Proscenio, Johannes Bramante a Fattitaliani: gli attori per il drammaturgo sono continua fonte di ispirazione. L'intervista

Sarà in scena allo Spazio Diamante - dall’1 al 3 febbraio 2019 - Vertenze Politiche su una Versione Pornografica del Mito di Pasìfae, scritto e diretto da Johannes Bramante con Francesca Accardi, Davide Paciolla, Guido Targetti. L'autore e regista dello spettacolo è ospite di Fattitaliani per la rubrica Proscenio. L'intervista.

"Vertenze Politiche su una Versione Pornografica del Mito di Pasìfae" in che cosa si contraddistingue rispetto ai precedenti suoi testi?
È sicuramente il mio lavoro più moderno. Rispetto ai testi precedenti, che trattavano comunque la mitologia e portavano in sé un'atmosfera e un linguaggio da tragedia antica, in “Vertenze Politiche” la forma del dialogo - e con essa la lingua stessa - subisce un mutamento. Ci ritroviamo sempre su un campo di battaglia, dove si affrontano figure tragiche che peccano di hybris e carezzano la morte, ma al posto di armature, armi e arringhe ci ritroviamo in un mondo dominato dalla tecnologia, dal sotterfugio e dalle dinamiche del denaro, dove è la firma in calce a un contratto a determinare il successo o la distruzione di una dinastia. Insomma, ho voluto sostituire, in quest'ultimo lavoro, la spada con la penna, la voce del messaggero con il telefono e il re con il manager di una grande azienda. La profondità dei moti umani resta la stessa però, tutti anelano, tutti combattono, tutti corrono incontro alla fine che il fato gli ha prestabilito.
Quale linea di continuità, invece, porta avanti (se c'è)?
“Vertenze Politiche” conclude un ciclo di tre spettacoli sul mito antico. Sono tutti e tre una riflessione accesa e dinamica sul nostro tempo attraverso la lente della mitologia, la nostra mitologia, quegli dei ed eroi del mondo classico, che da piccoli ascoltavamo mentre compivano le loro scellerate azioni nell'universo dei libri e della scuola, ma che adesso - cresciuti noi, immutati loro - troviamo ancora in un “iperuranio della mente” a insegnarci quali sono i nostri limiti, quale la nostra strada e che cosa significhi essere uomini. Gli antichi avevano un nome proprio per ognuna delle passioni, ognuno dei vizi, nomi propri che hanno perso la loro forza evocativa e che restano validi soltanto nei confini di lingue morte, ma a guardar bene, a riesumare quella cristallizzazione antropomorfa delle nostre emozioni, ci ritroviamo ancora ad essere piccoli mortali che adorano le stesse divinità, oggi le chiamiamo “Denaro”, “Successo”, “Sesso”, ma il loro potere è immutato.
Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro?
Ricordo che ho sempre avuto grande ammirazione per chi si faceva carico di comunicare un mistero a prima vista incomprensibile: sacerdoti, professori, ma anche veggenti all'angolo della strada, matti sulle piazze e, ovviamente, gli attori a teatro. Ho, fin da piccolo, voluto partecipare al rito, alla sacralità della parola, alla linearità di una narrazione con molteplici fini. Solo molto più tardi ho trovato nell'arte drammatica il medium migliore per questa forma di comunicazione infinitamente ambigua. Non credo quindi di aver mai avuto un “primo approccio”, mi sto ancora approcciando, lo sto aggirando il teatro, lo sto saggiando...
Quando scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
Sempre. Un personaggio non ha ragion d'essere se non c'è un attore specifico, un carattere specifico, che può infondergli la vita. L'immaginazione umana è immensa, ma non sufficientemente grande da poter plasmare una persona dal nulla. Gli attori per il drammaturgo sono continua fonte di ispirazione, i loro volti, la loro pelle, le loro ansie, le loro smanie e, soprattutto, quelle rare occasioni in cui brillano sul palcoscenico e riescono a far trascendere insieme a loro lo spettatore in platea. Quando scrivo nella mia testa c'è sempre il suono della voce di qualche attore che conosco che pronuncia le parole che escono dalle mie dita.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Che cambi una parola, una virgola, un silenzio! Il testo è la superficie sottilissima del dramma, mentre la parte più grande, quella che sulla carta non si vede, ma che in teatro tocca i cuori degli spettatori, è nascosta. Sarà l'attore a cercarla e a trovarla in sé e il compito del regista è di accompagnare l'attore durante questa ricerca. Ma è dal testo, dalla parola scritta che parte l'avventura! Il regista attento saprà guidare i suoi attori alla ricerca del non-detto all'interno del copione, ma se cambia la disposizione iniziale del testo, cambierà inevitabilmente anche il prodotto finale. La parola scritta – e detta – è la piccolissima miccia che accende la bomba: è bene non giocarci troppo.
Quanto è d'accordo con la seguente citazione: "Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita" di Eduardo De Filippo?
Non so quanto sia disperato questo sforzo... Ho visto persone tra il pubblico ridere e piangere dimenticandosi completamente del loro quotidiano. Ho visto anche attori slanciarsi dal palco e raggiungere sfere in cui ogni loro azione risuonava forte e perfetta. Credo che il teatro dia senso alla vita. Certo, per pochissimo tempo, ma non mi lamenterei!
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
“ammazza, figo però!” di un ragazzo che non era mai stato a teatro prima d'ora.
Assiste sempre alla prima assoluta di un suo lavoro?
Sono sempre lì. Da una parte sono curioso della reazione del pubblico: in teatro c'è sempre un'energia completamente diversa rispetto alla sala prove. D'altra parte è giusto che l'iniziatore del tutto - perché il drammaturgo o il regista non è un creatore ma un “iniziatore” - sia presente, è lui il primo responsabile dell'artificio teatrale che si sta per compiere, è lui l'autore della prima parola che si pronuncerà. Deve farsi piccolo però, osservare il rito che ha iniziato in silenzio, scrutare l'effetto che fa su di lui, sugli spettatori e sugli attori, ora per la prima volta in scena con qualcosa di nuovo.
L'ultimo spettacolo visto a teatro? 
Vado spesso a teatro, vedo amici e conoscenti, talvolta anche sconosciuti sui palchi dei piccoli “Teatri Off” delle città che visito. Ogni tanto mi capita di vedere grandi spettacoli in grandi teatri con grandi nomi. Preferisco i primi, è lì che il teatro respira.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo? 
Non sono un nostalgico e benché ammiri enormemente sia l'ammiccante critica sociale di un Dario Fo, sia il peso drammatico di un Vittorio Gassman, gli attori che preferisco sono quelli che abitano nel mio tempo, che conoscono l'umore delle piccole vittorie e delle piccole sconfitte di quest'epoca curiosa e terrificante. Amo lavorare con chi vede quello che vedo io e poi lo elabora a modo proprio.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Ce ne sono tantissimi che amo e che mi hanno segnato, ma forse quello più perfetto, quello che permette il maggior numero di interpretazioni sceniche e che lascia una libertà pressapoco totale all'attore che corre il rischio e si assume la responsabilità di ripeterne le parole è l'Orestea. È l'opera che diede inizio alla nostra arte e che ancora, attraverso duemilaquattrocento anni, ci lancia un grido sporco di sangue e sabbia. Il tumulto che proviene dall'anima dei suoi personaggi ci riguarda da vicino, che lo vogliamo o no.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Mi fanno sempre piacere le buone critiche dei giornali, ma alla fine il teatro abita nel cuore di chi lo fa e questo lo sanno al meglio le persone a cui vogliamo bene: è il loro giudizio che più mi pesa sulle spalle e che più mi dà gioia.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
La tosse! La tosse durante una rappresentazione è la peggior critica che ci sia! Giovanni Zambito.

LO SPETTACOLO
1 | 2 | 3 Febbraio 2019
Spazio Diamante
Compagnia Coturno 15 presenta
VERTENZE POLITICHE SU UNA VERSIONE PORNOGRAFICA DEL MITO DI PASÌFAE 
Scritto e diretto da Johannes Bramante 
con (i.o.a.) Francesca Accardi, Davide Paciolla, Guido Targetti 

Un mito, dal greco mythos - racconto, è una narrazione di avvenimenti accaduti in un passato remotissimo, quello delle origini; caricato di sacralità, è relativo alle origini del mondo o alle modalità con cui il mondo stesso e le creature viventi hanno raggiunto la forma presente, in un certo contesto socioculturale o in un popolo specifico. Al tempo stesso il mito è la riduzione narrativa di momenti legati alla dimensione del rito. Si tratta quindi di una narrazione appartenente alla tradizione ma non privo di legami con la realtà.
Vertenze Politiche su una Versione Pornografica del Mito di Pasìfae è uno spettacolo che si ispira ad un mito che nella sua eternità resta attuale. Un testo ambientato ai giorni nostri, in cui la dimensione tragica e mitologica è presente nei protagonisti, i quali dimostrano come l’universalità del mito sia insita nell’uomo.

La meccanica del mito è precisa e spietata: al re di Creta, Minosse, viene regalato dal dio del mare, Poseidone, un magnifico toro bianco. Quando, dopo essergli stato favorevole in varie circostanze, Poseidone richiede che il toro gli venga sacrificato, Minosse si rifiuta di immolare la bella bestia. Il dio, irato, si vendica con spietata fantasia: fa sì che la moglie del re di Creta, Pasìfae, si innamori perdutamente del toro bianco. La povera regina comincia, soffrendo le pene dell'amore, ad agognare un congiungimento con il quadrupede che, in quanto quadrupede, predilige le mucche alla donna; la quale però non si dà per vinta. Convince infatti l'architetto di corte, il celebre Dedalo, a costruirle una vacca di legno, dentro la quale ella si potrà accovacciare in attesa che la concupiscenza del toro lo porti ad un amplesso con la struttura di legno – e quindi con lei. Cosa che di lì a poco accadrà. Frutto della passione zoofila di Pasìfae sarà, nove mesi dopo, il Minotauro. Questo è il mito. Semplice, passionale e brutale nel suo essere mito. Lo spettacolo teatrale “Vertenze Politiche su una Versione Pornografica del Mito di Pasìfae” fa reincarnare il suddetto mito in una situazione tanto più attuale quanto più affine a quella narrata dai poeti di duemila anni fa: la mitica Isola di Creta diventa la “Creta Costruzioni SpA”, una società italiana, molto italiana, che si occupa di costruzioni, soprattutto nel settore turistico. Minosse, il presidente, ha da tempo adocchiato un terreno dove costruire un grande resort con tanto di piscine e campi da golf, proposito facilmente realizzabile per uno scaltro businessman di alta estrazione sociale e amici giusti, se non fosse che proprio il terreno prescelto è abitato dall'ultimo esemplare di Toro Bianco in Italia, cosa che preclude il permesso di edificazione al nostro costruttore. Ma Minosse non ne vuole sapere di arrendersi alla legge italiana, insieme ai suoi amministratori delegati, Dedalo e Pasìfae, si dà un gran da fare per cercare di aggirare l'ostacolo. Ammazzare il toro? Corrompere le autorità? Comprare giornalisti? Quel che accadrà all'interno dell'ufficio principale della “Creta Costruzioni SpA” sarà un groviglio di complotti e speculazioni, di lotte esterne ed interne, senza scrupoli e senza la costrizione all'ipocrisia, solitamente dettata dall'opinione pubblica. Insomma, sarà una messa a nudo degli animi accesi di tre spregiudicati affaristi, dalla stessa parte soltanto per necessità e devoti solo al capitalismo, in un mondo dove fedeltà, coerenza e ambizione sono termini vacillanti, relativi e spesso pericolosi. Che la storia prenderà una brutta piega quando l'amministratrice delegata Pasìfae comincerà ad avere strane sensazioni va da sé... Il mito, eterno, si compie anche tra cravatte, telefoni e tacchi a spillo.

Vertenze Politiche su una Versione Pornografica del Mito di Pasìfae, completa la trilogia del mito di Johannes Bramante, che nelle scorse stagioni ha messo in scena Alkestis 2.1 e Il Complesso Di Antigone.

Note di regia di Johannes Bramante
Avrei voluto chiamarlo “3” oppure “fine della trilogia” o semplicemente, “senza titolo”. Ma sono privilegi questi, che debbo lasciare ai musicisti e ai pittori, noi, a teatro, i titoli li dobbiamo dare. Allora da questo vincolo non mi resta che divincolarmi con un escamotage scientifico-universitario: il sottotitolo. “Vertenze Politiche su una Versione Pornografica del Mito di Pasifae” non troneggia sulla prima pagina del copione, non riassume in senso olistico gli accadimenti del dramma, non agogna l'effetto immediato d'una brevità incisiva, insomma non è un titolo, ma un sottotitolo e il sottotitolo, adagio e stoico, vuole soltanto dare una prima, dolcemente accennata, spiegazione di quello che ci aspetta dopo la copertina o, nel caso nostro, dopo l'apertura del sipario. Che spieghi – e si spieghi – allora, il sottotitolo! La Vertenza Politica è quella dinamica, attivata dalla, più o meno volontaria, presa di coscienza dei tre attori principali del cupo dramma di essere – Aristotele non fa che appuntarlo – animali politici. Minosse è il presidente di una grande e potente azienda italiana, dalle sue decisioni, dai suoi investimenti e, anche, dal suo umore dipendono le sorti di innumerevoli persone. Pasifae e Dedalo, amministratori delegati della medesima azienda, sono apparentemente abbandonati alla mercé del loro avido presidente, ma hanno negli anni affinato la tecnica del raggiro, della menzogna e del buon viso al cattivo gioco. Eccoli allora, i tre tecnici dell'arte del governo, uomini d'affari strigliati con tornaconto personale e doti retoriche tanto efficaci quanto vuote, trovarsi di fronte a un imprevisto che sfugge a ogni loro calcolo o piano. Tuttavia al loro utilitarismo capitalista, che malamente cela una vertigine di narcisismo e sfrontato egoismo, non sono posti limiti, i tre affaristi sono maestri del gioco politico. E perché allora la versione è pornografica? Nell'ufficio dei tre businessmen alle prese con un imprevisto, tanto assurdo quanto potenzialmente devastante, non è ammessa quella buona educazione da sfoggiare invece in pubblico. La voglia cupida di denaro e successo, l'istinto edonistico che fa dell’economia un dio e del fatturato una ragione di vita, non ammette temporeggiamenti o accorgimenti stilistici: famelica è la cupidigia, sfrenata la passione per il proprio status sociale. Un mélange di banconote, sesso e la promessa di eterno progresso: questo è il paradiso dei nostri tre protagonisti. Il tratto che disegna questo vorticoso inseguimento di una felicità materialista, ma non per questo, meno travolgente e appagante, è un tratto che deve avere il coraggio di disegnare emozioni e desideri molto bassi, un tratto che all'occorrenza sa disegnare puttane insomma, eccola allora la pornografia: da porné, prostituta e graphè, disegno. Il Mito di Pasifae, invece, è quell'eco, quell'eterna eco che fievole si sente all'inizio di ciò che si sa finire in una catarsi di sangue e dolore; è questo il mito che dà i nomi ai nostri personaggi: Minosse, Pasifae e Dedalo. Perché questi tre personaggi, nelle loro corazze di cinismo e perfidia, tra le loro cravatte e i loro orologi, nelle loro ville e nelle loro macchine, non potranno mai sfuggire al ciclico rinnovarsi della storia antica; del mito che sorveglia da tempo immemore le azioni e le vicende umane per compiacersi di veder finire il racconto proprio come aveva stabilito dall'inizio dei tempi. Come noi, d'altronde, che allo spettacolo non vorremmo dare un titolo perché la storia accade all'improvviso, il mito si dispiega da sé e a noi non resta che accettare la crudeltà degli uomini e del fato, anche oggi, anche adesso. Non c'è il tempo per guardare la copertina.

Spazio Diamante
Indirizzo: Via Prenestina, 230, 00176 Roma RM
Telefono: 06 2785 8101
Orario spettacoli: ore 21.00, domenica ore 17.00
Biglietti: intero: 18 Euro 

Fattitaliani

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