Un titolo che porterebbe lontano se non presentasse la storia vera di Giuseppe Bertuna, nato in Sicilia ma emigrato in Valle d'Aosta con la famiglia negli anni '50. Il padre, maresciallo delle Guardie Carcerarie, era stato trasferito ad Aosta, piccola cittadina ai piedi delle alpi. Giuseppe è poco più che neonato e passa la sua infanzia fra le mura di un penitenziario per poi trasferirsi con la famiglia nelle case popolari alla periferia della città. È un ragazzo inquieto e sensibile, ribelle e sognatore e nel ’73 parte per gli Stati Uniti. Ritorna dopo tre anni e del sogno americano non gli resta che il soprannome affibbiatogli dagli amici del bar: Pino America. Da qui il titolo.
Come sei venuto a conoscenza di Giuseppe Bertuna (o della sua storia)?
Conoscere Pino, passando per il centro storico di Aosta, non è difficile. Lui è un personaggio simbolo della città, vittima spesso di pregiudizi sia per le sue apparizioni un po’ stravaganti, sia per la sua professione. È infatti custode della camera mortuaria dell’ospedale di Aosta e supporta i medici durante le autopsie in qualità di tecnico necroforo. Con lui è nato tutto per caso più di 10 anni fa. Io dovevo girare il mio primo cortometraggio, lui lo conoscevo come tanti e l'avevo coinvolto facendogli fare la comparsa. Questa esperienza sul set gli è talmente piaciuta che, da lì, è nata un'amicizia. Lui continuava a chiedermi di coinvolgerlo nuovamente, sono passati undici anni ma è da lì che è iniziato tutto.
Quali reazioni sta avendo il tuo cortometraggio?
La prima parola che mi viene in mente è soddisfazione. America sta raccogliendo molti consensi e di questo sono molto orgoglioso. La "prima" è avvenuta in Francia nel Concorso Internazionale al Clermont-Ferrand International Short Film Festival nello scorso febbraio. Da quel momento il film ha ricevuto 28 selezioni nei principali festival nazionali e internazionali. All'estero è stato proiettato in Ungheria, Francia, Colombia, Grecia, Regno Unito, Serbia, Corea e Spagna. Inoltre ha ottenuto il Premio Michelangelo Antonioni per il miglior cortometraggio (Bif&st) come pure all'Ischia Film Festival 2014, il Premio per la Miglior Regia (BiFF), il Premio Speciale della Giuria (Prokuplje Short Film Festival), la Menzione Speciale al miglior cortometraggio (Lo Spiraglio Film Festival) ed è stato uno dei quattro finalisti al Premio Emidio Greco (Festival del Cinema Europeo). Questi risultati hanno premiato la vita di questo personaggio eccezionale. Quella vita che Pino America provoca con corna da vichingo e turpiloqui erotici. Ma anche quella morte che gli permette di tirare a campare e, con grande umanità, restituire dignità terrena a chi non lo racconterà mai.
Che cosa ti auguri che passi attraverso questo film?
Ho sempre visto il cinema come uno strumento eccezionale per poter raccontare le storie. Da piccolo ero affascinato da qualsiasi tipo di narrazione, dal teatro alle favole. Credo che il cinema mi abbia dato la possibilità di raccontare storie a mia volta e mi sono concentrato su quelle piccole e grandi storie quotidiane che solo la vita è in grado di inventare. Nei miei lavori cerco di presentare quei personaggi che mi trasmettono quel modo particolare di affrontare la vita ma al tempo stesso universale, quel valore e quel senso universalmente umano delle loro storie, spesso sospese tra realtà e illusione. America, nelle mie intenzioni, è questo.
Puoi raccontare un po' la gestazione del corto?
Abbiamo diviso la produzione in due fasi. La prima è durata circa tre mesi dove ho raccolto le interviste con Giuseppe. Queste registrazioni, realizzate a distanza di diversi giorni l’una dall’altra, sono state indispensabili alla scrittura della storia e alla creazione della voce fuori campo attraverso la quale il personaggio si racconta nel film. La seconda fase è durata circa una settimana dove abbiamo concentrato tutte le riprese. Considerata la storia molto intima, ho cercato di limitare al minimo la troupe. Eravamo in quattro: il direttore della fotografia, il fonico, un assistente ed io. Giovanni Zambito.
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