Al
Teatro Marconi, il 29, 30 novembre -1 e 2 dicembre, Rodolfo Laganà in “I
sorrisi del Portiere” di Carlo Picchiotti per la Regia di Claudio
Boccaccini.
Rodolfo
Laganà veste i panni di Orazio Parini, un portiere di un grande condominio
romano, convocato da un Commissario di Polizia che lo interroga su un
fatto avvenuto nel palazzo. Con l’aiuto di diapositive alle sue spalle, descrive gli inquilini raccontando
che ad ognuno riserva un sorriso diverso. Loro vanno di corsa, qualcuno
risponde ed altri tirano diritto. A fare da sottofondo musicale “Sempre” di Gabriella Ferri, quasi a voler
sottolineare “le parole di tanta gente”.
Nel suo racconto passa dalla tenerezza
all’ironia, delineando “er vero core de Roma”, una Roma ormai quasi sparita.
Declina il suo racconto, soffermandosi su ognuno in maniera minuziosa e con le
giuste pause, svela pregi e difetti di ognuno. Il commissario vuole sapere il
movente, l’arma, qualcosa sul morto ma incalza soprattutto per conoscere la
verità.
Disserta su tutti ed è
rammaricato del fatto che sia stato licenziato all’unanimità dopo anni di
onorato servizio. Si ritiene bravo nel suo lavoro, soprattutto per il fatto di
riuscire a comunicare con più di trenta famiglie.
"I Sorrisi del Portiere" è un testo poetico, un affresco di una Roma che non c’è
più.
Laganà è sublime quando con voce quasi incrinata dai ricordi, pensa
all’invasione del Moplen, ai giochi come Acchiapparella, Mosca cieca, Tre tre
giù giù, Corda, Elastico, Palla Avvelenata, Campana e Rubabandiera l’unico
gioco che condividevano con le bambine. Ricorda che i genitori dicevano “non
fate peccato sennò Gesù piange”. Rammaricato aggiunge “Ci vogliono far pensare
con un cervello solo”. Traspare la nostalgia per un tempo che non tornerà più.
Il ritmo è serrato, Laganà riesce a tenerci incollati alla poltrona per un’ora
e un quarto, è così empatico che cattura l’attenzione di un bimbo di dieci anni
seduto accanto a me. Ci conquista per la sua bravura, la sua comicità e con i
suoi ricordi, quelli di chi è vissuto negli anni ‘50 e ’60 e che rimarranno
indelebili.
Quanto è crudele a volte il destino, lo scopriremo in un finale
sorprendente.
È una persona per bene, ha un intercalare romano, le parolacce a Roma sono
solo un attestato di stima, non sono usate per offendere.
“Sono una persona per bene…” quasi un contrassegno per ogni portiere. Esistono
ancora queste persone?
Credo di sì, uno che indossa
“una divisa” e gestisce gli appartamenti delle famiglie, sicuramente lo è.
Usi un intercalare romano, le parolacce
come attestato di stima, è ancora così o è cambiato qualcosa?
Sono delle caratteristiche dell’ironia del
dialetto che viene sempre inteso in vari modi e in varie forme. C’è ancora questa cosa e la trovo molto
divertente.
Quanto costa regalare un sorriso?
Purtroppo costa parecchio. Se ognuno
chiedesse le cose con il sorriso, otterrebbe molto di più. Dipende sempre dallo stato d’animo delle
persone ma un sorriso non ha mai fatto male a nessuno, anzi…
I portieri avevano la capacità di comunicare con più di trenta famiglie. Cos’è
la comunicazione oggi e soprattutto quanto è cambiata in tempi di social?
Con
i social un po’ è cambiata. In un condominio con portiere credo sia rimasta la
stessa perché comunica direttamente con gli inquilini e non lo fa certo con i
social. Purtroppo adesso ne sono rimasti pochi e non è una bella cosa. Il
portiere è una figura importante, quasi un familiare. Dà un senso di sicurezza!
Più generazioni a confronto, cosa è rimasto dei bambini di sessant’anni fa?
I
bambini di oggi sono completamente diversi, hanno una marcia in più. Arrivano a
delle sintesi in maniera più immediata ed hanno un modo di vedere le cose
completamente diverso.
Chiudi lo spettacolo dicendo “la
generazione degli ultimi, dei beati o forse dei Beoti”. Perché?
A volte non
ci rendiamo conto di ciò che abbiamo e che non è poco ma facciamo sempre finta
che non sia sufficiente. Non ci rendiamo conto di quante priorità e cose buone
abbiamo nella vita. Dico “brindo agli ultimi” perché sono i primi a capire.
Elisabetta Ruffolo