Romanzi da leggere online. “Una vita perché” di Daniela Igliozzi

a cura di Andrea Giostra - La rubrica “Romanzi brevi da leggere online” ospita da oggi, e per alcune settimane a venire, la scrittrice, attrice, pittrice e drammaturga Daniela Igliozzi che abbiamo intervistato qualche mese fa- http://www.fattitaliani.it/2018/10/daniela-igliozzi-attrice-scrittrice.html - e che gentilmente omaggia i nostri lettori del suo romanzo inedito “Una vita perché” che leggeremo a puntate, a cadenza settimanale, nel nostro magazine.

In copertina, Daniela Igliozzi, “Il sole sorge ancora” (2019), cm 21x14, tecnica mista.

Premessa alla prima puntata:
“Una vita perché” è un romanzo a cui la Igliozzi ha lavorato per sette anni, dal 2002 al 2009 – le piace dire con divertimento «Quanti ne ha messi James Joyce per scrivere il suo Ulisse ma lui è stato più bravo di me perché ha scritto 1000 pagine io solo 250» – pensando continuamente a cosa avrebbe scritto e a come lo avrebbe scritto, prendendo sempre appunti su bigliettini in qualsiasi luogo si trovasse. Il ritrovamento casuale di una vecchia scatola di cartone contenete vecchi documenti le aveva acceso la fantasia: ce n’era di materiale per scrivere un romanzo! Ripercorrere quasi un secolo di vita, far rivivere personaggi, ricostruire storie dimenticate ma sedimentate nell’animo di chi quelle storie le aveva vissute e che ora tornava a vivere. Personaggi che ora affollano la stanza dove si trova la protagonista. Fantasmi che appaiono e scompaiono in un susseguirsi di accadimenti di vita vissuta fra amori, incomprensioni, rimorsi, gioie, ferite profonde, con rimandi a momenti storici contemporanei alle storie private. Fantasmi che terranno compagnia alla protagonista da un pomeriggio afoso inoltrato fino all’alba successiva – dopo una notte sconvolta da una tremenda tempesta di pioggia, vento, grandine, lampi tuoni e un lungo blackout – insieme alla fiammella di una provvidenziale candela che la lascerà morendo in un laghetto di cera liquida allo spuntare del sole di un’alba fresca splendente e tersa.
«Già dal titolo si riesce a comprendere che il romanzo di Daniela Igliozzi non rende tributo alla narrazione di maniera. Scrittura dal taglio cinematografico, letteratura a cuore aperto che è bisogno di esporsi a narrare, senza pudori stilistici e calcolati, i sentimenti, la famiglia, la guerra, le sconfitte, le vittorie. Nasce tutto da una vecchia scatola di cartone in un modo fresco corposo ed estenuante, come l’acqua di sorgente che sgorga impetuosa e incurante dei limiti del percorso. Ma nello stesso tempo è rigore estremo, nella musicalità corretta della parola, nella sintassi libera d’emozionarsi ma mai distratta e finalizzata a produrre uno scrivere intenso e virtuoso. (…) Romanzo che rispetta perfetta unità di tempo di luogo di azione e che si dipana nel corso delle ore necessarie più o meno alla sua lettura. Il ritmo narrativo è incalzante, non lascia spazio che al fluire delle immagini di una vita, in fondo come tante, ma che grazie alla penna dell’autrice diviene unica.» Dalla Prefazione di Silvana Pedrini, poetessa, giornalista.

Il titolo del quadro Il sole sorge ancora ricorda, oltre al romanzo di Hemingway, il film del 1946 di Aldo Vergano sulla Resistenza. Daniela Igliozzi lo ha scelto, al di là di implicazioni politiche, per ricordare che la vita è sempre una gran lotta ma che il sole sorge ancora e sempre.

Grazie ai lettori del magazine che si appassioneranno e vorranno vivere questa avventura di “Una vita perché” raccontato a puntate e di cui Daniela è ansiosa di conoscere il parere dei lettori…

1° Capitolo

Soltanto ciò che non insegna
Ciò che non chiede a gran voce
Ciò che non vuole convincere
Ciò che non accondiscende
Ciò che non spiega
Solo questo è irresistibile
W. B. Yeats

Le catene che legano gli esseri umani
sono invisibili
per questo è tanto difficile
romperle.
Silvano Agosti

e lentamente passò un dito su un angolo spiegazzato del foglio ma quello piano piano si risollevò, rimanendo a mezz’aria. Ripeté meccanicamente il gesto più volte con la mente altrove. Chiuse la lettera in quattro. Rimase qualche attimo con le mani sui fogli ripiegati, come se la commozione e i pensieri che le si affastellavano nella mente le impedissero di muoversi. Pensò all’inaspettato ritrovamento della lettera, a quando la lesse la prima volta, alla rabbia, alla ribellione appassionata, al conflitto sostenuto per non soccombere, alla sofferenza di tutta la battaglia. All’abbandono della lotta. Guardò i fogli, combattuta fra l’impossibilità a staccarsene e il desiderio di metterli via. Prese la busta per riporveli ma si fermò. Li aprì di nuovo. Due pagine e mezza di scrittura fitta a macchina; carta da fotocopiatrice. Occhi velati di pianto corsero tra le righe “…sua vita interiore intensa, sconosciuta… felicissima un giorno… prigioniera...”. Sentì mancarle l’aria “…responsabile e colpevole… incontrerai altre persone… stesso discorso che farei ad una estranea…”; si sentì soffocare, il respiro non bastava a incamerare l’ossigeno necessario. Spalancò la bocca per facilitare l’operazione, poi emise una lunga espirazione. Riprese la lettura di brandelli di frasi come un animale alla ricerca d’una via d’uscita “…come medico faccio questa diagnosi… quasi smarrita… affètta dal tuo stesso male…” il fiato le diventava sempre più corto “…che corrode l’anima, le fibre vitali del cervello, che ferma la vita dello spirito…” le parole balzano dal foglio e le feriscono gli occhi. Colpevole smarrita vita interiore. Si toccò la gola come a controllare il percorso dell’aria attraverso la trachea poi fece con le dita una leggera pressione verso il basso per facilitarne il passaggio. Corrode diagnosi fibre vitali. Parole martellanti nella testa. Fame d’aria, sempre più incombente. Ansimava emettendo suoni rauchi e brevi. Con fatica sollevò una mano e la strinse a pugno, poi l’aprì gettandosi nella bocca una manciata di aria. Ripeté l’operazione più volte: afferrava l’aria e la ingoiava. Corrode l’anima affètta stesso male. Ma non è solo e semplice aria quella che ingoia, è fuliggine mischiata a schegge di vetro, a frammenti metallici, a piccole punte affilate di un marchingegno che la costringe nelle sue spire. Portò le mani alla gola, strinse leggermente, poi aumentò un po’ la pressione per trattenere fuori di sé le scorie di quello strano processo di disintegrazione dell’aria. Fece un respiro breve per impossessarsi solo dell’aria buona e dette dei colpi di tosse muti sporgendo con uno scatto la testa in avanti una volta, due volte, per liberarsi delle scorie generate dal mostro di metallo che le trafiggevano la gola. Tentacoli viscidi le si attaccavano addosso, le avviluppavano le membra in un groviglio inestricabile; ventose la succhiavano e le rubavano l’aria. La macchina si faceva sempre più incombente: la ingoiava, la inglobava nel suo essere trasformandola a sua volta in congegno perverso e cibo di se stessa in un estremo infernale processo di simbiosi. Una volta aveva tentato di sfasciare tutto con dei colpi formidabili dati all’impazzata: pensava, ingenua, di opporre resistenza a quella forza sovrumana del mostro di metallo freddo, perfetto, ineccepibile, con la violenza rude della sua forza cieca, convulsa, confusa. Battaglie impetuose che lasciavano stremata lei e che fortificavano il mostro. I muscoli a poco a poco si afflosciavano, il cervello diventava pesante e inutile.
   In rari momenti sembrava che qualcosa cambiasse, che qualche pezzo della macchina infernale si allentasse, che non riuscisse più a connettersi e a vivere col resto del meccanismo segnando a poco a poco la fine di quella costruzione perfetta, inesorabile. In quei momenti riusciva a liberare un braccio e a tenderlo oltre il mostro che la imprigionava, riusciva a superare ostacoli fatti di lame affilate, di frammenti di vetro, di punte di metallo. La sua mano entra nell’aria, la sente, la tocca, la palpa, ne prende un pugno e torna nella macchina perché lei la ingoi. Le piace. Ah come le piace. E’ pura, semplice, leggera. Fatta di niente. Ma lei si sente fortificata. Tende di nuovo il braccio. Riesce ancora a impossessarsi dell’aria. La tocca, ci gioca. Ne ingoia altri pugni. Il cervello le sembra meno pesante, i muscoli si rinsaldano alle ossa. Quei pugni d’aria le fanno per un po’ riprendere vigore. “Cara Antonietta, ho piacere che mi abbia scritto perché anch” si accorse che una lacrima le cadeva da una guancia, con uno scatto fece in tempo a scostare i fogli perché non si bagnassero. Chiuse gli occhi. Bocca semiaperta. Braccia rigide lungo il torso. Restò immobile. Le avevano detto che l’aria serve a riempirsi i polmoni e a mandare avanti la vita, ma a lei andava spesso di traverso.
   Le sembrava d’essere precipitata in un baratro come sempre le accadeva dopo una crisi di dispnea. Quel pozzo nero dalle pareti viscide: difficile arrampicarsi e guadagnare l’uscita. Si sentiva le palpebre attaccate da appiccicose ragnatele. La mancanza di luce aveva indebolito i suoi occhi. Il silenzio le ronzava nelle orecchie con un brusio più fastidioso di un rumore sgradevole. Le mani erano sporche e quasi fatte della stessa materia della parete da scalare: erano nere, lucide, vischiose.
   A poco a poco quella sensazione di punture di spilli che sentiva tra le palpebre e le pupille svanì. Il fiato corto e affannoso si fece respiro regolare. La fame d’aria si acquetava.


Daniela Igliozzi
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https://it.wikipedia.org/wiki/Daniela_Igliozzi

Andrea Giostra
Fattitaliani

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