La Scuola delle scimmie scritto e diretto da Bruno Fornasari alla Sala Umberto di Roma. L'intervista di Fattitaliani

Con Tommaso Amadio, Emanuele Arrigazzi, Luigi Aquilino, Sara Bertelà, Silvia Lorenzo, Carmela Pistorello, Giancarlo Previati.

Il testo è meraviglioso, l’argomento interessante e la bravura degli attori ne fa un gioiellino del Teatro.

Minnesota 1915, evoluzionisti e creazionisti, quali sono in maggioranza?
La maggioranza è nettamente a favore dei creazionisti nel senso che in Tennessee vigeva una legge che vietava l’insegnamento della teoria dell’evoluzione della specie nelle scuole. Da lì prende il via la vicenda che nel testo dello spettacolo che ho scritto, è ambientata nel 1924. Immagino, perché i fatti reali non li cito necessariamente in dettaglio, una trama in cui il professor Scott viene accusato di aver insegnato l’evoluzione ai ragazzi. Diciamo che è stata la prima forma evidente di fondamentalismo cristiano negli Stati uniti contro la scienza, che è un po’ un paradosso. Di solito si immagina un conflitto tra religioni, in realtà negli Stati uniti il bersaglio era di nuovo la scienza come era stato con Galileo.
Perché voler dimostrare che la scienza ha dei limiti potrebbe far tornare la caccia alle streghe?
In realtà voler parlare di limiti anche da parte della scienza significa forse rimettere scienza e religione in un dialogo più attivo. La risposta che possono dare secondo me, sia la religione che l’essere umano, è la potenziale possibilità di trovare un senso alle cose, di trovare una ragione d’essere delle cose. Di questo si occupa principalmente la religione, dando una risposta con un’entità superiore che si occupa di noi, nel bene e nel male. La scienza questa risposta la dà attraverso la capacità dell’intelletto umano di trovare le risposte.  Nel caso della religione, si potrebbe pensare che qualcuno ha bisogno più che altro di risposte rapide. Nel caso della scienza siamo difronte a persone che hanno più pazienza e possono contare sul metodo. Entrambe rispondono ad una necessità comune, quella per l’uomo di trovare una spiegazione alla sua esistenza.
È giusto sacrificare un po’ di libertà per la comunità?
Per la comunità direi proprio di sì. Un conto è dire che sia giusto ed un conto è avere il coraggio di farlo.
Perché Darwin fa così paura e la teoria della relatività di Einstein no?
Per citare le parole del professore nello spettacolo che ho scritto “perché Darwin sembra che voglia rubarci l’anima”. Quello che fa la teoria dell’evoluzione è dirci che noi non corrispondiamo ad un disegno intelligente quindi non siamo parte di un processo che ci possa vedere più o meno protagonisti, più o meno vincitori ma alla fine comunque ci colloca all’interno di un grande disegno, quindi ci da un’importanza all’interno del volere, del pensiero, dell’immaginazione ovviamente superiori. Darwin dice “potremmo anche non avere nessun senso”, questo fa un po’ paura.
Perché gli scienziati fanno più paura degli assassini?
Questo non credo sia necessariamente vero, sono paure diverse. Potrebbe essere che lo scienziato ci metta la paura di essere inadeguati. Gli assassini ci mettono di fronte alla paura di poter non esistere più da un momento all’altro, quindi non mettiamo a paragone le due paure. Certo l’inadeguatezza e la percezione di ignoranza mette sicuramente a disagio ma essere fatti fuori credo sia un pochino più temibile.
È ancora valido decidere di farsi processare per conoscere la verità?
Credo che un processo adeguato sia una delle forme di massima conquista che siamo riusciti ad ottenere con la nostra civiltà. Poi è chiaro che dobbiamo garantirci che venga agito e portato avanti con tutti i criteri di correttezza e di rispetto dei diritti, però quale miglior sede di un luogo in cui il dialogo ed il dibattito accada verbalmente e non con delle spade.
Come nasce l’idea di un parallelismo tra i fatti del 1925 in America e l’Italia del 2015 con un professore di scienze naturali che si trova di fronte alla difficoltà dell’integrazione?
L’ingrediente fondamentale del dialogo è che l’ho trovato nel fatto storico del 2015, se non vado errato, in cui nei programmi scolastici della scuola media superiori era scomparsa proprio l’evoluzione di Darwin. Questa scoperta è stata fatta da un gruppo di scienziati appassionati di Darwin che hanno denunciato questa cosa al “Darwin day”, da lì è partita una richiesta all’allora Ministra Moratti per verificare cosa stesse succedendo, la Ministra ha attivato una commissione con a capo Rita Levi Montalcini e l’errore è rientrato.  A quanto mi risulta la formulazione esatta dei programmi didattici non prevede più quella dell’evoluzione di Darwin ma qualcosa di un pochino più edulcorato. Questo fatto mi ha un po’ impressionato, perché la proibizione dell’insegnamento di Darwin nel 1925 era l’inclinazione fanatica di una cultura rurale americana ma che una cosa del genere avesse uno specchio nella nostra programmazione didattica mi ha fatto un po’ impressione. Da lì ho cercato di sviluppare una storia parallela.
 Ho visto che il pubblico era molto attento, come reagisce allo spettacolo?
Benissimo, è stata una scommessa vinta da Alessandro Longobardi che è il direttore artistico della Sala Umberto, una sala prestigiosa e dedita ad un tipo di spettacolo che non è da un punto di vista stilistico paragonabile alla Scuola delle scimmie. Per cui la scelta di fare quella che in inglese si dice “cross contamination” una contaminazione di genere, all’interno della stagione in un teatro così centrale e così importante a Roma era una sfida che andava verificata sul campo. Lo spettacolo sta davvero avendo un grande successo, il pubblico gioca e ride dove c’è da ridere, sta paralizzato e ascolta dove c’è da ascoltare, crede che in qualche modo gli argomenti che vengono trattati abbiano il bisogno sempre di essere ridiscussi. Perché il conflitto tra le scienze, tra estremisti e superamento degli stessi attraverso il rispetto degli altri, un’analisi razionale dei fatti sono temi che non scadono mai.
È stato difficile formare il cast?
No, in realtà no. Perché io tendo a scrivere, a volte sono fortunato a volte meno, già con in testa gli attori che mi piacerebbe coinvolgere. Quindi diciamo che un buon 60% del cast già era nella mia testa, l’altro 40% su 7 attori erano 3 quelli che dovevo mettere un po’ a fuoco, trovati quelli sono stato contentissimo.
Voi sarete in scena fino a domenica, poi lo spettacolo avrà una tournée, credo l’anno prossimo a questo punto perché siamo quasi alle fasi finali.
Noi siamo in chiusura di tournée perché torniamo a Milano ma non nel nostro teatro perché io e Tommaso Amadio siamo direttori artistici del teatro Filodrammatici di Milano, non torniamo nel nostro teatro ma in un teatro affine a noi che è diretto da Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, il “Teatro dell’Elfo”. Facciamo questo gioco di passarci gli spettacoli perché riteniamo di avere una politica culturale e un’inclinazione ad incontrare il pubblico che è molto simile. Saremo in scena una settimana e concluderemo la tournée!
Ho visto pochi ragazzi, pensate di portarlo anche nelle scuole?
Il progetto scuole è un progetto sempre molto delicato. Noi non conosciamo bene il territorio romano quindi abbiamo cercato di applicare processi che applicavamo a Milano, abbiamo visto che la risposta è un po’ più dilatata come tempistiche quindi saremo più bravi la prossima volta. Su Milano tantissimo, facciamo un progetto che si chiama “tra le parole” in cui i ragazzi ricevono il copione che io scrivo e i nostri testi che analizzano li leggono con gli insegnanti, poi tornano da noi, vedono delle prove e poi vedono lo spettacolo. Questo processo li rende molto attivi e molto sensibili e ci sembra un bel modo per formare un nuovo pubblico.

Elisabetta Ruffolo
Fattitaliani

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