Al mio amico Toni. L’AQUILA
- Sono molto stanco a seguito di una lunga giornata d'impegni. Torno
a casa verso sera: quando il silenzio diffonde in ogni angolo di
questo piccolo borgo montano posto nel cuore del leggendario
Appennino Abruzzese. Chissà perché il sopraggiungere della fine del
giorno porta la mia mente ad una intensa riflessione: ad una
approfondita ricerca di come un uomo debba giustamente vivere la
propria vita non solo per se stesso, nell'egoismo, ma anche in
aiuto degli altri. Laggiù, in lontananza, vedo trasparire tra lo
scintillio degli ultimi bagliori rossastri del tramonto l'immagine,
inconfondibile, della cuspide rocciosa del Gran
Sasso.
Quella
montagna da sempre vicina alle genti d'Abruzzo, e che spesse volte di
essa ho avvertito il richiamo, ancora una volta sarà protagonista di
un ennesimo e storico incontro. E' proprio essa con la sua solitudine
a tenere, assieme a tante vette alpine, in segreto il mio passato: le
tante sensazioni che ogni uomo di montagna prova alla fine di ogni
ascensione, l'eco delle mie parole tra le sue rocce verticali.
Ciò
che sto dicendo può essere di facile comprensione per ogni uomo che
della montagna fa una delle tante ragioni di vita. Per colui che,
spesso e volentieri, con un sacco a pelo sulle spalle, sotto un cielo
terso di stelle, adagia il suo corpo tra le rocce ghiacciate delle
alte montagne. Là dove il sibilo del vento è la misura stessa del
silenzio: in attesa dell'alba e continuare il suo cammino ed appagare
il suo desiderio di vita.
Mi
trovavo a sciare in Trentino:
in val di Fassa. Era una giornata di freddo e bufera sulle piste del
Ciampac. Per vivere, nella maniera più vera, l'effetto di quelle ore
in cui la montagna si presentava con il suo aspetto invernale: io e
Toni decidemmo di portarci verso la sommità di quell'anfiteatro
incastonato tra le vette Fassane cancellato dalle gelide nebbie. Soli
scendevamo da sella Brunec spinti dalle folate di un vento forte
misto a neve: tali da cancellare la visuale di ogni direzione. In un
attimo di sosta il mio amico oltre a darmi a capire, con parole, la
sua soddisfazione nel godere l'effetto di quella tormenta, mi
confidò il suo desiderio di scendere con gli sci, appena le
giornate diventavano più lunghe, la parete più alta del Gran Sasso:
quella di nord–est. Aggiunse poi: “Ora che torni a casa aspetto
da te le informazioni riguardanti le condizioni dello strato nevoso
di quel versante di montagna”. Scendemmo in basso verso la sua
vecchia baita trasformata, da qualche tempo, in un punto di ristoro e
di incontro per alpinisti. C'erano ad aspettarci dei nostri amici con
i quali mangiammo insieme raccontando il nostro passato trascorso
sulle vette alpine.
Toni
Valeruz e il Gran
Sasso, lo storico incontro. Quell'uomo venuto dai monti: figlio della
Marmolada.
Quel mio amico da tempi lontani, con un paio di sci sulle spalle,
vuole salire sulla vetta più alta dell'Appennino e poi scivolare a
valle tra i vari pericoli delle nevi primaverili. Pur conoscendo Toni
non nascondo il mio stato di leggera tensione durante la notte. Mi
viene voglia di invocare il Gran Sasso affinché sia buono: affinché
l'incontro tra i due avvenga in maniera amichevole. Non sono ancora
convinto se definirlo un incontro oppure una sfida. Ed è
quest'ultima idea che infonde in me un senso di preoccupazione
pensando a cose strane. Domani mattina sarò il solo compagno di Toni
nel salire la vetta ed assistere all'atteso incontro tra i due amici:
il grande gigante e il piccolo uomo. Dopo cena prepariamo gli zaini,
le corde, gli sci e tutto il necessario per andare su di una montagna
ancora imprigionata tra i ghiacci della fredda stagione. Travaso del
the freddo nelle borracce. Preparo qualcosa da mangiare: quando tutto
è al suo posto andiamo a dormire. Abbiamo deciso di partire assai
presto nella mattina seguente. La nostra speranza è' quella di
trovare ancora una neve dura e non molle in modo da ridurre le
difficoltà nel portarci su in alto.
Alle
tre e mezzo suona la sveglia. Balzo rapidamente dal letto e mi
precipito in cucina cercando di approntare una semplice colazione con
caffè, cioccolato e frutta. Ecco che arriva Toni con passi leggeri:
timoroso di svegliare qualcuno dei miei famigliari. Finita la
colazione e caricato sulla macchina tutto il necessario approntato
per l'ascesa in fretta ci avviamo per raggiungere, al più presto, la
base di quella parete.
A
quell'ora percorrendo l'autostrada ci accorgiamo di essere gli unici
girovaghi della notte. La città dell'Aquila e il piccolo centro
abitato di San Nicola, posizionato nel punto della nostra partenza,
dormono ancora un sonno profondo. Si inizia a salire in direzione del
Vallone delle Cornacchie accompagnati, per un tratto, dal continuo
latrare di un cane e dal mormorio delle acque del torrente dirette,
con continui balzi, verso il mare Adriatico. Ad un tratto, nella
semioscurità dell'alba, notiamo a poca distanza l'aprirsi, per
breve tempo, di una piccola finestra di luce. E' forse qualcuno che,
ancora assonnato, e' rimasto sorpreso dal nostro passaggio.
Come
primo ostacolo troviamo un grande nevaio. Dal ghiacciaio del
Calderone
esso si estende fino a lambire il circondario del piccolo borgo
appenninico. Sopra di noi sovrasta, tra i primi chiarori di luce del
nuovo mattino, l'enorme montagna coperta di neve. In uno dei suoi
ripidi canaloni scenderà tra poche ore Toni. Spesso lui si ferma:
fissa gli occhi verso l'alto intento a guardare e a valutare i
pericoli, le difficoltà che dovrà superare nella lunga ed
impegnativa discesa. Nell'attimo di una sosta sfioro con lo guardo il
suo volto. E' scurito dal freddo, come il mio, e dallo sforzo fisico
per superare gli scoscesi passaggi con neve a volte ghiacciata e a
volte molle da sprofondarci dentro. Una continua brezza risalente dal
sottostante paesaggio, ancora ingiallito dall'inverno ed appena
liberatosi dalle ombre della notte, s'aggira tra gli spazi coperti di
neve; dominati dall'immensità di un cielo nitido tale da sembrare
trasparente. Nel fondo della valle le prime luci del sole, spuntato
dal lontano orizzonte, illuminano i dossi erbosi ed i filari di olivi
delle colline teramane. Parte di esse sono ancora oscurate dalle
umide nebbie risalenti dai lidi deserti della vicina marina.
Ad
un tratto sento la voce di Toni. Girandosi verso di me, mi dice:
“Vedi Angelo, questi sono i momenti assai significativi per ogni
alpinista, intento a ricercare tra le sconfinate alture delle rocce
qualcosa di diverso dal normale”. Capivo il significato di quelle
parole. Conoscendolo bene sapevo cosa avesse nella mente in
quell'attimo. Era nella sua casa: tra le braccia di una delle tante
montagne da lui conosciute.
Forse
il suo unico desiderio di pensare in quell'istante era rivolto a
quella parete che, nell'eterno silenzio della sua immobilità,
sembrava in attesa di vederlo e di conoscerlo. Immaginavo, pure, come
la sua mente corresse verso luoghi lontani oltre l'Appennino
Centrale. Verso le vette Himalayane: o sulle sconfinate distese della
Patagonia a lui note. Là dove il Cerro Torre è posto come confine
tra le terre steppose e la spinta delle forze dovute a quei venti
oceanici. In quegli aridi luoghi dove, oltre all'intenso freddo,
esiste il continuo fenomeno della deflazione generata dal clima
rigoroso che determina lo sfaldamento delle rocce. Quei soffi simili
a bore, violenti ed umidi, con la loro persistenza modellano,
giornalmente, l'estesa Cordigliera Argentina, coprendola con spessi
manti di neve e ghiaccio. Nell'inferno di quelle terre lontane, anche
Toni fu sorpreso da un improvviso cambiamento del tempo. Da solo e da
qualche giorno avanzava per avvicinarsi alla base di quei campanili
granitici. Per di più si trovava nel mezzo dell'esteso e pericoloso
ghiacciaio. Era partito dall'Italia con un suo programma di salite su
quelle montagne. Dopo varie ore di sofferta attesa al riparo di un
giaciglio, scavato nel ghiaccio, si rese conto dell'impossibilita' di
procedere in avanti. Sarebbe andato verso il peggio. Quindi decise,
pur non volendo, di tornare indietro. Ben presto con il primo volo di
aereo da Buenos Aires
prese la direzione verso l'Italia facendo ritorno tra le sue
Dolomiti, la sua val di Fassa.
Saliamo
ancora avendo sulle spalle lo zaino sempre più greve. Ci portiamo
verso la sommità del massiccio: verso il punto dove dobbiamo
separarci e dove ha inizio la sua lunga discesa. Anche se quassù
sono stato tante volte non ho voglia di lasciare l'amico. Poi, dovrò
farlo salutandoci. Adesso sono solo in un ambiente ancora invernale.
L'unica compagnia mi viene data dalla voce di quella brezza, ancora
fredda, proveniente dai Balcani e che si infrange tra i dirupi del
corno piccolo. Anche se porto la piccozza, la corda e i ramponi
fissati agli scarponi ed altro, l'esperienza di montagna mi insegna
di prestare molta attenzione durante la discesa. Ogni piccolo sbaglio
potrebbe compromettere il mio ritorno. Cerco di scendere giù al
punto di partenza seguendo una via diversa da quella di salita
evitando, in parte, le tante difficoltà incontrate precedentemente.
Passo
in vicinanza del rifugio Franchetti ancora sommerso dalla neve. Una
volpe, a poca distanza, sorpresa, mi guarda brevemente. Poi, si
dilegua in fretta attraverso lo strato nevoso con la superficie
indurita, cosparsa di cristalli di neve, rumorosa al mio passaggio.
Sono passate le undici quando torno giù a valle. Toni ha già
iniziato da tempo la sua discesa trovandosi oltre la metà della
parete. Questa è l'ora in cui la montagna, svegliatasi dal lungo
sonno invernale, diventa assai pericolosa a causa del primo caldo
dell' inizio del mese di aprile. Evidenzia i suoi rischi dovuti alle
frane di calcare indebolito dal ghiaccio dei mesi passati; alle
slavine generate dalle nevi diventate poco aderenti. Qualche attimo
dopo di avere individuato Toni nel mezzo di quello strapiombo: a poca
distanza da lui noto ed ascolto il boato del precipitare di una massa
di sassi. Toni si ferma. Poi, con maggiore attenzione, continua la
sua avanzata verso il basso. Attrezza con le corde l'ultimo passaggio
portandosi, definitivamente, fuori da ogni pericolo.
A
breve lo vedo apparire su quel piccolo sentiero da noi percorso la
mattina. Viene subito circondato dalle poche persone di quel piccolo
paese. Con calma si avvicina verso di me. Nonostante il vociare e le
interviste dei vari cronisti televisivi mi dice: “Come sai,
Angelo, quello che qui vediamo, attualmente, conta ben poco. Il vero
significato di questa faticosa giornata è solo dentro noi due: e'
andata anche questa volta”. Poi, estraniandosi da tutto, si
allontana di poco. Fissa lo sguardo verso l'alto in direzione della
grande montagna: rimane in silenzio per qualche minuto. Sembra che ad
essa voglia dire qualcosa, o che da essa ascoltare qualcosa. Si gira
verso di me dicendomi ancora: “Quello di oggi è un altro traguardo
da tempo aspettato, in una montagna da me conosciuta e anche di tanti
ricordi”. Ero stato vicino ad un amico nel salire su quella
interminabile parete. Ad una persona dalle poche parole con la quale
avevo condiviso lo sforzo fisico per portarci su quella vetta. Ero
stato vicino ad una persona che con la sua ultima azione continuava a
segnare nel tempo la sua storia: unica ed incancellabile. La Storia
di un uomo dal grande coraggio: quella di Toni
Valeruz campione,
indiscusso, dello sci estremo.
Nel
tardo pomeriggio torniamo verso casa guardando, ancora una volta, il
tracciato della sua discesa eseguita nel fianco, ormai ombreggiato,
del massiccio roccioso. Come se nulla fosse successo sembrava che il
Gran Sasso,
in silenzio, ci guardasse salutandoci. Forse, ancora una volta
incompreso, continuava a stare vicino alla sua gente riprendendo il
suo solito modo d'esistenza verso l'eternità. Portava con se il
nostro ricordo. Continuava a guardare verso l'infinito: verso est,
tra le nebbie di vapore sperdute. Verso quel solito mare d'Abruzzo
che con le luci di ogni alba lo aveva svegliato ogni mattina:
liberandolo dalle tenebre e dal freddo della notte. Quel mare che gli
era stato sempre vicino e con il quale, nel suo modo segreto e
sconosciuto a tutti, continuava a dialogare; alla stessa maniera di
un inseparabile compagno nel lungo percorso degli anni del tanto
tempo passato. Angelo Fusari.