Teatro, Alessandra Pizzi in una "metamorfosi" perenne: quando scrivo uno spettacolo lo "vedo". L'intervista di Fattitaliani

Il 26 maggio alle ore 18.00 e alle 21.00 al Teatro Ghione andrà in scena Metamorfosi - Altre Storie Oltre il Mito, adattamento e regia di Alessandra Pizzi, un racconto su testi tradotti esclusivamente per lo spettacolo dal latinista Nicola Pice, in cui Enrico Lo Verso guiderà il pubblico in un viaggio senza tempo tra miti e leggende, attraversa l’Olimpo e svela vizi e virtù degli dei. Sarà accompagnato dal pianoforte di Francesco Maria Mancarella, dal clarinetto di Lorenzo Mancarella e dalla beatbox di Filippo Scrimieri, in arte BigByps. Parole e musica saranno incorniciate dalle coreografia aeree e a corpo libero di Marilena Martina. Pregiata partecipazione sarà quella di Sade Mangiaracina, straordinaria pianista jazz di fama internazionale. “Un’idea di spettacolo nata dal desiderio di coniugare al racconto altre forme artistiche ed espressive, per tessere una narrazione multidisciplinare di un viaggio fantastico, in uno dei più interessanti capolavori della letteratura”, spiega Alessandra Pizzi, che ha curato l’adattamento e la regia dello spettacolo e che Fattitaliani ha intervistato.

Che rapporto personale intrattiene con le Metamorfosi ovidiane e i miti in generale?      
Un rapporto di "timore reverenziale", oserei dire. Mi affascina il mito per questo intrinseco suo dualismo: lieve e fantasioso nel racconto, forte e perentorio nel messaggio. Ho scelto di raccontarlo quasi per esorcizzarne il timore. Volevo intessere un rapporto colloquiale e di amicizia con questo "colosso di suggestioni" sociali e culturali  che da millenni ci portiamo appresso, per restituire al pubblico la sua bontà e genuinità. 
Le serie attuali, le soap-opera, l'attualità dei giornali: tutto riprende e ripete l'essenza dei miti. Secondo lei, in che cosa risiede la loro modernità?
Il mito è moderno per sua definizione. Se un pensiero, una storia, un racconto non trovano valore e capacità interpretativa nella contemporaneità allora non sono miti, cioè non hanno subito quel processo d'iconizzazione che li ha resi immortali. Così è per tutti i classici, che continuiamo a leggere perché contengono la chiave di interpretazione di aspetti della nostra quotidianità. Oggi si fa un largo uso di citazioni classiche e di rimandi a storie e figure mitologiche proprio per il bisogno di raccontare con la più grande incisività e efficacia un messaggio. La grandezza dell'invenzione di Ovidio sta proprio in questo: trovare un'immagine per esprimere un concetto. Nell'immagine di Proserpina che cade negli inferi trascinata dal carro del suo violentatore c'è il dramma e la portata della violenza di genere alla quale, ahimè ogni giorno, assistiamo. Nella fragilità del giovane Narciso che cede alla sua immagine è racchiuso il problema dell'incomunicabilità dell'individuo che, oggi come duemila anni fa, non potendo esprime la sua anima resta aggrappato alla forma. Il mito è eterno, altrimenti non sarebbe un mito. 
Dirigere Enrico Lo Verso in uno spettacolo dalle molte sfaccettature artistiche rappresenta più un piacere o una sfida?
"Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita" diceva Confucio. Difficile in questo lavoro separare il piacere da quello che si fa. Certamente Enrico Lo Verso è l'esaltazione di questo piacere, per la sua capacità interpretativa, ma soprattutto per la sua straordinaria predisposizione ad accettare la sfida. Lo aveva già fatto quando, circa tre anni fa, gli avevo proposto di mettere in scena la riduzione in monologo di Uno Nessuno Centomila (dal romanzo di Pirandello), ha mostrato un entusiasmo sorprendente quando gli ho chiesto di raccontare "le favole" di Ovidio. È un attore che sposta l'asticella verso l'alto, è pronto a misurarsi in ruoli diversi. Credo che sia la "risorsa" migliore per un regista. Quando gli ho detto "voglio raccontare il mito in maniera POP, avvicinandolo al pubblico", non è stato necessario aggiungere altro. Era già chiara per entrambi la direzione in cui andare. 
Mentre scriveva l'adattamento nella sua mente prendeva contemporaneamente forma anche la messa in scena?
Per me non potrebbe essere altrimenti. Quando scrivo uno spettacolo lo "vedo".  E la scrittura è intrecciata a quella visione. Penso prima a chi potrebbe interpretarlo e quindi il testo è calato addosso. In Metamorfosi la scrittura è a più livelli: c'è un tessuto narrativo di parole, un altro di coreografie, un altro ancora musicale. E poi ci sono gli ospiti, nella data di Roma c'è il jazz. Questa polifonia è ben visibile a me nell'attimo in cui la compongo. Immagino già i costumi e gli effetti luminosi. Non impongo mai agli attori le mie scelte. Mi piace che ognuno apporti del suo al racconto. E quando si va in scena è tutto magicamente come lo avevo immaginato. Per fare il teatro bisogna essere visionari. In tutti i sensi!
Ha un personaggio mitologico che Le assomiglia in termini di sentimenti?
Mi sento vicina ad Ovidio, più che a un suo mito. Immagino la solitudine di un uomo che, per qualcosa che ufficialmente non è stato mai raccontato, viene mandato via dalla sua terra. Un escluso, perché il peso delle sue idee mal si addiceva ad una consuetudine che lo voleva assoggettato al potere. E lui, piuttosto che abbandonare le redini del suo pensiero, cosa fa? Costruisce un caleidoscopio di racconti e narrazioni, intesse figure inventate, ne trasforma altre, scava nelle emozioni. Affronta i grandi, sfida il potere, e a questo contrappone ninfe, elfi e regine. Anziché attaccare i suoi oppressori, ne rivela le debolezze, li rende "umani". Consegna, da vero artista, il suo pensiero all'eternità.
Se potesse cambiare il finale di una storia mitologica, quale sceglierebbe e come la farebbe terminare?
Salverei Callisto, dalla tremenda punizione inflittale da Afrodite. Le ridarei le sembianze di donna e madre. La farei vivere serenamente accanto al figlio ritrovato. Punirei Afrodite, non per faziosità, ma per aver potuto pensare anche solo per un istante che lo stupro subito da Callisto sia stata l’ovvia conseguenza della sua bellezza. Un luogo comune questo ancora troppo radicato nella società e nel pensiero femminile che mi addolora e mi fa paura. 
La narrazione orale si va via via perdendo: quale è la prima storia che Lei ha sentito raccontare e che cosa Le è rimasto impresso?
Ho avuto la fortuna di avere due genitori che, già dai primi anni della mia vita, mi compravano libri di favole. Passavo interi pomeriggi a "costringere" i grandi a leggermeli, prima che imparassi a farlo da sola. La prima favola che ricordo è quella che mia madre mi raccontava nel tentativo, vano, di farmi addormentare all'ora della pennichella pomeridiama... Parlava di una fata che portava caramelle a tutti i bimbi buoni che dormivano. Ovviamente non ho mai ceduto alle lusinghe e non ho mai dormito un pomeriggio. Ma mia mamma mi faceva comunque trovare le caramelle, sostenendo che fossero un dono della fata. Era il suo tentativo per convincermi della natura benigna di qualsiasi creatura, anche di quelle che lei stessa inventava. E così sono cresciuta senza paura di mostri, ma con uno straordinario senso della gratitudine. La fata era buona con me, nonostante io non fossi ligia al sonno. Ad un certo punto mi sono sentita di ricambiare la sua generosità fingendo di dormire!
Nel corso della sua carriera qual è stata la sua "Metamorfosi" personale più importante?
Sono in una "metamorfosi" perenne. Accetto il cambiamento degli altri e, con gli anni, ho imparato ad essere clemente con il mio. 
Ho vissuto i travagli del tempo, il bisogno di affermazione, la paura della stessa, i conflitti di genere. Ma il momento più importante è stato acquisire la consapevolezza della "femminilità". Quando ho capito il "potere femminile" ho iniziato un grande processo di trasformazione, personale ed artistico. Non mi riferisco al potere della seduzione, né ad una irriverente supremazia sull'uomo, ma esattamente al contrario. Non si è femmine perché si hanno gli attributi maschili, ma perché si ha in sé la bellezza della creazione, l'atto generativo attraverso cui esprimersi. Io provo a farlo attraverso il teatro. È questa la metamorfosi sociale che auspico possa realizzarsi. Giovanni Zambito.

Enrico Lo Verso
Con la partecipazione di Sade Mangiaracina – Piano Jazz
in
Metamorfosi – Altre Storie Oltre il Mito
Adattamento e regia Alessandra Pizzi
Traduzioni Nicola Pice
Francesco Mancarella – Pianoforte
Lorenzo Mancarella – Clarinetto
BigByps – Beatbox
Coreografie danze aeree Marilena Martina
Ergo Sum Produzioni
Teatro Ghione
26 maggio 2019
Ore 18.00 - Ore 21.00
Prevendita e biglietteria: TEATRO GHIONE – ROMA Info@teatroghione.i
IndirizzoVia Delle Fornaci, 3700165 Roma

Info spettacoli: 3279097113

Fattitaliani

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