di Goffredo Palmerini - Ripubblicato il romanzo dell’autore abruzzese “Tempo grande”, a cura di Simone Gambacorta.
L’AQUILA - Gian Luigi Piccioli è uno scrittore d’origine
abruzzese fecondo e raffinato, da riscoprire in tutta la sua dimensione nel
panorama letterario italiano. Ad un lustro dalla sua scomparsa, va sicuramente
in tale direzione la recente ripubblicazione del suo romanzo Tempo
grande - uscito in prima battuta nel 1984 per l’editore Rusconi - per i
tipi delle Edizioni Galaad, a cura
di Simone Gambacorta che ne ha
vergato una corposa e puntuale Presentazione.
La sinossi del romanzo: in un grande studio televisivo romano, il conduttore
Marco Apudruen e lo scrittore Gigi Insolera trasmettono in tempo reale immagini
che arrivano da ogni parte del mondo sotto forma di servizi giornalistici. I
due non potrebbero essere più diversi: freddo, ambizioso, dispotico il primo,
sensibile e introverso il secondo. L’irrompere sulla scena di Marianna Estensi,
un’affascinante fotoreporter, mette in crisi il loro sodalizio, innescando un
crescendo di situazioni incandescenti e drammatiche in cui si riflettono le
contraddizioni e i retroscena del mondo televisivo e il cinismo della “società
dello spettacolo”. Fa da sfondo alla vicenda una Roma maestosa e svagata,
capace di esaltare chi la vive oppure di schiacciarlo, mentre nei capitoli
finali l’azione si trasferisce nel cratere di Ngorongoro, in Tanzania, dove un
evento imprevedibile segnerà una svolta nella storia.
Scrive
Simone Gambacorta nella sua Presentazione: “Tempo grande parla di paure, passioni, speranze, dolori, ipocrisie,
tradimenti. E contempla, non a caso, il topos del triangolo amoroso: ne sono
coinvolti lo scrittore Gigi Insolera, la fotografa Marianna Estensi e il
conduttore televisivo Marco Apudruen, i tre personaggi principali. Ma Tempo grande, uscito originariamente per
Rusconi nell’orwelliano 1984, è anche un romanzo sui media, e nel caso
specifico il medium è la televisione (verrebbe da dire: è un romanzo sui media
appunto perché è un romanzo sull’uomo). […] Il villaggio globale di McLuhan, la società dello spettacolo di
Debord, la tv “assassina” di Baudrillard: Tempo grande racconta la bulimia di una televisione sempre più
aggressiva e sempre più «cattiva maestra» – secondo la lettura di Popper e Condry –, un gigantesco tubo digerente a ipertrofico tasso
tecnologico che aggredisce e sbrana l’attualità su scala globale per
trasformarla e rendere l’informazione e l’intrattenimento (la loro sintesi)
merce da consumo, nell’oltranza produttiva del live e del reality (entrambi
illusori)”. […]
Dei
personaggi del romanzo Gambacorta
analizza relazioni, interdipendenze, soggezioni e condizionamenti nel loro
mondo della comunicazione, nel vissuto quotidiano con il mezzo televisivo e nel
“risucchio della macchina tv”, un coacervo di sentimenti nel quale si dipana la
trama del romanzo che è bene lasciare per intero alla scoperta del lettore. “Il
tempo grande del titolo – annota ancora Simone
Gambacorta - è un tempo che si è ingrandito, è il tempo di una mutazione in
atto, di una frontiera che si sposta, come un perimetro che scoscende e sfuma
nell’evoluzione continuata (e anche metamorfica) di se stesso. È un tempo
ignoto che porta in sé altro. È il tempo della contendibilità dei duplicati
audiovisivi del reale, è il tempo di un nuovo potere che si afferma. Non manca
nel romanzo una parte più spiccatamente avventurosa, dove la scelta del
pericolo (con quel tanto di suspense che ne discende) fa tutt’uno con la
scommessa assai rischiosa che porta Marianna Estensi a immolarsi in un
sacrificio dove la vita diventa la contropartita di un esperimento a fini di
audience.” […].
E
aggiunge: “Tempo grande segna il
momento della pienezza creativa di Piccioli
(qui forse non estraneo da alcuni accenti neobarocchi) e si apre con una
lezione di sapienza scrittoria: «Da Porta
Pinciana Gigi Insolera scese via Veneto lasciandosi alle spalle Villa Borghese,
pensile sui muriccioli e appena bagnata dal sole. All’ingresso della
metropolitana esitò; il divertente tapis roulant in pochi minuti lo avrebbe
lasciato davanti agli studi televisivi della TDN, dove lavorava, a piazza di
Spagna. Proseguì nell’aria trasparente tra i tavolini appena lavati di Harry’s.
La libreria era aperta, e il suo ultimo romanzo non era più in vetrina».
L’accenno all’esitare di Insolera e all’assenza del libro dalle vetrine sono
allusioni per nulla casuali che prefigurano tanto il carattere quanto lo stato
e il destino del personaggio. In quelle righe incipitali Piccioli suggerisce
molto senza però rivelare nulla: ma il lettore avrà pian piano modo di appurare
quante tracce siano già nascoste in quelle parole. Insolera è un intellettuale
che cammina con grazia e fragilità tra i corpi contundenti di un presente
pragmatico e cinico. È nella sua indole una disarmata assenza di ogni forza
antagonistica, e tuttavia è un uomo capace di resistere (di resistere più che
opporsi alle cose) e questo impedisce di considerarlo – almeno in senso stretto
– un debole, tanto più che la sua capacità di resistere pare anche derivare dal
suo essere un uomo sempre un poco discosto da tutto il resto, anche quando pare
esservi più ampiamente coinvolto; in realtà il suo coinvolgimento più
intimamente vero – quello irrevocabile, quello radicale – sarà quello per
Marianna. Prende in ogni caso da lì avvio un romanzo tutto calato nell’ «era
elettrica» di McLuhan, ma anche
profondamente e drammaticamente italiano.”
“[…]
Esiste in Piccioli una vena civile
netta e fortissima che de facto ne informa ogni opera e che torna a mostrarsi
con non minore chiarezza nel romanzo anch’esso romano che sarà dato alle stampe
dopo Tempo grande, ossia Il delitto del lago dell’Eur. […] Tempo grande ha interrogato il presente -
conclude Gambacorta nella sua
Presentazione - e ha dato risposte anticipatorie sul futuro. Quando uscì, Piccioli, che era nato nel 1932, era
cinquantenne. La sua generazione era “naturalmente” lontana dall’orizzonte
immaginato nel libro: perciò, più ancora che dai suoi interessi e dalle sue
letture, Tempo grande è frutto del
suo intuito della contemporaneità; quell’intuito che agiva come un istinto e
che tuttora – nei suoi esiti – rappresenta una delle peculiarità più spiccate e
sorprendenti di questo sorprendente narratore. Uno scrittore non è uno stregone
né un indovino e tanto meno un mago, ma una forza critica che agisce dentro un’epoca. Questo ricorda Tempo grande”.
Nato
a Firenze il 24 settembre 1932, Gian
Luigi Piccioli trascorre l’infanzia in Abruzzo,
che lascerà solo ventenne. Con l’Abruzzo conserverà un forte legame, in
particolare grazie ai frequenti ritorni a Chieti,
Navelli e Francavilla al Mare, dove trascorrerà sempre le vacanze estive.
Laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna, inizia a scrivere da
ragazzo. Roma diventa la sua città adottiva: vi vive con la moglie Anna Di Nicola, anche lei abruzzese, e
con i loro tre figli. Lavora all’Eni con Enrico
Mattei e per anni scrive reportage per le riviste «Ecos» (dell’Eni) e
«Synchron» (dell’Agip) raccontando l’Europa,
l’Africa, le Americhe e l’Oriente.
Innamorato del viaggio, è un osservatore inesausto e attento della sua epoca e
non manca di riunire scelte dei suoi reportage in libri: da Una Cina per il 2000 (Ecos, 1980) a Viaggio nel mestiere Saipem (Kappagraph,
1980), per arrivare al più recente Africa
vivi. Taccuini di un reporter (Galaad Edizioni, 2012). L’Africa è un suo grande polo d’interesse:
a fornirne testimonianza è, fra l’altro, l’ampia conversazione con Alberto Moravia che Piccioli pubblica
nella rivista «Synchron» nel 1985.
Come
narratore esordisce nel 1966 con il romanzo Inorgaggio
(Mondadori), cui seguono Arnolfini (Feltrinelli,
1970), Epistolario collettivo
(Bompiani, 1973), Il continente infantile
(Editori Riuniti, 1976), Sveva (Rusconi,
1979, Premio Villa San Giovanni), Viva
Babymoon (Bompiani, 1981, Premio internazionale Trento per la letteratura
giovanile) e Tempo grande (Rusconi,
1984), con cui vince il Premio Scanno. Nel 1987 vince il Premio Flaiano per la
narrativa con Il delitto del lago
dell’Eur, edito da Camunia. Nel 1990 dà invece alle stampe Cuore di legno (Rizzoli);
successivamente vedono la luce altri due romanzi: La Pescarina. L’età del cambiamento (Esa, 2005) e Tesi di laurea (Carabba, 2010). Del 1978
è la favola Olofìn e la tribù dei
cacciatori (Lisciani e Zampetti), del 1998 Favole proibite (Arlem), del 2000 L’erba di Auschwitz cresce altrove (Arlem) e del 2007 Safari alla bambola rossa. Racconti
paralleli e racconti reportage di persone e animali (Carabba). Del 2012 è Tempi simultanei. Libri e viaggi di uno
scrittore (Galaad Edizioni), il libro-intervista firmato con Simone
Gambacorta. Gian Luigi Piccioli muore
a Roma il 21 aprile 2013.
Riferimenti
all’opera di Gian Luigi Piccioli,
oltre che nella Storia della letteratura
italiana contemporanea (1940-1996)
di Giuliano Manacorda (Editori Riuniti, 1996), si trovano nel Dizionario della letteratura italiana
contemporanea (Vallecchi, 1973), nell’Autodizionario
degli scrittori italiani (a cura di Felice Piemontese, Leonardo, 1990) e
nel Dizionario della letteratura italiana
del Novecento (diretto da Alberto Asor Rosa, Einaudi, 1992). Cenni sono
presenti nel compendio di Walter Pedullà La
narrativa italiana contemporanea 1940/1990
(Newton Compton, 1995). Un primo inquadramento critico, in gran parte
incentrato su Epistolario collettivo,
è invece offerto da Renato Minore
nel saggio Sul “gusto” della critica
militante raccolto in Mass-media intellettuali società (Bulzoni, 1976). Su Epistolario collettivo non manca di
fornire cenni Carlo De Matteis nel
suo volume Civiltà letteraria abruzzese
(Textus, 2001). A Piccioli dedica inoltre attenzione Lucilla Sergiacomo nel suo saggio La narrativa abruzzese del Novecento, un percorso tematico, che può
leggersi nel volume L’Abruzzo del
Novecento, a cura di Umberto Russo ed Edoardo Tiboni (Ediars, 2004). Di Lucilla Sergiacomo è inoltre assai
utile la scheda critica che introduce una scelta delle pagine di Epistolario collettivo nell’antologia Narratori d’Abruzzo, curata dalla stessa
Sergiacomo per Mursia nel 1992. Una precedente antologia dove Piccioli compare
con un breve racconto è Narratori
dell’Abruzzo e del Molise, edita anch’essa da Mursia nel 1971 per la cura
di Giovanni Titta Rosa e Giuseppe Porto. «La sua
opera attende ancora un risarcimento che gli è dovuto. Piccioli è stato uno dei
più grandi scrittori del secondo Novecento, non si può lasciare il suo nome nel
dimenticatoio», ha scritto Massimo
Pamio.
Tempo grande di Gian Luigi Piccioli
Galaad
Edizioni, Teramo, dicembre 2018, pag. 348, € 18