È una Chanel segreta quella che viene
rappresentata da Sara Platania. Mostra l’infanzia e l’adolescenza
nell’orfanotrofio, con delle suore che tutto sapevano fare tranne sostituirsi
alla mamma. Al Teatro Stanze Segrete, dal 2 al 6 maggio - di Io, Gabrielle - Chanel Segreta, atto unico di Valeria Moretti, con la regia di Gianni De Feo
I travagli infantili ne fanno una donna forte e ha il suo riscatto, diventando
“Coco” una donna autoritaria che tutto il mondo conosce ed ama, alla stessa
stregua degli uomini che l’hanno amata ma ai quali non si è mai legata perché
era una donna libera ed indipendente.
Sulla scena è avvolta da un lenzuolo bianco, quasi fosse un bozzolo che la
protegge. Si sente echeggiare la voce di Jean Cocteau, grande amico della
stilista.
Il racconto è struggente ma coinvolge il pubblico presente senza mai cadere nel
cliché!
Coco era
più eroina, zingara indipendente o una bambina ribelle?
Diciamo tutte e due. È stata una bambina ribelle nell’orfanotrofio e
poi da grande zingara indipendente. È eroina nel suo ambito, è stata una
figura fondamentale del suo tempo, la prima femminista del 900. Senza quei
travagli infantili non sarebbe riuscita ad arrivare. È stato un riscatto da
parte sua.
In questo spettacolo, l’attenzione è
focalizzata su infanzia e adolescenza di Chanel. Quali sono i punti che vengono
messi più in rilievo?
Le atmosfere dell’orfanotrofio. Nello spettacolo dice “e le monache prive di gioia, chiuse nei loro abiti scuri, con le cuffie inamidate e
immacolate”. Nei colori che userà, il bianco e il nero, che sono i colori che
usavano le monache, esce fuori la freddezza dell’orfanotrofio.
In scena ci sono una bacinella, una bambola di pezza e un telo bianco. Cosa
rappresentano?
Sono degli oggetti simbolo della sua infanzia. Lo spettacolo
ruota attorno a questi oggetti simbolici della sua infanzia che ritorna sempre
e che viene ricordata da lei.
Perché Coco confida ad un inatteso e inconsueto interlocutore il suo passato? Perché è la parte più intima di
lei, si confida con la bambola perché non si fida neanche delle sue
modelle. Si fida di questo fantoccio che
considera come un’amica, un interlocutore fidato, silenzioso che ascolta i suoi
pensieri e le sue confessioni. È stata un’idea molto originale del Regista
Gianni De Feo che ha curato la Regia in maniera impeccabile. Ha soprattutto
focalizzato questi oggetti feticcio-simbolici in tutto lo spettacolo. Bisogna
essere fortunati a lavorare con lui perché è un Grande artista. Per me è stata
una grandissima fortuna perché con la sua Regia ha dato delle sfumature
particolari al personaggio ed ha creato delle atmosfere suggestive.
Affermava “Sono io il solo cratere d’Alvernia
che non si sia spento”. Cosa c’è di vero?
Lei viveva di luci e di ombre. Le
ombre rappresentano la sua infanzia. Le luci sono la forza che lei si è creata.
Dice che l’unico compagno che le abbia tenuto testa è il cavallo perché si
ritiene molto simile a lui, una puledra che non vuole essere domata. Il
riferimento al cratere è dato dal fatto che lei ha resistito ed ha combattuto
contro tante vicissitudini ed ha vinto tante battaglie della sua vita. E’
sempre rimasta libera e indipendente.
Che cosa ha portato di suo, nel
personaggio?
Ho portato la mia indipendenza, nel mio piccolo ho creato
un’associazione culturale e la considero una mia creatura che ho creato con le
mie forze, ovviamente il paragone è un po’ azzardato ma contando solo su
quelle, sono riuscita a creare qualcosa di mio. È uno spettacolo che mi
autoproduco ed è già un sogno che ho realizzato.