«E come si potrebbe non amare Italia? - ha affermato
Henryk Sienkiewicz, - Credo che ogni uomo abbia due patrie; l'una
è la sua personale, più vicina, e l'altra: l’Italia».
Non è la solita
rivendicazione di una presunzione culturale, bensì la testimonianza di una
matrice spirituale, una sorta di “carattere sacro” che risulta più evidente
quando guardiamo questo paese da lontano, magari “a volo d’Aquila” come il
Grand Tour di Goffredo Palmerini,
edito da One Group. L’esplorazione del giornalista abruzzese ha precedenti
famosi, basta pensare al “Viaggio in Italia” di Goethe e Piovene, ma la
prospettiva è diversa. Dall’Abruzzo si raggiunge
la Calabria attraversando
il Gargano e il Salento,
senza tralasciare il
Garda e il Friuli, e lo sguardo si
sofferma su luoghi storici e naturali meno noti con la leggerezza del narratore
e la sagacia del reporter.
Quali sono le linee di lettura di questo volume?
“Grand Tour a volo d’Aquila” è un distillato di quanto
solitamente scrivo nel corso d’un anno o poco più e che affido alla fitta rete
di testate (quotidiani, periodici, riviste, giornali on line, magazine), in
Italia e all’estero, e alle agenzie internazionali, con le quali collaboro.
Questo mio ottavo libro, in particolare, prende il titolo dai racconti di
viaggio che raccoglie, capitoli che narrano l’Italia profonda, quella meno
conosciuta all’estero, un’eccezionale cornucopia di singolarità, bellezze
artistiche e naturali, tradizioni intriganti, colori e sapori stupefacenti. E’ l’esito
d’una collaborazione con il Network i-Italy di New York, diretto da Letizia Airos.
Un’inchiesta
che non vuole ricavare una sequenza di cartoline laccate, ma un reportage
ancorato alla realtà e ideologicamente non contaminato, né ottimista né
pessimista, ispirato dalla spiazzante curiosità che gli detta il suo sesto
senso. Un diario di bellezza e di realtà.
Che cosa racconta?
Il libro vuole essere lo specchio
della più bella Italia, dentro e fuori i confini. Non solo per i racconti di
viaggio, ma anche per i personaggi che incontra, per le storie di vita che
racconta, per i fatti e gli eventi che descrive, che siano in Italia o
all’estero. Fatti,
persone e luoghi che raccontano la bellezza e l’ottimismo, il desiderio d’un
Paese - la nostra Italia - che diventi migliore grazie al contributo, piccolo o
grande, che ciascuno dei suoi figli di buona volontà riescono a dare con amore,
dentro i confini e in ogni angolo del mondo. Nei miei libri c’è l’Italia e
l’altra Italia all’estero. C’è la provincia italiana con le sue ricchezze. C’è
molto L’Aquila, la città, dove sono nato e vivo, la città che ho avuto l’onore
di servire per quasi trent’anni come amministratore civico. La città che sta
risorgendo dalla lacerante tragedia del terremoto del 2009.
Prevale la provincia, non più “bella addormentata”, simbolo della decadenza di un mondo autoreferenziale e chiuso
in se stesso, bensì un territorio variegato, che si rivela piena di energie e
capacità sconosciute e insospettabili. Il capoluogo abruzzese diventa il punto
di partenza di un’indagine ad ampio raggio dentro e fuori l’anima di questo
paese.
L’Aquila come
simbolo di cattiva gestione pubblica del territorio?
Sarebbe
ingeneroso e ingiusto un giudizio così tranciante. L’Aquila è una delle più
belle città d’arte d’Italia, una bomboniera di bellezze, con una storia
importante e singolare fin dalla sua fondazione, a metà del Duecento. L’Aquila,
la Regina degli Appennini, ha tuttavia la sua storia contrassegnata da
terremoti ricorrenti, i più devastanti nel 1349, 1461, 1703 e il più recente
del 6 aprile 2009. L’Aquila è però sempre risorta, grazie alla resilienza della
sua gente. Dopo l’ultimo terremoto si è molto indagato sulla gestione pubblica
del territorio. In via generale il giudizio non può essere più severo che nel
resto d’Italia, come invece talvolta è apparso sui media, in un’informazione
sovente gridata e poco fedele alla realtà. Con un sisma di quelle proporzioni
le criticità si sono rivelate nei centri storici del cratere - e questo poteva
essere comprensibile data l’età degli edifici e le tipologie costruttive - e in
alcune zone dove nel secondo dopoguerra, con uno sviluppo edilizio poco attento
alla natura del terreno, si è edificato laddove per secoli si era evitato.
Quanto è stata
importante la solidarietà nella ricostruzione?
La solidarietà
nell’emergenza post-terremoto è stata straordinaria. L’Italia ha mostrato il
volto più bello e concreto, una prova che ha commosso il mondo. Il volontariato
è un patrimonio umano eccezionale del nostro Paese, che nel campo della
Protezione Civile è nelle posizioni di vertice nel mondo. Come pure è stata
straordinaria la prova di generosità offerta dagli italiani e dalle nostre
comunità all’estero. Il loro contributo nella ricostruzione della città è
abbastanza significativo, sebbene la spesa per la ricostruzione approntata
dallo Stato sia ingente proprio per la natura artistica dell’Aquila, che dentro
le mura ha censite e vincolate oltre duemila emergenze artistiche e
architettoniche, è il sesto in Italia tra i centri storici più estesi e artisticamente
rilevanti.
Di cosa c’è
ancora bisogno?
La
ricostruzione privata sta andando avanti abbastanza bene, anche come
speditezza, meno quella pubblica per le note pastoie burocratiche. E’ più avanzata
nel capoluogo, meno nelle 64 frazioni dell’Aquila, uno dei comuni più vasti
d’Italia. Complessivamente, tra luci e ombre, si può giudicare soddisfacente,
anche per la qualità della ricostruzione che sta restituendo una città più
bella di prima e soprattutto tra le città più sicure riguardo al rischio
sismico, per le tecniche innovative che sono messe in campo, in questo che è il
cantiere più grande d’Europa. Ora c’è bisogno che all’esaurimento dei fondi
stanziati fino a tutto il 2019 il Governo sia previdente e sollecito a
finanziare l’ulteriore fase della ricostruzione. L’attenzione che da tutto il
mondo segue la rinascita della città è l’ulteriore elemento di garanzia per il
futuro dell’Aquila, diventata città universale dopo il terremoto del 2009, per
essere stata scoperta nella sua dimensione artistica e per l’affetto e la
vicinanza riservatale dopo la tragedia.
La raccolta non è solo un inventario di
paesi fisici ma una ricerca appassionata e curiosa di luoghi mentali, culturali
e spirituali che offre riflessioni nuove sull’identità di un Paese che attraversa
una grave crisi identitaria messa in discussione non tanto dall’incontro con le
altre culture ma dall’omologazione dominante. Una chiave di comprensione
psicologica e geografica delle ragioni profonde dell'attuale degrado
paesaggistico e sociale.
La
valorizzazione della bellezza dei nostri territori può bastare per costruire
finalmente un senso civile negli italiani?
La valorizzazione
del nostro patrimonio culturale, storico e artistico è una precondizione necessaria, come pure la cura e la
protezione del paesaggio italiano, auspicando che negli italiani finalmente cresca
la consapevolezza che tale patrimonio - due terzi dell’intero pianeta - è la
nostra più grande risorsa per il presente e per il futuro, il cespite più
affidabile dello sviluppo del Paese. Il senso civico degli italiani è un
esercizio che si affina in concreto, con la cultura e con la coscienza di
quanta ricchezza dispone l’Italia.
Da quest’ottica il volume diventa un
documento letterario, antropologico e giornalistico, «scrupoloso come un
censimento, fedele come una fotografia e circostanziato come un atto d’accusa».
La scrittura sottile, disincantata e, allo stesso, partecipe di Palmerini ci
avvicina a universo di emozioni nei confronti del nostro paese che spesso
dimentichiamo, mentre dal di fuori tutto è più chiaro.
Quale è il vero
rapporto con il nostro paese dei connazionali che vivono all’estero? C’è
nostalgia o rancore per essere dovuti andar via?
Fuori
dall’Italia c’è un’altra Italia persino più numerosa di quella dentro i
confini. Sono 80 milioni gli italiani delle varie generazioni dell’emigrazione nel
mondo. Ed amano l’Italia più di quanto l’amiamo noi. Forse solo nella prima
generazione alla nostalgia per la terra d’origine ha fatto da contrappunto un
qualche rancore verso il proprio Paese, che spesso è stato distratto verso i
propri figli emigrati.
Cosa chiedono
all’Italia?
I nostri
connazionali nel mondo non sono più quelli partiti con la valigia di cartone,
descritti negli stereotipi. Hanno sofferto pregiudizi e stigmi, nella prima
generazione dell’emigrazione. Poi i loro figli si sono man mano integrati nelle
società d’accoglienza, si sono fatti apprezzare, hanno ora la stima e il
prestigio che si sono meritati in ogni settore di attività. Sono nelle
università, nelle imprese, nel mondo dell’arte, dell’economia, della ricerca,
nelle Istituzioni e nei Governi, talvolta con ruoli di preminenza. Chiedono di
essere conosciuti e riconosciuti, perché sovente le classi dirigenti in Italia
non hanno piena consapevolezza e conoscenza del valore delle nostre comunità
all’estero. La storia della nostra emigrazione è estranea e non entra ancora nella
grande Storia d’Italia. Spesso la conoscenza del fenomeno migratorio si limita
alla patina, con tutti di equivoci paternalistici che non accompagnano invece
un forte investimento del Paese sulle comunità dei connazionali all’estero, i
più motivati ambasciatori dell’italianità nel mondo.
Hai affermato
in un’intervista che all’estero amano il nostro stile di vita, in concreto cosa
piace?
All’estero
ammirano l’Italia per le sue bellezze e per il paesaggio, per l’arte e le
tradizioni, per i sapori della sua gastronomia, per le meraviglie delle città e
dei borghi, per la creatività e il gusto italiano. Amano persino la lingua
italiana che, sebbene con scarsi investimenti e aiuti, è la quarta lingua più studiata
nel mondo. E poi amano il nostro stile di vita - l’italian way of life - così
legato alla comunicatività, al piacere e alla simpatia che gli italiani sanno
spesso esprimere.
I nostri valori
tradizionali potranno resistere alla globalizzazione?
Le piccole
città e i centri minori della provincia italiana, spesso autentici scrigni d’arte
e di tradizioni originali che affondano radici nella nostra storia millenaria,
sono luoghi di autentica preservazione dai fenomeni di spersonalizzazione
culturale e massificazione. Nella nostra provincia si può davvero coltivare il
valore dell’eccezionale ricchezza del costume e delle abitudini ataviche della
gente italiana, tessere d’un mosaico che in fondo esprime il gusto di vivere all’
“italiana”. Appunto l’italian life style che tanto intriga all’estero, dove
l’anonimato urbano e un urbanesimo senza radici non coltiva un’identità, quella
invece che l’Italia detiene grazie all’eccezionale fioritura di culture e
tradizioni locali nel caleidoscopio di borghi e città dove si vive a dimensione
umana.
L’operazione narrativa di Goffredo Palmerini è davvero una passeggiata durante la quale si
conoscono bene i borghi e le città, se ne respira
l’aria, e quasi sembra di parlare con chi ci vive, ma la responsabilità del
comunicatore è vigile, profonda senza sentimentalismi, solo l’energia della
terra.
Fiorella
Franchini – ildenaro.it