Una messa in scena sorprendente e originale che all’inizio stupisce lo
spettatore ma che con la sua idea moderna si rivela del tutto coerente con il
libretto e la musica: è la versione de “I Pescatori di Perle” di Bizet fino al
31 dicembre all’Opera di Anversa (dal
12 al 24 gennaio 2019 sarà a Gent).
Alla regia il collettivo teatrale di
Anversa FC Bergman che si avventura
per la prima volta nell'opera con un risultato più che vincente: l'atmosfera
misteriosa e onirica dell’idea base del libretto di Carré-Cormon e suggerita
dalla musica diretta dal maestro belga David
Reiland si mischia a un’ambientazione di duro realismo, che mette di fronte
all’immediata riflessione sul tempo che passa e la morte.
La storia di amore e amicizia fra Léïla, Nadir e Zurga prende avvio in un
ricovero per anziani e la narrazione si dipana da un lato fra stanze d’ospedale,
macchinari, sala operatoria, obitorio, refettorio e dall’altro in un’atmosfera rarefatta
in cui domina un paesaggio cornice del passato e degli episodi rievocati dai
protagonisti. Grazie a una continua rotazione dell’impianto scenografico - realizzato
dal quartetto Stef Aerts, Marie Vinck,
Thomas Verstraeten e Joé Agemans - presente e passato, sogno e realtà si sfiorano,
si evocano vicendevolmente.
Eccezionali gli interpreti: il soprano russo Elena Tsallagova è una Léïla strepitosa, duttile, dolce ed
energica, misteriosa e diretta. I suoi compagni di viaggio, il tenore Charles Workman e il baritono Stefano Antonucci, non sono da meno:
completamente al servizio dei personaggi, rendono in maniera delicata e
credibile i caratteri di Nadir e Zurga. Da sottolineare il grande contributo
del coro diretto da Jan Schweiger e
i giovani Stanislav Vorobyov, Bianca Zueneli e Jan Deboom.
Alla fine della prima, salutata con una standing ovation da parte del
pubblico, abbiamo incontrato e
intervistato Stefano Antonucci.
“Questa performance - ci dice - è stata un successo per tutti per il lavoro
svolto, un lavoro impegnativo ma molto interessante, perché questo team di
registi giovani sono realmente geniali. Certo, diciamo che di India non si vede
neanche l’ombra, però si vede chiaramente che c’è un’idea, una visione dietro
questa messa in scena”.
L’interazione fra artisti e
scenografia in questa opera è assolutamente importante, anche fisicamente: è la
prima volta per lei in una messa in scena così particolare?
Sì, perché in Italia è più difficile sperimentare cose di questo genere e
il pubblico è un po’ più tradizionalista. Però credo che uno spettacolo del
genere sarebbe stato molto apprezzato anche in Italia perché c’è davvero un
forte pensiero dietro questa messa in scena.
Come ha trovato l’idea del continuo e reciproco
richiamo fra passato e presente in quest’opera?
I registi l’hanno un po’ concepita come una sorta di sogno, i ricordi di
Zurga, della sua gioventù: infatti, praticamente sono sempre in scena senza
nessun intervallo, come se quello che accade in scena venisse anche dalla mia
mente.
Quest’opera di Bizet tratta
il sentimento dell’amicizia fra uomini. In ambito operistico, è facile tra
colleghi essere amici?
Sì, assolutamente. Perché no? Anche fra baritoni, fra cantanti della stessa
corda si può essere amici.
Che cosa si rivela essere “amico”
o “nemico” dell’opera?
Forse oggi per avvicinare i giovani all’opera bisogna anche produrre spettacoli
come questo. Probabilmente oggi un “Pêcheurs de Perles” à l’ancienne non
interesserebbe nessuno : il limite è sempre difficile, cioè trovare una
giusta collocazione senza stravolgere il pensiero dell’autore, del musicista,
del librettista però è chiaro che non si può rimanere ancorati e vincolati al
passato e rappresentare le opere così come venivano rappresentate nell’Ottocento.
Questo non vuol dire che non ci siano registi che approfittano un po’ di questa
libertà: qualche volta ci sono delle interpretazioni un po’ ardite ed estreme
che non hanno un filo logico, mentre qui, accettando questa visione dello
spettacolo, c’è assolutamente una coerenza.
Guardando a ritroso alla sua
carriera, come primo ricordo, in quale scena si vede?
In tante scene. Tante sono le opere che ho amato e cantato. Probabilmente Rigoletto che, però, non essendo un
baritono drammatico, lo vedo un personaggio anche più intimista, un padre
sofferente; però ci sono tanti ruoli affascinanti: difficile scegliere. Giovanni Zambito.