di
Andrea Giostra - Ciao
Patrizia, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Se volessi presentarti
quale artista della settima arte, cosa diresti di te ai nostri lettori?
Mi definirei una donna carismatica, ironica, attenta al dettaglio,
esteta, amante di tutto ciò che mi trasmette emozione, da un quadro, a una
fotografia, a una musica, ad un film e anche ad un volto. Si perché chi sceglie
la mia strada di regista, deve saper non solo ascoltare le proprie emozioni
personali, ma essere un ottimo spettatore, per poi ritrasmettere al pubblico
ciò che ha percepito a livello emotivo, sensoriale. Ho affiancato registi come
Dino Risi, ho avuto la responsabilità dell'ufficio stampa per la soap-opera
"Un posto al sole” (Raitre) e la gestione organizzativo-redazionale di
vari programmi televisivi. Dopo aver seguito il casting della trasmissione
"Sottovoce" di Gigi Marzullo, oggi sono parte integrante della
redazione di RaiUno Cultura e, da dodici anni, seguo "Mille e un Libro -
Scrittori in tv" sempre con il celebre giornalista e conduttore televisivo
italiano. Eccessiva in tutto, non conosco mezze misure; ossessionata
dall’immagine e dalle diete, pronta a mettere al servizio di Undici Edizioni la
mia esperienza con l'intricato - e pericoloso - universo dell’“apparire” con il
mio primo libro “Le ho provate tutte” (libro tragicomico che parla di diete)
che uscirà a marzo in concomitanza con la giornata mondiale sui problemi
alimentari.
Come
definiresti il tuo stile artistico? C’è qualche regista al quale ti ispiri?
Purtroppo dovendo seguire degli schemi molto specifici all’interno della
mia azienda (la Rai) non posso mai esprimermi come vorrei realmente, ma ciò non
toglie che io non abbia dei miti cinematografici, dei modelli ai quali
ispirarmi. Ma io direi Bernardo Bertolucci, Luca Guadagnino tra gli italiani,
mentre stranieri amo molto Woody Allen, i suoi dialoghi improvvisati mi
divertono molto e poi Martin Zandvliet che ha diretto uno dei film più belli
che abbia mai visto, “Land of mine”, una trama drammatica di guerra del 2015.
Chi
sono secondo te i più bravi registi nel panorama internazionale? E con chi di
loro vorresti lavorare e perché?
Bertolucci e il suo allievo Luca Guadagnino, due italiani che hanno
sbarcato il lunario. Perché amo una cinematografia lenta, non di azione, amo la
poesia che riescono a trasmettere attraverso le loro storie. Per me tre cose
sono importantissime in un film, la fotografia, la scelta oculata degli attori,
e le musiche. A mio avviso non è necessario spendere cifre esorbitanti per fare
un capolavoro cinematografico.
Quanto
è importante nel cinema lo studio e la disciplina? Perché secondo te, un
giovane che volesse lavorare nel mondo del cinema o della televisione deve
studiare, perfezionarsi e fare esperienza?
Personalmente ritengo che si impari molto di più sul set facendo
pratica, che stando sui libri. Certo la teoria serve per perfezionare certe
tecniche di ripresa, ma la pratica senza dubbio è la miglior scuola.
Chi
sono stati i tuoi maestri?
Tanti, troppi, ma il più grande e il più importante, il regista Dino
Risi, che mi ha fatto anche un po’ da padre. E poi aggiungerei anche Massimo
Troisi. Per la televisione, dire il giornalista napoletano Pascal Vicedomini,
al quale devo molto, e con lui ho fatto le mie esperienze più belle a livello
lavorativo.
Alcuni
programmi televisivi fanno passare l’idea che per diventare artisti o attori,
basta solo avere fortuna ed essere lanciati dalla “notorietà social o
televisiva”. Tu che ne pensi di questo fenomeno?
Per quanto mi riguarda, in Italia, c’è poca meritocrazia a livello
televisivo, anche perché lavorare in televisione è diventato più difficile,
mentre al cinema, ci sono attori e registi giovani molto bravi.
«Comunicare in modo visivo e tramite la musica significa superare le
rigide classificazioni basate sul linguaggio verbale da cui la gente non riesca
a staccarsi. Le parole hanno un significato molto soggettivo e altrettanto
limitato, e circoscrivono subito l’effetto denotativo che può avere un’opera d’arte
a livello emotivo e subconscio. Il cinema è fortemente legato a quel tipo di
espressione, perché di solito i contenuti più importanti di un film sono ancora
affidati al veicolo delle parole. Poi c’è un’emozione che li sostiene, ci sono
gli attori che generano sensazioni, e via dicendo. Ma sostanzialmente è
comunicazione verbale.» (Conversazione con Stanley Kubrick su 2001 di
Maurice Rapf, 1969). Cosa pensi
di queste parole di Kubrick? Qual è la tua posizione in merito alla tipologia
di linguaggio che dovrebbe essere usato nel cinema, ma anche nella TV, per
essere più incisivi con lo spettatore?
Quest’anno, se non sbaglio, cade il 50esimo anniversario del film “2001
Odissea nello spazio”. Credo che Kubrick sapesse utilizzare, meglio di qualsiasi
altro autore e regista, la musica operistica, mettendola a servizio del grande
schermo, quasi riscrivendola, connotando il suo linguaggio visivo ed il suo
stile con estrema eleganza e padronanza. Quel film capolavoro ne è, appunto,
una testimonianza calzante. Kubrick è da considerarsi un maestro celeberrimo
anche per la brillante confluenza di generi con cui si è confrontato nella sua
carriera, realizzando ogni film diverso dall’altro. Oggi nel cinema dovrebbe
essere utilizzato, a mio avviso, un linguaggio diretto e che non trascuri i
dettami principali della settima arte: far pensare e riflettere a fondo,
emozionare, stupire, sognare. Il cinema non dovrebbe perdere la dilatazione del
racconto, i tempi lenti e minuziosi, continuando a differenziarsi dal
linguaggio televisivo. Credo che la TV, avendo una diffusione più ampia,
dovrebbe riacquistare la capacità educativa che aveva un tempo.
Qual
è il ruolo della critica cinematografica oggi? Quale dovrebbe essere a tuo
parere il suo vero compito per promuovere la cultura del cinema?
Innanzitutto la critica cinematografica deve esprimersi con estrema
sincerità e non essere mai troppo di parte e mai troppo buonista. Lo dice la
parola stessa “critica”, nel bene o nel male, deve saper indirizzare e guidare
lo spettatore con estrema obiettività, alla scelta di un film, cosa non facile,
anche perché è inevitabile non mettere il proprio gusto personale in ciò che si
è visto. Ma il critico deve conoscere molto bene tutti gli aspetti della
cinematografia, dalla fotografia, dalla regia, dalla recitazione, alla
sceneggiatura e avere un quadro molto completo del tutto.
Ci
parli dei tuoi ultimi lavori e dei lavori in corso di realizzazione?
Io sono regista Rai, ma non sono mai stata sotto i riflettori, giro
servizi, intervisto scrittori, lavorando nello specifico in un programma su
Raiuno che si occupa di libri. Ma niente di più. Sto finendo la stesura di un
corto sul bullismo. In primavera dovremmo cominciare le riprese. Chissà che
qualcuno non si accorga di me.
Immagina
una convention all’americana, Patrizia, tenuta in un teatro italiano, con
qualche migliaio di adolescenti appassionati di teatro e cinema. Sei invitata
ad aprire il simposio con una tua introduzione di quindici minuti. Cosa diresti
a tutti quei ragazzi per appassionarli al mondo della recitazione, del teatro e
del cinema? Quali secondo te le tre cose più importanti da raccontare loro?
Ma sai, io mi sono appassionata più che al teatro al cinema, perché ho
avuto la fortuna di vivere in casa con il grande regista italiano Dino Risi, e
conosciuto tanti, ma tanti attori e registi di grosso calibro. Ho lavorato su
vari set, ma come apprendista, ho iniziato all’età di 17 anni. Spiavo e allo
stesso tempo osservavo il loro mondo nei dettagli. Spesso stavo in un angolo al
freddo in silenzio, anche di notte, ma non mi perdevo mai una scena, una
battuta. Poi tornando a casa, mi chiudevo in bagno facevo finta di dirigere un
film, e con grande entusiasmo mi immedesimavo nella parte. Collezionavo dvd di
ogni genere e mi riguardavo per ore sempre le stesse scene, fino ad impararle a
memoria, ma capii già da allora che la recitazione non faceva per me, la regia,
senza dubbio mi affascinava di più. Cosa direi a una platea di ragazzi per
appassionarli? Intanto di crederci fino in fondo a ciò che vorrebbero fare, e
poi di studiare, studiare e ancora studiare, di non avere mai la presunzione di
essere arrivati al traguardo. Di mettersi in una posizione di umiltà e imparare
da chi ha più esperienza di loro. Di abbracciare qualunque genere teatrale,
cinematografico e poi alla fine di un percorso completo, si arriva da soli a
capire ciò che si ama di più e ciò che più consono per noi stessi.
Dove
potranno seguirti i tuo ammiratori e i tuoi fan?
Bella domanda. Ma io non credo di aver mai avuto dei fan, se non mio
figlio e i miei amici più stretti. Comunque su Facebook, con il mio soprannome:
Papy Caldonazzo.
Patrizia Caldonazzo
Andrea Giostra
https://andreagiostrafilm.blogspot.it
https://business.facebook.com/AndreaGiostraFilm/