Pietro Piraino e il Museo del giocattolo e delle cere, appello a Bagheria: "non lasciatemi solo!". L'intervista di Fattitaliani


Villa Palagonia, Palazzo Butera (un'impiegata gentilissima e preparata guida e accompagna i visitatori), il Museo Guttuso... parecchi sono i motivi per cui vale la pena recarsi a Bagheria e visitare la città vicino Palermo: ce n'è un altro forse conosciuto a pochi e che riserva sorprese per la sua originalità e piacevolezza. Stiamo parlando di Villa Certosa che comprende il “Museo del giocattolo e delle cere Pietro Piraino": Fattitaliani lo ha visitato e ha intervistato proprio il signor Piraino.

Com'è nato il Museo? Perché porta il suo nome?
Il “Museo del giocattolo e delle cere Pietro Piraino" porta questo nome perché le collezioni di giocattoli e di ceroplastiche in esso contenute sono state realizzate dal sottoscritto nel corso di 60 anni della mia vita.
Le ragioni che mi hanno spinto a questo mio lungo collezionare sono da attribuire a due fatti principali. La prima è legata al mio concetto di gioco che, come la vita reale, ma in un quadro determinato in anticipo, riunisce in sé i concetti di totalità, di regole, di libertà. Nel gioco, le diverse combinazioni, sono altrettanti modelli di vita reale, sociale e personale; esso tende a sostituire un certo ordine all'anomalia dei rapporti e fa progredire dallo stato di natura a quello di cultura, dallo spontaneo al voluto.
Pietro Piraino
La seconda ragione è da imputare al verificarsi di un triste evento che venne a modificare e a sconvolgere la sfera degli affetti familiari e della solidità economica: la scomparsa improvvisa e prematura di mio padre. In quell'istante la vita mia e dei miei fratelli cambiò radicalmente. Mia madre, Giulia Papoff, di origine russa, era una donna dal carattere forte e dalla dignità non comune; ci spiegò che per noi si preparavano anni duri caratterizzati da due imperativi: austerità e parsimonia!
Al bando le spese voluttuarie ed oculatezza in quelle irrinunciabili. Io ero molto piccolo, ma capii che non avrei più avuto nuovi giocattoli e che, peggio ancora, non avrei dovuto chiederne.
Imparai presto ad essere autosufficiente e a non sperare nell'aiuto degli altri.
Capii che, se desideravo qualcosa dovevo darmi da fare; capii che i grandi o perché distratti o peggio perché egoisti, non avrebbero mai capito i miei problemi e mai mi avrebbero aiutato. Provai cosa prova un bambino quando non può mostrare i suoi giocattoli agli altri bambini; io non avevo nulla da mostrare; i miei giocattoli erano i sogni e la fantasia.
Imparai presto a costruire barchette di sughero, fionde, trottole, aquiloni, monopattini; imparai a rifugiarmi sul "Pianeta del Piccolo Principe" dove il sogno, la fantasia e l'irrealtà erano quotidianità e regola.
Lì potevo estraniarmi da una realtà  dolorosa e da una umanità che non accettavo e non condividevo.
Tutto questo maturò in me la convinzione che, da grande, avrei realizzato qualcosa che consentisse ad altri bambini di essere LIBERI di sognare e di volare sulle ali della fantasia.
Forse influì moltissimo in questo mio proposito la mia natura di inquieto ed insoddisfatto bambino-uomo; è nei giocattoli e nelle bambole antiche che io ritrovo l'identità perduta idealizzata e ricavata dalla società romantica che ha prodotto quegli oggetti, indispensabili alla "crescita" del bambino rimasto in me. 
Cominciai così il recupero, spesso affannoso, di una grande quantità di oggetti creati per il trastullo dei più piccini e destinati, dopo il restauro, allo studio ed alla conservazione perché i bambini del futuro non ne smarrissero testimonianza e memoria . 
Da questi fatti nacque in me il fermo intento di creare un “Museo del giocattolo” dedicato ai bambini perché avessero conoscenza di “come eravamo” e agli adulti, perché non dimenticassero di essere stati bambini.
Perché il Museo va visitato? Cosa offre di così particolare ai visitatori? 
Le mie collezioni di giocattoli e di cere, a seguito del riconoscimento del loro valore demo-etno-antropologico da parte della Soprintendenza ai BB.CC.AA della Regione Sicilia, negli anni 80 diedero vita al “Museo del giocattolo e delle cere Pietro Piraino”, attualmente allocato all’interno della prestigiosa sede settecentesca della Certosa di Villa Butera a Bagheria,  messa a disposizione dal Comune che ne ha la proprietà.
Molti bagheresi non sanno che il Museo e Villa Certosa sono lo stesso edificio. Fra l'altro, non è così facile trovarlo. Come mai? 
La disconoscenza dell’esistenza di questa struttura museale a Bagheria è causata, in parte, dal mancato interesse di molti cittadini per i problemi culturali preferendo prestare la propria attenzione a realtà che con la cultura hanno poco da spartire: ne è prova concreta che gli unici 4 cartelli stradali indicatori del Museo, comprati da me, sono stati rimossi e spariti.
C'è un lavoro di cera o un giocattolo che di per sé vale la visita secondo lei? C'è un aneddoto da raccontare e condividere? 
Per giustificare una visita al Museo, fra i 2500 reperti esposti, basterebbe soltanto una piccola pistola giocattolo realizzata da un papà ebreo per il proprio figlioletto con lui rinchiuso nel campo di sterminio nazista di Mauthausen in Austria.
Quali sue esperienze professionali e personali mette nella gestione del Museo? 
Nel Museo metto ogni mia energia derivante dal mio lavoro cinquantennale di antiquario, di restauratore collaboratore della Soprintendenza ai BB.CC.AA di Palermo, la mia attività di studioso del mondo ludico dell’infanzia e di editore dei miei libri.


Che cosa vorrebbe dire all'Amministrazione e ai cittadini riguardo l'importanza del Museo?
Una sola cosa non mi stancherò mai di chiedere agli Amministratori e ai cittadini: Non lasciatemi solo! Stante la mia età, verrà il giorno della mia dipartita e il Museo, fatica e sacrificio della mia vita intera, dovrà avere la certezza di poter continuare la missione per la quale lo ho creato: Ricordare ai piccoli di come eravamo e ai grandi che non hanno dimenticato di essere stati anche loro bambini di tramandare alle generazioni future il ricordo del nostro passato senza del quale non ci sarà mai il futuro. Giovanni Zambito.
Fattitaliani

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