Emanuele Bosi, l'attore della porta accanto, a Fattitaliani: il Divismo era una consacrazione per un attore, non un danno. I Social lo hanno distrutto. L'intervista

di Laura Gorini -  È un giovane attore molto amato dal grande pubblico Emanuele Bosi, che è apparso non solo svariate pellicole cinematografiche ma anche in numerose fiction di successo, senza nemmeno farsi mancare nel suo bel curriculum importanti esperienze teatrali. Ora, nella sua amata Roma, ha organizzato un accattivante corso di recitazione, del quale ci ha parlato durante l'intervista che ci ha gentilmente concesso.

Emanuele, attore di teatro, cinema e di fiction televisive: quali sono le maggiori difficoltà che hai riscontrato nel corso della tua carriera nei tre diversi ambiti lavorativi sempre a livello attoriale?
A teatro non puoi permetterti di sbagliare, è buona la prima, per cui è importante la preparazione. Nel cinema ci sono enormi difficoltà in partenza perché è sempre più difficile per un film riuscire a partire o comunque a trovare una distribuzione. La fiction gode di più agio ma allo stesso tempo ha tempi molto stretti da dedicare alla qualità, anche se alcune fiction vengono meglio di tanti film destinati alle sale.
Ma che cosa significa essere un attore oggi e come credi che sia cambiata nel corso del tempo secondo te la sua figura?
Oggi è molto più complicato di prima. C’è più concorrenza. Con l’avvento dei Social ognuno concorre per un posto da attore e spesso emerge chi sa essere un ottimo pr di se stesso.
In America, non solo negli Anni Cinquanta, ma anche oggi l'attore è visto come un divo. Per quale motivo motivo, secondo te, in Italia oggi non è più così?
Il divo oggi non esiste più, semplicemente per la natura stessa dei Social. Una volta tu non sapevi nulla di un attore perché questo era avvolto da alone di mistero, il che lo rendeva irraggiungibile. Adesso si sa tutto di tutti. Anzi, più sei Social più funzioni, ma più sei social e più non sei divo, perché sei semplicemente raggiungibile.
Il Divismo era qualcosa che in qualche maniera poteva danneggiare la professionalità, la figura e l'umanità di un attore?
Il Divismo era una consacrazione di un artista. Non un danno.
Quando si capisce, a tuo avviso, che un attore è davvero entrato nella sua parte e non mette in scena solamente una copia di sé?
Quando credi in quello che fa e ti dimentichi che sta recitando.
Ma quando si recita come si può dimenticare il proprio io in nome di un altro?
Non si dimentica il proprio io. Lo si usa per arrivare a quelle emozioni, sensazioni, atteggiamenti dell’altro. Un attore per essere completo deve conoscere se stesso e avere accesso a molte informazioni della sua personalità.
Tu stai organizzando un nuovo corso per chi vuole percorrere in qualche maniera le tue orme, come sarà strutturato e come si svolgerà nel dettaglio? Puoi darci qualche maggiore informazione al riguardo?
Un percorso per imparare a recitare in maniera naturale e realistica, donando "vita vera" al personaggio. Per imparare ad essere e non a fingere di essere. L’allievo si misura con se stesso attraverso la ricerca delle emozioni, lo studio del movimento, lo sviluppo delle sensazioni, il linguaggio del corpo e l'uso della voce. Si impara ad analizzare una scena e ad interpretarla davanti alla telecamera, come se fossi su un set cinematografico. Che poi è il metodo che si insegna all’Actor Studio e che studiano gli attori americani.
È complicato insegnare oggi a recitare?
Assolutamente sì, ma soprattutto è una grande responsabilità.
E sopratutto, oltre a saper recitare bene, quali sono le caratteristiche che deve possedere a tuo avviso un bravo e valido attore per arrivare al cuore della gente?
Deve saper emozionare. Sta tutto lì.
Tu quando hai capito di esserci arrivato?
Lo riscontro da quello che mi dicono oppure mi scrivono nei commenti o nei messaggi. È una bella soddisfazione.
Fattitaliani

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