Segnalibro. Fabrizio Peronaci: ne "Il figlio della colpa" il mio rapporto con la spiritualità e la fede. L'intervista di Fattitaliani

Oggi Segnalibro ospita Fabrizio Peronaci, scrittore e giornalista investigativo del Corriere della Sera: ha pubblicato con Bertoni editore "Il figlio della colpa", un romanzo-verità sulla storia di una suora vittima di stupro, una drammatica storia avvenuta in Sicilia negli anni ’50 del secolo scorso, su cui un importante monsignore scrisse un volumetto osteggiato dalle gerarchie ecclesiastiche e sparito dalla circolazione. L'intervista di Fattitaliani.
Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino? 
Una decina in tutto, tra comodino e scaffale a portata di mano sulla parete. In ordine di lettura più recente, “Odio gli indifferenti” di Antonio Gramsci, “L’uomo sentimentale” di Javier Marias e “La fabbrica dei santi”, scritto da Laura Fezia, autrice contemporanea anche lei appassionata di questioni ecclesiastiche, dal piglio severo e molto polemico, che apprezzo per la minuziosa ricerca storiografica e la capacità di chiamare le cose con il loro nome, ove occorra. Anche a costo di essere urticanti.
L'ultimo "grande" libro che ha letto? 
Ne cito due. Il primo di non molto tempo fa, “Sottomissione”,  di Michel Houellebecq, libro coinvolgente e magistralmente scritto, aldilà delle valutazioni politiche attinenti il tema delle migrazioni, sul quale è comunque bene riflettere senza pregiudizi. Il secondo libro fu pubblicato una ventina d’anni fa e resta insuperabile per come riesce far vedere dove non si vede: mi riferisco a “Cecità” di Josè Saramago.
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro? 
Il primo elemento è il desiderio di acquisire strumenti di conoscenza per quanto possibile ampi nel tempo e nello spazio, misurandomi con epoche e autori diversi. Non si può essere onniscienti,  ma tentare di accrescere il proprio bagaglio personale di idee, dando soddisfazione alla curiosità che è, essa sì, illimitata, lo considero un dovere, quasi un imperativo etico. Avverto quindi l’esigenza di leggere ove percepisco quella sgradevole sensazione di vuoto, di estraneo, di non conosciuto. E poi c’è il secondo elemento, quasi sempre decisivo nella scelta del libro da acquistare:  il consiglio di una persona fidata, che stimo.
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta? 
Fin da ragazzo mi portavo dietro un “buco” imperdonabile:  “Bel Ami”, di Guy de Maupassant. Mancanza ora colmata: una goduria.
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità? 
Ritengo che la narrativa sia lo strumento più idoneo ad esaltare le potenzialità della scrittura, tenendo tuttavia a mente le regole del buon giornalismo (le famose 5 W), le sole a poter garantire un’esposizione chiara, solida e compatta di quanto si racconta. I classici russi e francesi, Ernst Hemingway e Truman Capote insegnano. Un pilastro del mio amore per la scrittura lo devo proprio a Hemingway e alla sua fondamentale “legge dell’iceberg”, che appresi neanche ventenne, quando collaboravo per un giornale di quartiere, e non ho più dimenticato.
Personalmente, quale genere di lettura le procura piacere ultimamente? 
Se per piacere si intende una dimensione rilassata, nella quale trova spazio la lettura, senza grandi pretese di conoscenza o approfondimento, il primo autore che mi viene in mente è Georges Simenon. Anche in considerazione del mio lavoro da caposervizio, centrato sulla cronaca nera e giudiziaria, che svolgo da oltre vent’anni al “Corriere della sera”. I casi della vita, da raccontare con rigore, sensibilità e ove possibile un tocco di leggerezza, rappresentano miniere inesauribili di saggezza.
L'ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere?
Quello pubblicato lo scorso anno da Paolo Foschi, collega e autore di noir, dal titolo “La pattinatrice sul lago”. Le avventure del commissario Igor con i suoi stravizi, la boxe, la chitarra, l’istinto da insubordinato e  la movimentata vita sentimentale, sono un autentico spasso. E le sue indagini un esempio d’investigazione vecchio stile, risoluta ed efficace, che sarebbe bene tornasse in auge. 
L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere?
“Vergogna” di J.M. Coetzee. L’abuso sessuale mi inonda sempre di tristezza.
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare? 
“Hippy” di Paulo Coehlo. Uno scrittore con tanti lettori, a mio parere, ha qualche dovere. Ad esempio non indulgere troppo in toni caramellosi. E “sporcarsi le mani” con la realtà, senza edulcorarla. 
Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca? 
I miei amici sarebbero sorpresi se non trovassero volumi che hanno poco o niente a che fare con la mia formazione sentimentale e politica. Se amici, sanno come la penso e conoscono il mio pallino:  farsi una propria idea del mondo attraverso l’ininterrotto confronto con gli altri, senza pregiudizi, conformismi, appiattimenti. Con libertà di spirito, autonomia di pensiero e una piccola-grande ambizione: non restare mai afono, non rinunciare a esprimere un punto di vista, in modo da poter dare un contributo, seppure infinitesimale, al dibattito sulla contemporaneità. 
Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? E l'antagonista? 
Domanda difficile. I preferiti sono decine, con prevalenza verso gli inetti, i dubbiosi, gli sconfitti. Ma quello da me più amato è forse Akakij Akakievič , il protagonista de “Il cappotto” di Gogol, il bravo funzionario statale che vagheggia  un’ascesa sociale basata sul possesso di un capo d’abbigliamento, meravigliosa metafora e, lui, sublime antieroe ante-litteram. Il più antipatico? Andrea Sperelli.
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe? 
Sarebbe una cena molto ristretta e vivace, un confronto tra due donne al quale assisterei con grandissima curiosità: Simone de Beauvoir e Oriana Fallaci. Ne avrei, di domande da porre!
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire?
“La scuola cattolica” di Edoardo Albinati.  Stimolanti trama e rivisitazione storica, specie in un paese con poca memoria come il nostro, e suggestiva l’ambientazione (anche il mio penultimo libro, “La tentazione”, ha la sua genesi nel quartiere Prati). La grandezza di un romanzo, però, non si misura nella mole. La metà delle pagine sarebbero state sufficienti e sarebbero incorse in meno rallentamenti e cadute di forza espressiva.
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia?
Domanda irricevibile: non merito biografie! Ma se proprio devo: Pasolini. O De Andrè. Al quale sono tra l’altro legato da nome di battesimo e giorno di nascita.
Che cosa c'è di Fabrizio Peronaci ne "Il figlio della colpa"?
Moltissimo: per la prima volta al lavoro di indagine su vicende legate al mondo ecclesiastico ho affiancato flash, ricordi e aneddoti che riguardano la mia storia personale e in particolare il rapporto con la spiritualità e la fede. Sono momenti vissuti, che si sovrappongono alla trama del libro, centrato sulla vita commovente e straordinaria di suor Agnese. Questo doppio livello consente ai lettori, almeno a giudicare dalle tante lettere che ho ricevuto, di sentirsi maggiormente partecipi e coinvolti. E per me ciò è motivo di orgoglio, oltre che di stimolo a proseguire nello stesso filone, in cerca di nuove storie che facciano emozionare e riflettere. Giovanni Zambito.
IL LIBRO
Una suora alle prese con un trauma terribile, un sacerdote sensibile, una segretaria-detective assillata da un dubbio inquietante. Quando padre Giuseppe Lo Giudice, negli anni Ottanta del secolo scorso, decide di pubblicare un romanzo-denuncia ispirato a una storia vera, non immagina certo di poter incorrere in guai seri, che possano addirittura mettere a rischio la propria vita. La vicenda di Agnese, appresa nel segreto del confessionale, l'ha turbato e commosso. La monaca è riuscita a trasfigurare una brutale violenza nella più intensa delle gioie, e ciò per il monsignore è un segno della Provvidenza, da scrutare con libertà di spirito e senza pregiudizi. Ma evidentemente non è ancora giunta l'ora di spalancare finestre e fare entrare aria nuova. Sesso, violenza, maternità impreviste e doppia morale sull'aborto erano e restano temi-tabù tra le sacre mura. Ieri come oggi, in questi tempi agitati per la Chiesa. Fabrizio Peronaci, con un'indagine-thriller che è anche viaggio sentimentale nella memoria, viene a capo di un giallo ambientato tra i conventi di una Sicilia riarsa e la Roma del potere curiale, centrando tre obiettivi: strappare all'oblio il libro finito "al rogo", smascherare omertà e ipocrisie ecclesiastiche, ma soprattutto regalarci pagine memorabili di palpitante tenerezza.
L'AUTORE (da www.fabrizioperonaci.com)
Ciao a tutti, piacere. Il mio nome lo conoscete. Sono nato lo stesso giorno di Fabrizio De Andrè e Roberto Baggio e ciò, per ragioni diverse, mi inorgoglisce. Del primo, amo la poesia, la naturale empatia con gli ultimi e la giocosa sfrontatezza verso i potenti. Del secondo, apprezzo la fantasia in campo e la ricerca di un equilibrio fuori. Ai tempi delle elementari (Garbatella, Roma) correvo dietro a un pallone e al suo mito (Giggiriva). Delle scuole medie (Eur, Roma) custodisco con affetto le intemerate della professoressa Calvosa e le scazzottate con gli amici nei rettangolini di prato di fronte al Colosseo quadrato. Al liceo (scientifico) mi appassionai con differenti intensità ai poeti ermetici e alle ragazzine, con preferenza per quelle che avevano la borsa di Tolfa. Il 16 marzo 1978 tutto mutò quando fummo convocati in aula magna – le classi ammassate, concitate, le prof in lacrime – perché era successo un fatto grave, enorme, terrorizzante. Lo spartiacque. Il passaggio dall’io al noi. Il 23 novembre dell’80 ero nell’atrio della scuola, arrampicato in cima a un montagna di vestiti da ammassare in un camion per l’Irpinia. Negli anni universitari (La Sapienza, Roma) mi divisi tra Romeo & Juliette, Jim Thompson e le riunioni-fiume per mandare in stampa un giornale scanzonato e non allineato. Intanto, in sella a una Vespa rossa, facevo la gavetta in piccole testate. E nel giro di poco fui addirittura assunto. In un giornale vero. Con la previdenza e l’assistenza, la tredicesima e le ferie pagate. A 23 anni. Un sogno, di cui oggi porto un crescente senso di colpa pensando alle generazioni successive. Mi occupo da molto tempo di cronaca nera, malagiustizia e reticenze del potere. Della mia città amo le banchine del Tevere, la scalinata di viale Glorioso e i cancelli (intesi come stabilimenti balneari). Poesia preferita: “La ballata delle madri”. Canzone preferita. “Il testamento di Tito”. Film preferito: “Pauline à la plage”. Libro preferito: l’ultimo letto (“Omicidio al Giro”, di Paolo Foschi). Attitudini più gradite: generosità e coraggio delle idee. Meno gradite: arroganza e opportunismo.  
Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top