani più raffinati e fecondi, candidato al Premio Nobel
per la Letteratura. Proprio per l’articolata compiutezza del contributo del
prof. Bruni, introduttivo al volume, con il consenso dell’autore qui di seguito
se ne riporta integralmente il testo.
Introduzione
La felicità come premessa alla vita
Il diritto alla
felicità è un diritto o viverlo come un dovere? Questo straordinario libro di
Roberto Tiberi ci pone davanti a degli interrogativi forti. La felicità ci
rende sognanti. O il sogno ci regala briciole di felicità? Una vita contaminata
da parole in un tempo in transizione diventa un tempo traslocato.
Discordanze
Dalla discordanza
può nascere la felicità? Che cos’è la felicità? Mai dire che la felicità è una
leggerezza dell’anima o una dissolvenza che attraversa il dolore e lo supera.
Mai dire che la felicità ha la serenità tra le pieghe. Roberto Tiberi tocca il
nodo di Gordio della felicità oltre il modello epicureo. Si ha diritto alla
felicità. Oppure no? In questo senso il modello greco e poi latino hanno
richiesto una sopportazione del quotidiano. La felicità è un assentarsi dalle
difficoltà che diventano conflittualità. O forse è riuscire a convivere con
le infedeltà della propria anima? Si abita la vita per infelicità e per mito si
cerca di armonizzarla pur sapendo che è difficile incontrare il contrario. Si
ha diritto alla felicità. Bisogna essere in armonia con il proprio sé, con il
proprio senso, con il proprio orizzonte. Non credo che si possa dire che la
felicità sia un eterno o che la felicità sia un indelebile infinito che
accarezza la linea degli orizzonti, quando gli occhi diventano custodi di memoria.
Una memoria che attraversa lo sguardo… Tiberi scava nelle parole della
discordanza umana della felicità-serenità. La felicità è saper attraversare il
buio pur sapendo che nel bosco è difficile trovare la luce o è difficile sapere
che ci possa essere una luna che faccia da faro. Ognuno di noi vive la propria
felicità. O forse la condanna alla ricerca della felicità? Esiste un
immaginario di felicità che si cerca di tratteggiare attraverso il senso del
mistero. Ma la felicità è anche conoscere il superamento del naufragio delle
vite.
Questo mare infinito che diventa esistenza
La felicità è una
cognizione del sapere e non della conoscenza. Sapere o conoscenza. Io conosco
perché so, oppure so perché conosco. Essere felice è cercare il viaggio verso
la felicità. Una tentazione della armonia nella propria disarmonia. Esistono
dicotomie nella vita di ognuno di noi. Discordanze che fanno del tempo perduto
una misura della memoria e in questa memoria tutto ha un senso. Si incontra la
felicità? È possibile incontrarla, legarla, perderla. È necessario trovarla. È
impossibile non viverla. È impossibile non attraversarla. La non felicità è
l’ombra della morte? Il diritto ad essere felice è dato giuridico. La felicità
in ricerca è una metafisica. La linea che separa la meditazione contemplante
verso la felicità innocente è un viaggio spirituale, interiore che ci permette
di catturare il senso del quotidiano nel senso dell’interminabile. Noi
dobbiamo sempre illuderci del terminabile della fine, anche se pensiamo di
essere interminabili e tutto ciò che facciamo ci sembra interminabile. Ma
tutto ciò è parte integrante di una felicità che detta le regole al nostro
essere uomini e donne, in un processo che è mitico in cui le voci del destino
disegnano la struttura del nostro essere nel tempo.
Già… essere nel tempo è raccogliere i segni della felicità
Confrontarsi con
il tempo e restare nell’armonia della serenità significa conquistare, granello
dopo granello, la sabbia della felicità che entra nella clessidra che conta il
racconto di una vita. La felicità è fatta di granelli di sabbia che scendono
lentamente trasformandosi in vento e tempo. La
felicità è ciò che potremmo non avere, ma è anche ciò che, a volte, abbiamo e
che non riusciamo a comprendere, ad afferrare, a catturare. La felicità vive di
sublime. Poi si vive il distacco, la lontananza. Il dimenticato che ha la
verità del sublime nel vento. La felicità è anche saper riconoscere che c’è
stata, che è stata vissuta, abitata e che non è andata perduta. Questo libro di
Tiberi, infatti, è un messaggio autorevole che tocca il diritto e la metafisica.
Esistere nella felicità e nella memoria della felicità. Il tutto per non
perdere il senso della vita nel tempo. Un libro da leggere e consigliare come
lettura per scavare nel nostro profondo.
Roberto Tiberi è
nato a Jesi il 3 maggio 1965. Laureato in Giurisprudenza all’Università di
Macerata, con specializzazione in Diritto e Procedura penale presso
l’Università di Roma La Sapienza, è avvocato cassazionista. Già docente di
Master presso l’Università di Urbino e già componente della Commissione tecnica
di Valutazione dell’Impatto Ambientale presso il Ministero dell’Ambiente. E’
consulente giuridico della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività
illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad essi
correlati. L’avv. Tiberi è esperto di inquinamento ambientale e su tali
tematiche, in particolare sugli aspetti giuridici, ha scritto e pubblicato
numerosi volumi e articoli.