Il soprano Raffaella Milanesi a Fattitaliani: il pubblico all'estero si approccia all'opera a braccia aperte, quello italiano con le braccia conserte. L'intervista

Fino a sabato 14 aprile al Teatro dell'Opera di Liegi (stasera alle 20:00 in diretta streaming http://bit.ly/2GJlzz0) è di scena "Le nozze di Figaro" di Mozart, con la regia di Emilio Sagi e la direzione musicale del Maestro Christophe Rousset. Dopo le interviste a Mario Cassi (conte Almaviva) e a Leon Košavić (Figaro), Fattitaliani incontra il soprano Raffaella Milanesi, che dà vita a un eccezionale Cherubino.

Come ti trovi nei panni di un uomo?
Meglio che in quelli da donna (ride, ndr). Scherzo, scherzo: adoro i ruoli en travesti e ho fatto ruoli da castrato, scritti per Marchesi, Farinelli, Caffarelli... è la prima volta che interpreto Cherubino, grazie al maestro Rousset che ha voluto un soprano. Con lui ci conosciamo da tanto tempo, vent'anni ormai.
Presente nelle tappe più importanti della tua carriera?
Ho iniziato grazie a lui e nella mia carriera alcune delle cose più belle le ho fatte insieme a lui. Diciamo che musicalmente ci conosciamo come le nostre tasche.

Quanto conta la sintonia professionale?

Tanto, tanto. Per me la musica è un discorso legato all'emotività, allo spirito, quindi quando si fa musica in modo onesto da entrambe le parti c'è anche un discorso di stima reciproca che è fondamentale.
Capita a volte di dividere la scena con colleghi con cui non si è in sintonia?
Sì, ma se si semina bene, la sintonia si trova e gli ostacoli si superano.
Con "Le nozze di Figaro" arrivi per la prima volta a Liegi...
Sì, ho lavorato tanto in Belgio dove ho iniziato la mia carriera alla Monnaie di Bruxelles. Adesso per la prima volta a Liegi e son contenta. Dopo tanti anni di carriera si sente sempre l'emozione di una prima volta. Per me l'emozione c'è sempre, ma quando ci si fa conoscere per la prima volta in un posto, è una sensazione speciale, un po' di responsabilità maggiore.

Qualche passaggio, qualche aria di Cherubino che ti piace maggiormente?

In tutte e due le arie, sia in "Non so più cosa son, cosa faccio " e "Voi che sapete" c'è un momento - la parte centrale in entrambe - dove emerge Mozart: una specie di manifesto del compositore.
Come rivedi la Raffaella degli inizi?
In fondo, vedo sempre la stessa. Ogni volta che entro in scena ringrazio il destino, Dio, i genitori, me stessa per la forza che ho di andare avanti e di provare sempre la stessa identica sensazione della prima volta che ho messo i piedi sul palco, che è stato con un saggio di danza a 15 anni. Un'emozione indescrivibile che ti fa dire "è il mio luogo". 
Quindi, hai iniziato con la danza?
Sì, nel frattempo studiavo canto e quello che non riuscivo a esprimere con la danza lo facevo con la voce. La danza è muta: ho studiato anche recitazione per un po', ma il canto è tutt'altra cosa.  
Noti qualche differenza fra il pubblico d'opera italiano e quello all'estero?
Sì, purtroppo - e parlo a sfavore del mio Paese - l'atteggiamento del pubblico italiano è un atteggiamento giudicante, mentre il pubblico estero si approccia alla musica e al teatro con le braccia aperte, quello italiano con le braccia conserte. E questo è percepibile. Giovanni Zambito.
©Riproduzione riservata
Foto: © Opéra Royal de Wallonie-Liège
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Fattitaliani

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