Ad Anversa, a distanza di cinque anni, è tornato "Parsifal" nell'allestimento diretto da Tatjana Gürbaca e la direzione musicale del Maestro Cornelius Meister.
Una messa in scena che ha alleggerito l'ultima opera di Wagner spogliandola da ogni riferimento religioso e liturgico della cristianità, sostituendo i simboli della fede con altre immagini evocative ma non tutte ugualmente efficaci: bene il sangue che cola sulla parete del fondo e la presenza delle donne anziane, meno gradita la trovata dei selfie.
Delle ambientazioni originali è rimasto nulla. I personaggi interagiscono in uno spazio nudo e sembrano essere guidati dal gioco di luci, a cura dell'ottimo Stefan Bolliger, che ne accelerano e rallentano i movimenti.
Nel ruolo del titolo il tenore americano Erin Caves, che pur non rientrando in un canonico physique du rôle che ci si aspetterebbe da un "Salvatore", riesce ad esprimere ingenuità e semplicità del personaggio.
Di grande spessore l'interpretazione del mezzosoprano tedesco Tanja Ariane Baumgartner che nel secondo atto brilla di luce propria sfoderando una voce potente che ben disegna i due aspetti caratterizzanti di Kumdry, la seduzione e il pentimento.
Christoph Pohl è Amfortas che emerge in tutta la sua sofferenza specialmente nel terzo atto, mentre il basso slovacco Štefan Kocán (intervista di Fattitaliani) su una sedia a rotelle incarna l'anziano Gurnemanz con perfetta padronanza del timbro e della resa, reggendo su di sé il peso di un primo atto un po' lungo e poco dinamico. Titurel e Klingsor hanno la voce e il volto rispettivamente di Markus Suihkonen e Kay Stiefermann.
È il secondo atto la parte più affascinante di questo Parsifal: l'apparizione delle fanciulle in sottoveste e il loro cambio di costume unito a un canto corale di eccezionale levatura diretto da Jan Schweiger, dà i brividi. Un tutt'uno con un accompagnamento musicale che alterna sobrietà e potenza avvolgente. Giovanni Zambito.
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