Frankenstein, torna al National di Bruxelles l'immensa marionetta che ci rappresenta

Fattitaliani
In scena al Théâtre National di Bruxelles dal 6 al 10 maggio 2019 c'è Frankenstein, dal classico di Mary Shelley. Qui la creatura non è composta di parti di scheletri e cadaveri, bensì di oggetti che formano un nuovo essere composito e artificiale. La regia è di Jan-Christoph Gockel. 

Gli spettatori, qualche minuto prima dell'inizio, vengono accolti dagli attori sul palcoscenico e ascoltano storie, piccole storie, su oggetti minimi raccolti nel tempo per costruire con le loro vicende la grande creatura, una sorta di Frankenstein che si animerà per la forza e l'energia vitale trasmessagli da questi stessi oggetti.
Libri, bambole, vestiti, giocattoli, gatti impagliati, suppellettili sono appartenuti a persone che non ci sono più: le loro vite sono passate, perse per sempre in un nulla senza tempo, identità dissolte che, in piccoli frammenti, solo questi oggetti mantengono in vita; oggetti, o piccole storie, che si ricomporranno insieme a creare una nuova vita, la nostra vita: siamo noi l'immensa marionetta composta da questi frammenti che nel tempo abbiamo raccolto in un pêle-mêle d'incontri, di relazioni, di vicende di cui residuano solo frammenti. Siamo noi i mostri, creature la cui identità è fatta da piccole storie, grandi marionette che si muovono tra i segni di un mondo estraneo.
Questa immensa marionetta ci rappresenta, ci mostra quello che siamo ma è anche un'immagine del teatro, di un mondo che vive di piccoli frammenti di storia. La rappresentazione lascia attoniti gli spettatori, catturati dalla genialità di quello che vedono e dalla bravura di chi ha costruito la macchina meravigliosa che è questo spettacolo, in primis il regista Jan-Christoph Gockel e il fantastico creatore delle marionette Michael Pietsch.
Il sipario che cala lascia arrabbiati gli spettatori: vorrebbero trattenere quello che hanno visto, portarselo, conservarlo, ma l'arte del teatro non lo rende possibile.
Quello che hai visto non puoi portarlo con te. 
Cala il sipario e lasci lì le tue emozioni, metafora di un più grande definitivo sipario. 

Foto di Hubert Amie
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