Intervista
di Andrea Giostra.
Ciao Enrico, benvenuto e grazie per la tua disponibilità. Ai
nostri lettori che volessero conoscere qualcosa di più di te quale scrittore,
cosa racconteresti?
Mi chiamo Enrico
Remmert, sono nato nel 1966 a Torino e a 8 anni avevo già vissuto in tre
continenti diversi - due anni in Sudamerica, quattro e mezzo in Africa e uno in
Europa. A 16 anni ho cominciato a lavorare e credo di aver visto almeno una
ventina di diversi “mondi del lavoro”. Sono passato dalle discoteche
all’informatica, dalla cosmetica alla pubblicità, dalla ristorazione alla
formazione aziendale. A trent’anni ho pubblicato un romanzo intitolato Rossenotti che è stato un buon successo
in Italia e in Germania, e un best seller in Francia. Da lì ho cercato di
scrivere il meno possibile: altri due romanzi - La ballata delle canaglie nel 2004 e Strade Bianche nel 2010 - e quest’anno La guerra dei Murazzi. In sostanza, come diceva non ricordo più quale
famoso scrittore, vivere per scrivere mi sembra molto più interessante di
scrivere per vivere.
Ci parli della tua ultima raccolta di racconti, La guerra dei
murazzi? Qual è il tema dominante e quale il messaggio che vuoi lanciare ai
tuoi lettori?
Tutti i libri che
ho scritto fino a oggi, alla fin fine, raccontano la stessa identica storia: un
protagonista smarrito all’interno di una vicenda più grande di lui. Anche i
quattro racconti de La guerra dei Murazzi
si muovono su questa linea ossessiva. In ciascun racconto il centro è sempre
occupato da un momento preciso, quello in cui una storia piccola e intima si
trova a confrontarsi con la Storia, quella con la s maiuscola. Ma mi hanno
fatto notare altri elementi tematici comuni: tre racconti su quattro finiscono
nella violenza (e il quarto ha come sottotesto Hiroshima). E poi mi hanno fatto
notare che sono quattro storie d’amore: due classiche - una donna ama un uomo,
un uomo ama una donna -, una terza è sull’amore per i cani e la quarta è
sull’amore per un’intera cultura, quella giapponese.
Come nasce questo libro? A cosa hai pensato quando hai
cominciato a scriverlo?
Direi che è tutto
piuttosto semplice. Avevo delle storie da scrivere e ne ho scritte una decina.
Siccome sono maniacale, e mi piace riscrivere, ci ho messo cinque o sei anni
(va detto che, come quasi tutti gli scrittori che conosco, per mantenermi
faccio altro). Morale: alla fine soltanto quattro mi sembravano degne di essere
pubblicate e l’ho fatto.
Come definiresti il tuo stile letterario? C’è qualche scrittore
al quale ti ispiri?
Nei miei primi
romanzi cercavo soluzioni più sperimentali, a partire dal fatto che i primi due
sono scritti in seconda persona presente, che non è una cosa semplicissima da
gestire. In Strade Bianche, per complicarmi
la vita, ho scelto un’altra soluzione complessa: scrivere una storia
utilizzando tre voci narranti incrociate. Ne La guerra dei Murazzi - a parte il racconto iniziale omonimo, che
ha un ritmo molto particolare, tutto giocato su periodi ipotattici lunghi anche
un’intera pagina - ho scelto soluzioni più classiche: prima persona e passato
remoto, con un periodare molto ritmato. Credo che lavorare sullo stile sia
importantissimo - le mie decine di riscritture stanno lì a testimoniarlo - ma
credo che sia molto più difficile trovare una buona storia e scegliere lo stile
a cui accordarla. Più precisamente: credo che scrivere bene si possa imparare,
mentre trovare una buona storia no. Ancora più precisamente: leggo molte cose
noiose scritte benissimo e molte belle storie scritte malissimo.
Tendenzialmente cerco di darmi come traguardo una buona storia ben scritta. Bisogna
lavorarci su molto, perdere del tempo, buttare via molto: non c’è altra strada.
Come è nata la tua passione per lo scrivere, e qual è il tuo
proposito, il tuo scopo nel raccontare le tue storie?
In realtà da bambino amavo molto di più disegnare. Volevo
fare il liceo artistico ma i miei genitori mi iscrissero al classico. Non ho
mai capito come siano andate le cose, ma credo che in qualche modo avessi una
necessità interna di “produrre” qualcosa: e siccome ero stato costretto a
rinunciare al disegno, ho cominciato ad appassionarmi alla scrittura. Mi sono
accorto fin dall’inizio di esserci portato, di avere un minimo talento, ma ci
ho lavorato sopra tenacemente: non credo che il talento sia una rendita, il
talento è solo un buon punto di partenza. Da lì in poi conta solo la
determinazione.
Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la
scrittura?
Raccontare è l’unico motivo per cui ha senso che si siano
sviluppate le lingue, se no ci basterebbero un po’ di suoni gutturali per
organizzarci e andare a caccia nei boschi e tirare avanti. È il racconto quello
che ha permesso il progresso dell’umanità: la capacità di rivedere il passato e
immaginare il futuro, la capacità di trasmettere esperienze e conoscenze, di
empatizzare con gli altri uomini, di soffrire per loro o gioire con loro. Parte
tutto da lì. Non a caso tutte le prime opere scritte, stiamo parlando di
migliaia di anni fa, sono racconti: il Codice di Hammurabi, prima che un testo
giuridico è un’opera letteraria.
Cosa consiglieresti a chi volesse cimentarsi come scrittore?
Il consiglio più ovvio: leggere. Leggere di tutto, in modo
onnivoro, senza regole, smodatamente. Leggere e ancora leggere. E poi, con
calma, se proprio se ne sente ancora il bisogno, scrivere.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti?
A cosa stai lavorando? Dove potranno seguirti i tuoi lettori e i tuoi fan?
Per il 2018 ho intenzione di non scrivere neppure una riga
ma di leggere tantissimo.
Qui gli articoli di Andrea Giostra
Enrico Remmert:
Andrea Giostra
https://andreagiostrafilm.blogspot.it
https://business.facebook.com/AndreaGiostraFilm/
https://www.facebook.com/andrea.giostra.37
https://www.facebook.com/andrea.giostra.31
https://www.gigarte.com/andreagiostrafilm/home