Arte, Giuseppe Sinaguglia a Fattitaliani: l’ironia è l’arma più efficace per sollevare i cuori. L'intervista

Fattitaliani
Giuseppe Sinaguglia è un creativo siciliano, architetto e viaggiatore. Dipinge con i pastelli ad olio, usa gli acrilici e realizza collage. Si occupa anche di installazioni, murales e riqualificazione urbana. Fattitaliani lo ha intervistato.
Giuseppe, qual è la tua concezione dell'arte? 
L’arte è innanzitutto comunicazione. è un messaggio, è poesia. L’arte veicola idee, opinioni, visioni, fantasie ma anche denunce, rabbia e paure. L’arte è espressione di sentimenti ed è l’esternazione tangibile dell’inesistente, del sogno. L’arte può essere bellezza ed è imprescindibile dalle capacità sensoriali dell’essere umano. È un prodotto dell’uomo a consumo dell’uomo.
Come la spiegheresti a una persona che si sta avvicinando al mondo artistico?
Chi vuole intraprendere un percorso artistico, sia in veste di fruitore che di addetto ai lavori, deve allenare lo spirito, educarlo alla novità, al diverso da sé, al cambiamento e alla contemplazione. Occorre essere curiosi e instancabili osservatori. L’arte è a mio avviso terapeutica, sia per chi la fa sia per chi l’osserva. L’arte deve essere libera dai pregiudizi, ricerca dell’armonia e rispetto per la materia che si plasma. L’arte è ispirazione, amore, dedizione e a volte una missione. L’arte si nutre anche di vanità, si carica di responsabilità e testimonia la caducità dei tempi. L’arte può essere anche ironia, scherzo, stupore e sorpresa ed ancora emozioni, ricordi e suggestioni. È un mistero.
Oggi rispetto a prima l'arte ha cambiato obiettivo rispetto al pubblico?
Penso che l’obiettivo dell’arte sia sempre lo stesso, non cambia nei secoli né cambierà altrimenti avrebbe un altro nome. Cambiano di certo il modo di esprimersi, i materiali, le tecniche, le forme. Cambiano i “luoghi di culto” dell’arte, persone e personaggi ma tutto sommato non possiamo dire che ci siano novità sotto al sole. Cambiano i modi e le mode, oggi con una velocità ragguardevole, però i temi e i contenuti sono, in fin dei conti, raggruppabili in insiemi e sottoinsiemi dai significati universali e dai valori atemporali.
Il pubblico a sua volta è cambiato?
Il pubblico è importantissimo. Il pubblico può decidere in autonomia cosa apprezzare o meno e può essere guidato nella scelta di ciò che è arte o no. Anche in questo caso l’attenzione e l’atteggiamento del pubblico non cambiano nel tempo. Il pubblico, inteso come spettatore, interlocutore e fruitore, si divide sempre in entusiasti, in speculatori, in indifferenti, in credenti e in credenti ma non praticanti. La reazione del pubblico deve essere sempre e comunque polemica. Al pubblico va sempre dato lo scettro del giudizio ma chi decide cosa è arte o non lo è? Questo lo ignoro.
Tu viaggi tanto: quanto ti aiuta cambiare luogo, aria, persone nel tuo fare artistico?
“Viaggiare” è stato una rivelazione ma ancor più è diventato una condizione necessaria per la mia crescita prima come individuo e poi come creativo. Ho imparato tanto confrontandomi con culture diverse e infiniti modi di essere e di vivere il mondo, ognuno col suo punto di vista, con la propria esperienza e con il personale bagaglio esistenziale. Non è facile distaccarsi anche momentaneamente dalla comfort zone, ci vuole un po’ di inconsapevolezza, lasciare al caso e programmare quanto basta. Il viaggio mi permette di assimilare in maniera più intensa, di assaporare di gusto tutto quello che ormai, volontariamente o involontariamente, è possibile fagocitare sullo schermo di un pc o della tv. Le immagini che scorrono durante un viaggio sono preziosi fotogrammi emozionali che custodisco, conservo, rielaboro. 
Importante è l’atteggiamento con cui si affronta qualunque viaggio. Suggerisco di adottarne uno sempre positivo e leggero per godersi a pieno ogni momento. Cambiare aria mi guarisce dalle ansie della quotidianità e andare altrove distrugge di colpo la noiosa routine. Viaggiare mi dà la possibilità di vedere dal vivo le opere dei grandi maestri, di scoprire l’inusuale, di conoscere altro da me e soprattutto mi rende più consapevole. Spero di avere la possibilità di continuare a coltivare questa piacevole ed euforica passione che da tempo ho legato al mio lavoro di narratore tramite collage.
Scegli un'opera dei tuoi esordi, un'altra di qualche tempo fa e un'altra di oggi: ce le spieghi?
Per primo scelgo uno dei disegni con cui ho iniziato ad utilizzare i pastelli ad olio. Si tratta di un volto delineato su un foglio di carta, un po’ deforme, con un mix di colori dove prevale la tonalità rosa. Mi fa tenerezza. È del ‘96. Non sapevo bene quello che stavo facendo. Ho accentuato due occhi quasi spalancati, un mento prospiciente, dei capelli spennacchiati. Era però originale, personale, imparagonabile. Era un prodotto del mio istinto, l’elaborazione di un sentimento o di una emozione o semplicemente il frutto acerbo di una piccola ambizione. Potevo dire la mia e a mio modo. L’arte come uno strumento magico,  potevo far uscire dal cilindro della creatività il mio pensiero e far apparire, con l’aiuto delle mie dita, quello che prima non esisteva. 
Diciamo che gran parte dei lavori realizzati sino ad oggi sono perlopiù facce, visi e comunque espressioni umane, ritratti sentimentali. Quindi posso affermare di aver mantenuto dagli “esordi” una perseverante necessità di rappresentare occhi, naso bocca... insomma qualcosa di riconoscibile e appartenente ad ogni persona. 
Poi vorrei spiegare meglio il progetto da globetrotter con il formato 30x30, inaugurato, dopo vari esperimenti, nel 2011 con il viaggio a New York. Mi ricollego così al motivo per cui viaggiare è fondamentale. Si tratta di un diario, un racconto che unisce l’utile al dilettevole del mio peregrinare. Scelgo tra tutti i posti visitati e i collages realizzati “all colors inside” di Abu Dhabi. Esperienza di viaggio questa che mi ha permesso anche di toccare la Romania, legata ad una breve, improbabile e rocambolesca collaborazione lavorativa in veste d’Architetto. Negli Emirati ho rivissuto in parte l’amore per l’Egitto. L’eleganza delle lettere arabe, le tuniche lunghe, il deserto, il mare, le convenzioni sociali e l’arcobaleno che si cela dietro ai veli neri delle donne osservanti. Anche in questo caso un volto! Per comporre l’opera ho utilizzato i piccoli pezzi di oggetti, scontrini, ricevute ecc che mi sono passati per le mani durante la permanenza in quella città. Piccoli parti di quella parte di vita, minime testimonianze del mio passaggio in quei luoghi che intessono col disegno un discorso narrativo. 
E questa è più o meno il metodo reiterato per ogni 30x30 sino a qui realizzato. Vorrei con l’occasione ringraziare chi nel bene e nel male, inconsapevolmente o volontariamente, ha sostenuto con generosità o con Ospitalità questo progetto che mi ha permesso di conoscere nuovi amici e di rincontrare i vecchi, di far conoscere la mia personalità e i miei obiettivi. Grazie di cuore a tutti. 
Per ultimo scelgo “lu sceccu ca vola”. Un lavoro che non è un dipinto né un disegno, ma è una installazione site specific (così si dice). Si tratta di una serie di asinelli in plastica, rosso e blu, collocati sule facciate del piccolo museo etnoantropologico, Mete, di Siculiana, il mio paesino. Questo giocattolo a ruote per bambini è legato alla mia infanzia e penso a quella di tante generazioni di giovani siciliani. Mi portavo dietro da tempo quest’idea degli “sciccareddi” poi l’occasione di realizzare un intervento urbano “a lu paisi” e “ pi lu paisi”. Così sui muri bianchi del quartiere Casale, sono spuntati, come tanti fotogrammi di un unico salto, sorridenti asinelli che disegnano l’andare incerto, la rincorsa e l’euforico saltellare di un immaginario balzo verso un utopico volo. L’impossibile è diventato realtà o ludica illusione?  Di certo l’innocenza è ormai persa, la plastica non ha più la stessa poesia e l’ironia l’arma più efficace per sollevare i cuori. Giovanni Zambito.
Foto copertina: Giuseppe Torrisi 
Fattitaliani

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