Quante volte
al giorno, di questi tempi, sentiamo o usiamo la parola crisi?
E, poiché
ci riferiamo al delicato momento che sta attraversando l’economia
nazionale (e quella mondiale), l’avvertiamo come una maledizione.
Ma di crisi si parla anche in altri campi, non solo in quello
dell’economia.
La salute,
l’umore personale, le relazioni sociali, tutto è soggetto a crisi.
Inoltre di punto critico
si parla anche a proposito dei fenomeni naturali della fisica e della
chimica. Senza il quale gli stessi fenomeni sarebbero
incomprensibili.
Quanto
invece alla politica (e alla economia, ad essa intimamente
collegata), la crisi è sì un momento di difficoltà; ma che
consente – una volta superato – di riprendere il cammino con
rinnovate energie, nuove intenzioni, e nuove prospettive. Vorrei
dire: se non fosse così, allora … a che cosa servono i
responsabili del governo delle nazioni?
Ora
scopriamo però che la parola greca κρίσις, da cui proviene la
parola italiana “crisi”, significa: separazione,
scelta, e, solo come
conseguenza, anche giudizio
e sentenza.
Κρίνω,
infatti, il verbo all’origine di queste parole, significa appunto:
distinguo, scevero,
separo, e anche
giudico. Tutte azioni
che presuppongono una presenza attenta e responsabile della persona
che deve affrontare la crisi.
Altre parole
dell’antica lingua greca con la medesima radice, da cui discendono
per forma e significato i termini moderni, sono: κριτικός
(aggettivo) che – all’origine – significa “adatto a
giudicare”, oppure “che riguarda il giudice”; υποκριτής
(sostantivo) che significa attore,
simulatore. In
italiano e nelle altre lingue che continuano ad usare la parola
“ipocrita”, essa – per antonomasia – è andata ad assumere un
significato molto più marcato (= falso).
Appartengono
alla stessa famiglia: critica,
criterio (regola di
giudizio) e crivello
(attrezzo che serve a separare particelle di materiali o piccoli
oggetti di diversa dimensione).
Luigi
Casale