La Compagnia del Teatro Artistico d’inchiesta,
l’11 e il 12 maggio, al Barnun
Seminteatro presenta “Mi chiamo Antonino Calderone" di Dacia Maraini con David Gramiccioli. Regia di Angela Turchini. Direzione Tecnica di Michele Rizzi, coordinamento
Laura Pittore.
“Mi
chiamo Antonino Calderone ho 56 anni e ho molte cose da dire sulla mafia”… Antonino Calderone è un
personaggio straordinario, piacque subito quando la grande Dacia Maraini
scrisse questo testo, interpretato in passato dal grande Pino Caruso ed è forse
il vero grande pentito di mafia che non ha avuto un agio, un favore, un
tornaconto. L’ha fatto perché era vinto dal rimorso, dal peso della coscienza,
da quella responsabilità che lui sentiva più in termini morali che
materiali. Antonino Calderoni si dice
responsabile di sette omicidi tra cui quello dei quattro ragazzini di Catania (un’esecuzione raccapricciante commessa nel
luglio del 1976 nelle campagne di Mazzarino. Benedetto Zuccaro, Giovanni La
Greca, Riccardo Cristaldi e Lorenzo Pace, tutti di età fra i dieci e i quindici
anni, vennero strangolati e poi seppelliti. Puniti per aver osato offendere la
famiglia Santapaola, uno scippo alla mamma del Boss ed uno sberleffo per strada
al fratello di Nitto Santapaola).
Calderone non ha mai materialmente ucciso nessuno ma il suo concorso morale è
più grave del fatto di aver eseguito materialmente queste sentenze. È proprio
questa la domanda che si pone all’inizio della sua esperienza mafiosa: “Il mio
sogno è quello di diventare un uomo d’onore” perché i ragazzini nel quartiere
vedevano la devozione, la deferenza, l’attenzione che si aveva per un uomo
d’onore e immancabilmente purtroppo, il ragazzino finiva per innamorarsi di
questa figura, tendendo poi ad emularlo.
Antonio Calderone si domandava “Se mi chiedessero di sparare, di uccidere, cosa
farei? Quello che ho sempre fatto, mi sarei defilato, sarei scappato”. Ciò era
sia il suo punto forte che quello debole. Un personaggio che riesce in modo
assoluto, più di Buscetta e di tutti gli altri pentiti, a raccontare anche gli
aspetti più umani di Cosa Nostra. Lui è affascinato perché cresciuto all’ombra
del fratello Pippo che è stato considerato uno dei mafiosi con più spessore in
senso assoluto perché fu quello che (nel
1957) istituì in Sicilia, la “Commissione regionale di Cosa Nostra” dove
all’interno vi erano sei rappresentanti e scrisse di suo pugno lo Statuto. Lui
cresce con questa figura da emulare e quando Pippo venne ucciso l’8 settembre del
1978 (su mandato di Nitto Santapaola
perché aveva osato opporsi ai Corleonesi), la vita di Antonino cambia in
maniera irreversibile. Si autoesclude dalla vita di Cosa Nostra e si definisce
un mafioso ormai in disgrazia. Non gli parla più nessuno. Non risponderà più al
telefono, cambia spesso il posto dove dormire la notte, arriva a un punto dove
non riesce più a dormire senza le gocce del Valium, finché un giorno non decide
di andarsene, prima in Svizzera e poi in Francia. La moglie venderà la casa,
l’argenteria e lo raggiungerà a Nizza, dove creeranno un’attività familiare,
aprendo una lavanderia. Lui lavorando venti ore al giorno, riuscendo a godersi
la famiglia, potendo crescere i figli, si sente un uomo felice e realizzato e
queste sensazioni bellissime unite ai sentimenti che lo pervadono e che non lo
avevano mai toccato quando era un uomo potente e ricchissimo come Capo della
famiglia mafiosa di Catania.
Quando mi hanno detto più volte di raccontare in tre parole quest’opera, dico
che questo è un Testo di Mafia, di Morte ma anche di Amore perché si parla di
Umanità. Nessun’altra cosa purtroppo è
più umana della Mafia. L’ Umanità è capace di opere irraggiungibili, ma anche
di nefandezze assolute.
Antonino Calderone si pente nel dicembre 1977 ma è un pentito completamente
diverso. Chiede ed ottiene di parlare
con Giovanni Falcone (perché uomo
d’onore) che lo mette subito a suo agio. È il pentito che racconta anche gli aspetti più reconditi della Mafia e
racconta anche quelli più comici, come quando svela che la cognata del
Procuratore di Catania, Foti (che si
occupava dei mandati di cattura), facesse la cartomante. È una storia da
vedere, noi abbiamo voluto aggiungere pochissimo, credendo con molta umiltà di
poter offrire un servizio artistico a questo capolavoro che vede la firma
dell’ultima scrittrice del Novecento italiano, Dacia Maraini.
Perché Dacia Maraini decide di scrivere
questo testo che come argomento è molto lontano dalle sue opere?
Ha un forte legame con la Sicilia. È stata proprio Lei a chiedermi di
rappresentarlo. Per me è stato un grande onore ma anche onere. Conoscendo la
profondità umana e intellettuale di Dacia, credo che abbia voluto raccontare in
questo testo degli aspetti umani che non si colgono in nessuna altra storia.
In che modo lo rappresenti?
Ho
studiato e studierò ancora fino a dopo il debutto. Ci tenevo in modo particolare
che il debutto fosse nel Barnum Seminteatro della Garbatella che è il Teatro
che amo di più.
È un Progetto che vorremmo portare anche nelle scuole perché Antonino
Calderone all’inizio della sua confessione dice “Spero che si tenga conto di
quanto io dico e ne devono tener conto soprattutto i giovani. Durante questa
accorata confessione, i punti più alti richiamano proprio l’attenzione che lui
rivolge ai giovani. Quasi a dirgli “Mi dovete sentire! Questi uomini d’onore
che oggi chiamo del disonore, sono capaci di carognate che voi neanche
immaginate. Non c’è niente da invidiare nella vita di un mafioso.
È un parallelo bellissimo che dalla Mafia può sconfinare in altri ambiti: la
carriera a tutti i costi, la delinquenza come modello di vita. Credo che questo
testo teatrale sia la contrapposizione a tutta una cinematografia, ad una
televisione che pur non volendo, finisce per esaltare l’aspetto criminale come
avviene in Romanzo Criminale, Gomorra, Suburra. L’antidoto a questo tipo di
produzioni è sicuramente questo testo teatrale.
Cosa ti aspetti dal pubblico? Siete già
in sold out?
Siamo vicinissimi al sold out. Il pubblico nei miei confronti
è stato sempre molto attento. Facciamo opere in cui si cerca di mettere in luce
gli aspetti più bui delle vicende. Mi aspetto la solita attenzione. Il mio
studio è anche aver sentito per centoventitré ore, risentendola più volte, la
deposizione processuale di Antonino Calderone su Internet, alcuni file me li ha
mandati Dacia, la maggior parte li abbiamo reperiti dall’Archivio di Radio
Radicale.
Ripete “Sissignore, Sissignore” e sembra un po’ come Camilleri con una
marcatura vocale meno tabagista. Nel rispetto assoluto per l’Opera, per il
testo e per la tragedia umana che rappresenta la mafia. Noi abbiamo tenuto
conto di questo. Sarà certamente una
sorpresa per il pubblico e spero possa piacere.
Avete già individuato le scuole in cui
portarle?
Stiamo valutando, ovviamente sarà per l’anno prossimo e speriamo
di concretizzarla.
La scelta di rappresentare questo spettacolo, all’inizio ha subito un po’ di
remore ma poi è stata apprezzata quasi all’unanimità.
Nord o Sud o per par condicio, visto che
la Mafia ha tentacoli dappertutto, non farete differenze?
La Mafia non ha
accenti ma parla una lingua universale e noi la raccontiamo abbattendo i
pregiudizi, i confini. La Mafia è universale.
È Universale, come è cambiata negli
anni?
Il Testo distrugge alcuni
luoghi comuni, li sovverte. Antonino Calderone dice che “Alcuni Giudici erano
molto amici di Cosa Nostra ed alloggiavano in Piazza Santa Maria degli Angeli a
Catania, in una costruzione di proprietà di Gino Costanzo e a fine mese
ricevevano un pagamento che era la somma che gli veniva retribuita affinché
lavorassero per conto della Mafia. Antonino Calderone chiede al Giudice Di
Natale di depennare il nome del cugino (Saverio
Marchese) che compariva nei venti nomi della Sezione Catturandi della
Questura di Catania. Il nome verrà depennato (insieme a quello di un altro perché le due posizioni erano collegate).
È un testo che ci riporta anche ad un’amara e tristissima attualità, la
Trattativa Stato- Mafia. C’è ancora chi si chiede se negli anni 92-93 ci sia
stata veramente questa trattativa. Il racconto che Calderone fa della Mafia è
autentico e inconfutabile. C’è sempre stata. Paolo Borsellino diceva “La Mafia
e lo Stato sono due poteri che operano nello stesso territorio. Sono due le
soluzioni a questo humus: o si combattono i due poteri o si alleano”. Il più
delle volte purtroppo si sono alleati.
Altrimenti un Presidente della Repubblica
non avrebbe ordinato di distruggere le intercettazioni che avrebbero provato
che la Trattativa Stato-Mafia, esisteva, eccome…
Racconteremo perché è stato ucciso Mauro De Mauro, uno storico giornalista
della Testata “L’Ora” di Palermo. L’ha ucciso la Mafia? Sì, ma per conto di
chi? Calderoni ci permette di far luce e soprattutto il perché dell’uccisione
del cronista. Una storia bellissima e attuale che evoca anche una mafia
ottocentesca, più da romanzo. Ad esempio i due miti di Calderone sono il
fratello Pippo ma anche lo zio Luigi, storico mafioso di famiglia. Metteva
soggezione a tutti. Un uomo d’onore d’altri tempi. Loro non usavano il termine
Mafia ma Cosa nostra. Perché hanno bandito del tutto la parola Mafia? Perché
secondo quello che noi abbiamo percepito dalla Confessione di Calderone è per
amore, rispetto, di questa grande parola. I più grandi poeti dell’ottocento
siciliano, ricordano che la parola Mafia si traduce in bellezza. All’epoca si
diceva “quannu è mafiusa chilla fimmina”, “quannu è mafusu stu cavaddru” a
significare la bellezza di entrambi. Il giuramento per entrare nella Mafia “se
la Mafia puazzu tradiri, sti carni hanni bruciari”. C’è anche un aspetto più
teatrale della Mafia ma fa parte della nostra Storia. Se uno pensa di essere
immune da questi intrecci, sbaglia. Una volta era solo in Italia, oggi possiamo
dire che l’Umanita intera non può più svincolarsi dalla Mafia perché “oggi la
mafia è economia, politica, comunicazione e quant’altro”.
La Regia è di Angela Turchini, cosa ha
tolto e cosa ha aggiunto?
Ha aggiunto la sua proverbiale passione per il Teatro, in questo caso l’amore per
l’Arte. Lei è una persona di grande cultura. Viene spontaneo preservare prima
ancora che l’Opera teatrale, il Testo letterario. Ci ha messo il cuore. È una
fiaba triste che ha anche un riscatto.
Essendo in scena da solo, quali altri
personaggi rappresenterai?
Luciano
Liggio, Stefano Bontade, Gaetano Badalamenti, Giovanni Falcone. Calcedonio di
Pisa, meno noto ma un mafioso storico perché è uno dei primi che entra a far
parte di quella Commissione Regionale di Mafia del 1957 e che scomodò anche la
penna di uno dei più grandi inviati del XX° secolo, l’inglese Norman Louis e
che definì Calcedonio di Pisa,un giovane volgare e filibustiere. Calcedonio di
Pisa viene ucciso da Cavataio (rappresentante
del mandamento di Acquasantaia di Palermo) ma questo omicidio farà ricadere
la colpa sui La Barbera.
Si parla anche di Pippo Fava quando Liggio dà ordine ai Calderone e loro
rispondono “mica si uccide una persona così?”. Il pezzo più struggente è quello
dei quattro ragazzini di Catania.
Elisabetta Ruffolo