Passati
come al solito come il vento questi 12 giorni di festival a Cannes
sessantanove, che ci lasciano, di tanti film visti in competizione e
non, i vincitori ed il rimpianto per tutti quelli che non hanno
portato a casa nessun riconoscimento e su cui avevamo puntato.
Cominciamo dalla prestigiosa sezione Un
Certain Regard,
l’unico film italiano qui in concorso, Pericle
il nero,
che vede Riccardo
Scamarcio
produttore ed interprete, tornare a casa a mani vuote e sì, perché
il riconoscimento è andato ad una storia vera, raccontata in
bianco e nero, quella del boxer Olli Mäki
e del suo combattimento, nel 1962, contro il campione americano Davey
Moore, The
Happiest Day in the Life of Olli Mäki, firmato
dal regista finlandese Juho
Kuosmanen.
Il giapponese Harmonium,
di Kôju
Fukada
ha guadagnato il premio della giuria, e Matt
Ross
con Captain
Fantastic,
interpretato
dal sempre bravo Viggo
Mortensen
si è aggiudicato quello della miglior regia. La sceneggiatura
migliore è stata quella di Delphine
e
Muriel Coulin
per The
Stopover
ed il premio speciale della giuria è andato a The
Red Turtle,
di Michaël
Dudok de Wit,
film d’animazione franco-giapponese che qui è molto piaciuto.
Per
la Quinzaine
des Realizateurs il premio va a Wolf
and Sheep,
opera prima dell’afgano Shahrbanoo
Sadat.
Una vita oltre la morte, a questo ci ha fatto pensare il premio SACD
per
i film in lingua francese, assegnato al bel lavoro di Solveig
Anspac,
scomparsa l’anno scorso in giugno, autrice de L’Effet
Aquatique,
mentre il premio Cinema
Europeo
è
andato a Sacha
Wolff
per Mercenaire .
Il
Grand
Prix Nespresso
per La Semaine
de la critique
ha laureato poi Olivier
Laxe
con il suo Mimosas,
una coproduzione franco/marocchino/spagnola. Ad
Album
di
Mehmet Can Mertoğlu ecco
il premio rivelazione France
4,
mentre quello Fondazione
Gan
è andato a Sophie
Dulac
per la distribuzione di One
Week and a Day di
Asaph Polonsky. Il
SACD degli
autori francesi se lo è aggiudicato
Diamond
Island di
Davy
Chou
e Claire
Maugendre.
La
Fipresci,
la giuria internazionale dei critici, che quest’anno come il SNGCI
compie
settant’anni,
ha ricompensato, per la competizione, Tony
Erdmann, uno
dei più gettonati candidati alla
Palma
d’Oro, firmato dalla regista tedesca Maren
Ade
che racconta in due ore e quarantadue minuti che però scorrono via
leggeri, come un padre, preoccupato che la figlia non abbia più la
joie
de vivre
di un tempo, decide di trasformarsi in Tony Endermann, un
personaggio che lei non conosce iniziando così un rapporto non
proprio dei migliori ma che si rivelerà invece, con il passare
del tempo, un qualcosa di veramente speciale. Per la sezione Un
Certain
Regard
premio Fipresci poi a Dogs,
e, per la Semaine de la Critique, a
Raw .
In
una premiazione piuttosto piatta che stentava a decollare con il
maestro di cerimonie, Laurent Lafitte, che procedeva cautamente con due
piedi in una scarpa, dopo la reprimenda che devono avergli fatto per
la battuta poco felice la serata dell’inaugurazione nei riguardi
di Woody Allen e Polansky, ecco a focalizzare l’attenzione su un
linguaggio certamente libero a causa dell’entusiasmo della regista
Houda Benyamina, premiata con la Camera d’Or per Divines. “Sono
contenta di essere qui, perché il Festival è anche nostro”
tornando sul discorso che alla Rassegna cannense c’è poco spazio
per le donne. Molto, forse anche troppo disinvolta ha poi lanciato un
omaggio tutto personale al delegato della Quinzaine des Réalizateurs
‘Wintrop,
tu as du clito’,
lasciando la platea a chiedersi se avesse capito bene. Continuando
sempre sul filo dell’entusiasmo ha ringraziato poi anche tutta la
sua équipe, a cui confessa, non ha certo fatto dei regali,
incitandoli a dare il meglio di sè… togliendosi le dita dal… naso
“personalmente,
quando ero più giovane, insieme a mia madre, facevamo le pulizie
sugli aerei. Ho fatto dei lavori di m… Non si ha il diritto di
essere stanchi quando si lavora nel cinema”.
E
dopo questa parentesi inaspettata e, tutto sommato divertente ,
eccoci alla Palma d’Oro per i cortometraggi che è andata a
Timecode
di Juanio
Gimenz, mentre
la menzione speciale della guria se l’è aggiudicata The
Girl Who Danced with the Devil di
Joao
Paulo Miranda Maria
.
E
parliamo, adesso della competizione ufficiale, l’Award per la
migliore interpretazione maschile è andato a Shahab
Hosseini
per The
Salesman
di Asghar
Farhadi,
migliore attrice è stata invece Jaclyn
José interprete
di Mà
Rosa
di Brillante
Mendoza,
America
Honey
di Andrea
Arnold
, porta a casa il premio della giuria, mentre quello per la
sceneggiatura è andato ad Asghar
Farhadi
per The
Salesman.
Il premio per la regia è un ex aequo, a Christian
Mungiu
per Baccalaureat
ed Olivier
Assayas
per Personal
Shopper.
Ecco
poi Xavier Dolan orgoglioso vincitore del Gran Prix, autore di It’s
Only the End of the World
di cui siamo stati entusiasti fin dal principio. Il film, alla
proiezione stampa era stato accolto da applausi, così ci siamo
meravigliati non poco quando, il mattino seguente, su quasi tutti i
giornali, soprattutto quelli del Quebec,
paese di Dolan,
gli avevano distrutto il film. Che la stampa del Quebec
si lamenti sempre di tutto, ne abbiamo una prova costante al Festival
des films du monde a Montreal, dove sparare contro la Croce Rossa
per loro è diventata un’arte elevata all’ennesima potenza, ma
forse, per tutti gli altri colleghi internazionali, era un tiro al
piattello su ‘come ti distruggo il ragazzo’ una reazione per
averlo giustamente incensato due anni fa per Mommy.
Emozionato come pochi, Xavier ringraziando tra le lacrime ha lanciato
anche una battuta ai critici, “Non
è mai facile cercare di condividere le emozioni con degli altri …
Tutto quello che si fa, nella vita, lo facciamo per essere amati. Io
lo faccio per questo. Più passano gli anni e più mi rendo conto che
è molto difficile essere capiti. Ed ha chiuso con una citazione ad
hoc di Anatole France ‘preferisco la follia della passione alla
saggezza dell’indiffernza’. Le
sue lacrime, autentiche, spontanee, liberatorie dopo le cattiverie
che gli hanno lanciato contro in questi giorni, hanno commosso il
pubblico. Bravo Dolan, coraggioso ed autentico che non ha paura di
piangere in pubblico per rivelare le sue emozioni.
E
veniamo finalmente alla Palma
d’Oro,
anche qui eravamo veramente
in pochi a fare il tifo per Ken
Loach.
La maggior parte dei colleghi sparava titoli assurdi per il massimo
riconoscimento cannense, ma finalmente, il prestigioso premio è
andato all’ottantenne, fantastico regista britannico per il suo
splendido, commovente ed indimenticabile I, Daniel Blake.
Mariangiola
Castrovilli