Stanley Kubrick, 50 anni fa la prima di “2001 Odissea nello spazio”

Esattamente il 2 aprile 1968 fu proiettato in anteprima a Washington il film di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”, un film che è rimasto nella storia della cinematografia, non solo di fantascienza, come una delle pietre miliari che hanno anticipato un futuro ancora di là da venire.

In verità inizialmente il film non fu ben accettato dalla critica che vi vedeva un insieme di idee e simbolismi non facilmente assimilabili in quell’epoca; tanto è vero che l’opera stessa, presentata in quell’anno anche al Festival del Cinema di Cannes ottenne soltanto un premio per gli effetti speciali. Ciò non impedì, però, che, ad una più meditata visione, il film esplodesse in tutto il mondo incassando la bellezza di 160 milioni di dollari di allora a fronte dei 2 milioni di costi di produzione.
Ma al di là del mero successo commerciale , l’enorme importanza di quest’opera sta nell’aver condensato in poco più di due ore di visione il destino dell’intera umanità dalle sue origini a quelli che saranno i futuri viaggi interspaziali in parte già iniziati.
Già l’apertura del film, con la scena sulla riva di uno stagno ed un gruppo di scimmie che lotta per la sopravvivenza è un chiaro riferimento ai primordi della vita umana e alla prima scintilla di intelligenza che si manifesta, guarda caso, attraverso la scoperta che anche un osso può diventare un’arma di violenza e conquista; come non rimanere colpiti da quell’osso brandito in alto da una scimmia ormai uomo e scagliato contro ossa di suoi simili e di altri animali per affermare il proprio dominio! Quello stesso osso che, con un salto logico di millenni, si trasforma in una nave spaziale che naviga nell’infinito entrando così nella fase successiva dell’uomo tecnologico ormai padrone della terra e alla ricerca di nuovi mondi.
Anche la colonna sonora che sottolinea questi due momenti rende alla perfezione l’atmosfera: dalla solenne grandiosità del brano tratto dal poema sinfonico “Così parlò Zarathustra” di Richard Strauss si passa alle morbide note del valzer di Johann Strauss jr. “Sul bel Danubio blu” che accompagna la rilassata vita quotidiana del protagonista a bordo della navetta spaziale in viaggio. Ma l’alta tecnologia rivela anche il suo aspetto sconosciuto e di rischio: il supercomputer Hal 9000 ( acronimo di Heuristically Algoritmic computer), che ha di fatto il controllo di tutta l’aeronave e della stessa spedizione , novello Frankenstein, si ribella al suo creatore e tenta di eliminarlo quando ritiene sia in conflitto con gli obiettivi per cui era stato programmato. Ma questa volta ancora l’uomo riesce a prevalere non senza danni e perdite e, disattivato completamente il computer, intraprende l’ultima fase del suo viaggio verso il pianeta Giove.
Qui inizia la terza fase di quella che Kubrick immagina l’evoluzione del genere umano e che anche noi oggi ancora dobbiamo vivere; il confuso, rapidissimo viaggio del protagonista si conclude in una misteriosa stanza asettica dove egli si vede attraversare i diversi stadi della vita fino alla vecchiaia e alla morte. Si è voluto, forse, dare una dimostrazione concreta della teoria della relatività di Einstein?: anche il tempo è relativo e può essere allungato ed accorciato come un elastico fermandone a volontà momenti e situazioni fino a raggiungere la definitiva evoluzione dell’essere umano in una forma di vita superiore, lo “Star Child”, il “Bambino delle stelle” che dallo spazio osserva la terra, ormai distaccato dalla stessa.
Articolo di Riccardo Bramante
Fattitaliani

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