Cina: il Pil scende a 6,9%, il livello più basso in 25 anni

Ancora rallentamenti per l’economia cinese. Il Pil scende a 6,9%, il livello più basso in un quarto di secolo. E' vero che, dopo il clamoroso picco di crescita al 14% del 2007, l'obiettivo di Pechino è ormai il 7% e non di più, e dunque non lontano dalla realtà attuale. Ma in ogni caso preoccupa l'andamento della Borsa altalenante degli ultimi tempi e le possibili conseguenze dei cambiamenti nell'economia reale che sta attraversando il gigante Cina. Fausta Speranza ne ha parlato con Franco Bruni, docente di politiche monetarie all'Università Bocconi, appena rientrato dalla Cina: 

R. – Naturalmente i mezzi di informazione non sono trasparenti, il governo non è trasparente, quindi  la sensazione è abbastanza poco chiara. Certo, c’è un ritmo di attività e un clima, anche psicologico, non travolgente ed entusiasta come quello di un paio di anni fa.
D. – Rallentamento dell’economia, tra borsa ed economia reale. Che dire?
R. – Loro stanno facendo – diciamo – due grossi esperimenti di trasformazione. Hanno due grandi progetti economici: da un lato, quello di trasformarsi da un’economia concentrata sulle esportazioni in una economia concentrata sui servizi e sui consumi interni. Un lavoro molto, molto difficile che va accompagnato con provvedimenti di vario genere - liberalizzazioni, incentivi, trasformazioni fiscali ed amministrative - e ha con sé un risultato di tipo occupazionale, perché è nei servizi. Questo, quindi, dovrebbe aiutare ad assorbire l’offerta di lavoro, anche con tassi di crescita più bassi, che sono il risultato normale della trasformazione dall’industria ai servizi. I servizi, infatti, hanno una produttività che cresce meno. Il discorso, dunque, funziona, è disegnato da tempo. Di solito i cinesi hanno la vista lunga, invece che corta, solo che è tremendamente difficile da realizzare, anche dal punto di vista sociale e politico.
D. – L’altra trasformazione è quella di aprirsi alla finanza internazionale, con libertà di uscita e di entrata dei quattrini, e internazionalizzazione della moneta. Qui credo, invece, che abbiano fatto un po’ di pasticci. E’ una trasformazione necessaria, perché hanno bisogno di investimenti internazionali, per fare questo lavoro di modernizzazione interna.  E’, però, obiettivamente stato fatto, probabilmente, con una serie di incidenti di comunicazione, forse anche troppo affrettatamente, con un rapporto non chiarissimo con il Fondo Monetario Internazionale. Forse hanno fatto tutto questo troppo svelti e, quindi, è venuto fuori un pasticcio finanziario, che poi diventa anche mediaticamente la notizia “La borsa di Shanghai crolla”. Il problema non è quello.
D. – In realtà, lo stato dell’economia cinese potrebbe davvero, come dicono alcuni analisti, essere peggiore di quanto non indichino i dati ufficiali?
R. – No, io penso, anzi, che sia migliore di quello che molti in questo momento pensano. L’aspetto che mi preoccupa di più è proprio quello finanziario, che ha a che fare anche con debiti eccessivi di alcuni operatori cinesi, pubblici e privati, comprese le province e le loro regioni, comprese le banche. C’è un grosso indebitamento. Parte di questo indebitamento è in dollari. Se aumentano i tassi di interesse, quindi, sul dollaro, può essere antipatico. E c’è questa borsa ancora incerta. Quindi, c’è disordine finanziario, che potrebbe anche avere delle conseguenze traumatiche e di breve periodo. Invece, però, la struttura di base dell’economia, la capacità produttiva, la competitività potenziale futura, è meglio di quello che la gente pensi. C’è questo grandissimo problema dell’inquinamento, che è un costo anche sociale e alla fine economico, che va considerato, e loro lo stanno mettendo in conto, stanno tenendone conto. Il cammino, però, per riuscire a ripulire quello che hanno sporcato è veramente un cammino lunghissimo. Sta andando molto svelto, ma è un cammino talmente lungo che costituisce un grosso costo per loro, per il loro sviluppo. Fausta Speranza, Radiogiornale del 19 gennaio 2016.
Fattitaliani

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