Fino al
15 aprile alla Sala Umberto "La Partitella" di Giuseppe Manfridi per la Regia
di Francesco Bellomo. Scenografie di Carlo Demarino, Musiche di Antonio Dipoli. Produzione Isola
Trovata.
In scena
venti ragazzi della periferia est di Roma. Uno sterrato su cui passa un
cavalcavia. Viene rappresentato il dopo e poi l’antefatto a significare quanto
sia cambiata per alcuni di loro, la vita. Devono fare una partita di calcio e
alcuni come supporter hanno le loro ragazze (brave Chiara Buonvicino nel ruolo di
Rita e Chiara Tron in quello di Sissi). Parlano dei loro sogni, delle loro
aspettative per il futuro, della vita di tutti i giorni. Come fanno tutti i
ragazzi della loro generazione a qualsiasi quartiere appartengano e qualsiasi
ruolo occupino nella società.
Pur nel suo piccolo ruolo all’inizio dello spettacolo, cantore per il pubblico
di quello che era successo l’anno prima, abbiamo trovato straordinario, Teo
Guarini che con grande padronanza della scena e grande ritmo teatrale, ci
regala un piccolo cameo. Forte anche dei suoi studi teatrali e dei testi
affrontati in precedente. Uno fra tutti “Non me lo posso proprio perdere” e
sicuramente non lo perderemo perché dotato di talento e tenacia, la sua strada
è tutta da percorrere in salita. Per Fattitaliani.it abbiamo intervistato Teo Guarini.
Quale
microcosmo rappresenta “La partitella”?
Siamo a Ponte
Lanciani, siamo in una realtà periferica anche se oggi non è più considerata
periferia. Siamo venti ragazzi con le loro storie e la loro vita che abitualmente
organizzano delle partite di calcio e ce n’è una più importante delle altre
perché sarà presente un importante osservatore di una famosa squadra di Serie A
perché c’è Furio che ha un particolare talento nel giocare a pallone. Purtroppo
mentre Furio si reca al campo da calcio per giocare la partita che potrebbe
cambiare la sua vita, cade dal motorino si fa male ad una gamba e quindi non
riesce più a giocare ai suoi livelli. Di questo infortunio ne giova un altro
ragazzo che è lì casualmente ed entra a giocare al suo posto e si scopre essere
ancora più forte di Furio e alla fine viene preso. Il microcosmo è
rappresentato da queste storie molto semplici, ordinarie e quotidiane di un
ambiente povero dove non ci sono grandi aspettative e prospettive perché i
ragazzi sono indecisi e pieni di dubbi su qualsiasi scelta.
Quanto conta il destino in ognuno di noi?
Dipende da come ti approcci alla vita, dal tuo credo. Sono favorevole all’idea
che ognuno è artefice del proprio destino e che non ci sia nulla di
prestabilito. Siamo noi stessi, con le nostre idee, i nostri valori, le nostre
scelte che lo costruiamo. È probabile che qualcuno nasca per qualcosa ma non
possono mancare l’impegno, la dedizione e la determinazione di raggiungere
quello che si vuole.
Chi è Andrea il tuo personaggio?
È un po’ marginale, apro lo spettacolo insieme a Stefano (Elio Musacchio) e
Massimiliano (Daniele Locci), parlando di ciò che era successo l’anno prima.
Poi Andrea esce perché va a giocare la partita e rientra in un paio d’occasioni
ma fugacemente. Non è un personaggio influente per la storia, informa lo
spettatore di quello che è accaduto, visto che lo spettacolo inizia un anno
dopo l’ultima partita giocata. E’ il più grande del gruppo. A venti anni sei un
po’ confuso, non sai quali responsabilità tu possa prendere, non ha una
famiglia forte che lo sostiene e se non ha una propria forza interiore, spesso
si può perdere e diventare un perditempo. Considero mio padre un uomo fortunato
perché essendo nato a ridosso degli anni 50 e avendo venti anni nel 68, ha
vissuto il periodo migliore dell’umanità, nella migliore età. Ha conosciuto i
grandi della musica come i Beatles, Rolling Stones, Jimmy Hendrix. Ha vissuto
quel fermento culturale e rivoluzionario anche dal punto di vista economico. La
storia è una sinusoide, lui si è beccato il punto più alto, invece a me è
toccato quello un po’ più bassetto, non troppo ma rispetto al suo è senz’altro
diverso. Sono comunque contento di essere nato in questo periodo e sono
consapevole che s’impara anche dalle sconfitte. Riuscire ad affermarsi in
questo momento, mi fa sentire ancora più orgoglioso. Ci vuole tanta forza,
energia, pazienza, tenacia, costanza. A me piace guadagnarmi le cose.
Cosa c’è nel tuo futuro?
La mia
stagione teatrale è conclusa, sto lavorando su diversi progetti ancora in
divenire. La vita di attore procede.
Elisabetta Ruffolo