di Andrea Giostra - «Da quando in via Libertà avevano aperto lo store cittadino di Louis Vuitton, era come se quella
via avesse assunto una dimensione nuova, internazionale, sciccosa, interessante, da visitare, da guardare, da
andare e fare la fila per farsi vedere dagli automobilisti che trafficavano il
viale più bello della mia città ricco di centenari e rigogliosi platani.
Lo store si trovava a due passi dal Teatro Politeama.
Tutti coloro che pensavano di essere tochi, nella pausa
pranzo percorrevano via Libertà per fare la passeggiata digestiva. Ma ora c’era
u’ sapulcru da visitare. Questo sapulcru si chiamava Louis Vuitton.
Era come andare a Santa Caterina la sera del Giovedì Santo. Era
l’unica chiesa della città, Santa Caterina, che veniva aperta al pubblico solo
in quella notte di preghiera pasquale. Era la sera in cui tutta la città noblesse oblige si metteva in fila per un’ora per
visitare quella stupefacente e magnifica chiesa barocca, da rimanere mpitrati, da togliere il respiro per la bellezza delle
sculture in marmi mmiscati, degli arredi, degli
affreschi, degli stucchi, dei dipinti nturciuniati tipici
dello stile siciliano della fine del sedicesimo secolo. Era tutta lì la città
quella notte, tutti in fila, tutti in silenzio, tutti che salutavano chi a
dritta chi a manca, tutti che allungavano il collo per farsi vedere, per taliari se c’era qualcuno da salutare che aspettava in
fila o nella piazza della Vergogna dove c’erano le statue bianche di marmo di
Carrara di tanti fimmini e masculi nuri. Tutta la
città che conta era lì che faceva la fila per vedere la splendida chiesa di
Santa Caterina, guardare i consuli sotto
l’altare maggiore addobbati cristianamente con germogli di riso, di lenticchie,
di fagioli, con fiori a tinchitè, con un
profumo agreste che sembrava finto ed entrava nelle narici insieme ai fumi
dell’incenso che t’immergevano in un’atmosfera ecclesiale. Sembravano piccole
formiche viste da lontano che si infilavano dentro l’entrata di Santa Caterina
di piazza Pretoria, dove una bellissima scalinata a doppia rampa laterale
conduceva nell’ingresso della navata sinistra della chiesa. Salendo le scale
come a ràllenti, tutti s’affacciavano
dalla protezione in marmo pi vidiri cu’ c’era ‘nta
chiazza. C’era poi chi una volta entrato si faceva tutto il giro
della chiesa, che aveva visto ogni anno nello stesso giorno e alla stessa ora
degli ultimi due lustri. Chi invece si dirigeva lentamente verso u’ sapulcru, si faceva la croce, recitava il padre
nostro muovendo le labbra che stroncavano la voce, poi faceva dietro front ed usciva bello contento verso piazza della
Martorana, dove le bellissime cupole rosse erano illuminate da potenti fari,
per recarsi alla Cala o alla Kalsa e bere un bel cocktail cubano o brasiliano.
Da Louis Vuitton era la stessa cosa. C’erano le stesse persone
vestite tutte firmate, con le donne truccate di tutto punto che tenevano in
mano la sac à main che nello stesso store
avevano comprato qualche settimana prima. Quel giorno non si doveva mancare.
Era l'antivigilia di Natale e occorreva andare a comprare i regali per tutta la
famiglia. Era uno status symbol fare quella fila.
Tutta la città lo doveva sapere. Come fare la fila a Santa Caterina.» (stralcio
del racconto “Louis
Vuitton”, tratto da: Andrea Giostra, “Mastr’Antria
e altri racconti”, raccolta di racconti ancora inedita).
La breve introduzione narrativa di
questo articolo, vuole porre l’attenzione sulla Chiesa di Santa Caterina
d’Alessandria d’Egitto, che per i palermitani rappresenta e ha storicamente
rappresentato un luogo di culto e di arte di straordinaria bellezza e importanza,
e al contempo, senza possibilità di essere smentiti, la chiesa più bella e più
ricca di decorazioni della città di Palermo.
La Chiesa di Santa Caterina si trova
nel cuore della città dentro le mura, a due passi dai Quattro Canti che dividevano
in quattro mandamenti la città vecchia di Palermo. L’ingresso principale dà su
Piazza Bellini, l’ingresso laterale su Piazza Pretoria, volgarmente conosciuta
dai palermitani come “Piazza della Vergogna”.
L’interno della Chiesa si distingue
per un’abbondanza e una ricchezza di opere cariche di simboli religiosi, in
stile barocco con elementi rococò, senza pari: decorazione, stucchi,
bassorilievi, marmi, dipinti, mosaici, affreschi e opere preziose varie e finemente
realizzate, che decorano centimetro dopo centimetro pareti, pavimenti, colonne,
volte e cupole, che nessun’altra chiesa cittadina possiede in tanta abbondanza.
Tra il 1566 e il 1596 l’intero
complesso di Santa Caterina divenne uno dei più importanti monasteri di
clausura della città.
Nel 2016 la chiesa di Santa Caterina è
stata riaperta al pubblico, dopo diversi anni di restauro durante i quali i
fedeli palermitani la potevano visitare e ammirare solo ed esclusivamente
durante la notte del Giovedì Santo, come narrato nell’introduzione.
La chiesa di Santa Caterina non è solo
un monumento straordinario alla bellezza artistica, architettonica, culturale e
religiosa, ma ha rappresentato, tra il XIV e il XV Secolo, un importantissimo strumento
culturale e sociale di emancipazione e di potere delle donne siciliane, come si
spiega benissimo Patrizia Sardina nell’introduzione al suo interessante libro
sulla chiesa di Santa Caterina di Palermo, che consiglio di leggere per intero.
Per noi qui solo alcuni stralci:
«Fino agli anni Settanta (del
secolo scorso) il monachesimo femminile
era considerato un campo quasi inesplorato, “un’appendice nel contesto della
storia monastica”. Il dibattito sul ruolo ecclesiologico delle donne, laiche e
religiose, suscitato dalla nuova temperie culturale seguita al Concilio
Vaticano II, ha modificato la considerazione e il peso attribuiti ai monasteri
femminili dell’Italia medievale e avviato nuovi studi e riflessioni. (…) Di
certo, la storia dei monasteri femminili costituisce ormai «un settore di
ricerca autonomo» e va esaminata in stretto rapporto con il territorio in cui
essi ricadevano per evidenziarne le peculiarità e le differenze regionali. (…) Al
fine di comprendere il ruolo socio-economico del monastero domenicano di Santa
Caterina all’interno della città di Palermo, occorre ripercorrerne la nascita e
l’evoluzione in stretta connessione con il tessuto urbano ed extra-urbano in
cui il suo cospicuo patrimonio immobiliare era dislocato. (…) Dato che i
monasteri si aprivano al mondo esterno e intessevano strette relazioni con lo
spazio urbano e rurale, le reti stradali, i mercati, le chiese e gli altri
monasteri, sul versante dei Paesaggi la ricostruzione del patrimonio fondiario
posseduto da Santa Caterina nella città di Palermo, nel suo hinterland e nella
Sicilia occidentale nell’arco cronologico compreso tra l’edificazione, avvenuta
tra il 1312 e il 1313, e la fine del Quattrocento consentirà di analizzarne
l’evoluzione da una prospettiva non solo geografica, ma anche e soprattutto
storica e sociale nella lunga durata. All’atto della fondazione la maggior
parte dei beni donati al monastero da Palma de Magistro, vedova di Ruggero
Mastrangelo, all’interno della cinta muraria erano ubicati nei quartieri
Cassaro e Kalsa (…) La fondazione di Santa Caterina avvenne per volontà di
Benvenuta e Palma Mastrangelo, figlia e moglie di Ruggero, nominato capitano di
Palermo all’indomani del Vespro, scoppiato nella felix urbs nel marzo del 1282,
che determinò la cacciata degli Angioini dalla Sicilia e il passaggio
dell’isola nell’orbita della Corona d’Aragona, con un conseguente
rimescolamento dei ceti dirigenti cittadini. Nel 1314 il monastero, che si trovava
nei pressi delle mura del Cassaro, prestò cinquanta onze alla città per
aiutarla a difendersi da un imminente attacco dell’esercito di Roberto d’Angiò.
Nel Quattrocento il rapporto tra l’amministrazione comunale e Santa Caterina
registrò fasi alterne, a periodi d’intensa collaborazione seguirono momenti di
tensione e contrasti. (…) Fin dalla fondazione il monastero fu posto sotto il
controllo dei Domenicani, che alla fine del Duecento avevano edificato a
Palermo un nuovo convento col contributo economico di Ruggero Mastrangelo. Se a
ciò si aggiunge che la figlia Benvenuta, fondatrice del monastero, sposò prima
il cavaliere ghibellino Orlando Aspello, di origine umbra, poi il ghibellino
toscano Guglielmo Aldobrandeschi, conte palatino di Santa Fiora, il monastero
di Santa Caterina appare pienamente inserito nel contesto della Sicilia
aragonese e filo ghibellina, nella quale i Domenicani assunsero un ruolo
politico, sociale, economico e culturale straordinariamente rilevante. (…) Nell’Europa
basso-medievale i monasteri femminili erano inseriti in un’ampia rete di
rapporti familiari e in una fitta trama di relazioni e obblighi sociali, che ne
condizionavano la vita e svolgevano una funzione non meno rilevante dell’ordine
da cui dipendevano. (…) Tale considerazione appare valida per Santa Caterina
non solo all’atto della fondazione ma anche per tutto il Quattrocento. Le
volontà testamentarie di Benvenuta Mastrangelo furono esaudite dalla madre
Palma che nel 1310 destinò l’intero patrimonio familiare alla fondazione di
Santa Caterina. (…) Nel Quattrocento il monastero
fu strettamente legato alle famiglie Abbatellis e La Grua. (…) Naturalmente la
monacazione aveva risvolti altamente positivi e vantaggiosi per la salvaguardia
del patrimonio familiare, infatti nel 1461 suor Elisabetta Abbatellis cedette
alla madre tutti i diritti sui beni paterni, con la clausola che alla morte del
padre due parti dell’eredità andassero al fratello Francesco, un terzo alla
sorella Antonia. (…) Alla fine del Quattrocento vivevano a Santa Caterina altre
due esponenti della famiglia Abbatellis: Elisabetta, che entrò in monastero
alla morte dell’omonima badessa e ne prese il nome, e Margherita che divenne
badessa ai primi del Cinquecento.» (Patrizia Sardina, “Il monastero di
Santa Caterina e la città di Palermo”, Quaderni Mediterranea Ed., Palermo, 2016,
pp. IX-XV).
L’interessante e certosino studio di
Patrizia Sardina ci fa ben comprendere come le donne palermitane legate
monasticamente alla Chiesa di Santa Caterina avessero un potere economico,
politico e sociale di notevole spessore, tanto (e lo si legge nel libro che
citiamo) da contrastare ed opporsi alle decisioni dei viceré che pochi nobili e
potenti borghesi di quel tempo, erano in grado di permettersi.
Sono questi i motivi per i quali
abbiamo voluto, con questo articolo dedicato alle donne siciliane, porre
l’attenzione su questa bellissima chiesa palermitana: per la sua straordinaria
bellezza e per la densa storia che porta con sé, una storia di donne
coraggiose, tenaci e di potere della Palermo che visse tra il Trecento e il
Quattrocento siciliano.
Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto
Bibliografia
Patrizia Sardina, “Il monastero di
Santa Caterina e la città di Palermo”, Quaderni Mediterranea Ed., Palermo, 2016.
Andrea Giostra, “Louis Vuitton”,
tratto dalla raccolta inedita “Mastr’Antria e altri racconti”, https://www.facebook.com/MastrAntria/.
Andrea Giostra