Erasmo da Rotterdam e Machiavelli: due concezioni del potere ancora attuali

In tutti i Paesi del mondo retti da regimi democratici, periodicamente i loro cittadini sono sottoposti a quella sorta di “ordalia” moderna che sono le elezioni politiche (ne sappiamo qualcosa noi italiani proprio in questi giorni). E puntualmente, in ogni tempo e in ogni Paese, si torna , in definitiva a dibattere se affidarsi a governi con programmi più o meno “forti”.

In sintesi si ritorna sempre al dibattuto problema di come si debba esercitare il potere, problema che già Erasmo da Rotterdam nel suo “Institutio principis christiani” da una parte e Niccolò Machiavelli nel “Principe” dall’altra avevano approfondito nei primi decenni del 1500 con soluzioni decisamente contrastanti.

Infatti, nella sua opera, dedicata all’allora duca di Borgogna e successivamente Imperatore Carlo V, Erasmo sostiene che ciò che definisce il vero Principe ( oggi diremmo leader) non è l’esserlo in se con la sua sacralità, ma è il suo fare, il suo operare per il “bene comune” dello Stato e dei suoi cittadini; leader si è non per una superiore qualità del proprio essere ma perché si è chiamati a ben amministrare, legiferare e guidare una nazione.

Che poi Erasmo riconduca tutto all’”essere cristiano” è solo un modo di esprimersi aderente ai tempi in cui viveva ma tende solo a confermare la necessità che il principe sia giusto e tenga nella massima considerazione le esigenze dei propri sudditi.

Di converso, la religione che in Erasmo era il fondamento su cui doveva basarsi l’operato del principe, diviene in Machiavelli un “instrumentum regni”, un mezzo per governare lo Stato e assicurarsi l’obbedienza del popolo.

Nel segretario fiorentino prevale, cioè, il principio della “ragion di stato” alla quale il principe deve adeguare il proprio comportamento prescindendo totalmente da qualunque scrupolo morale o religioso; per lui il governare significa dominio del signore sulla massa ed il fine principale non è tanto il “bene comune” di Erasmo quanto la sopravvivenza dello stato stesso per ottenere la quale il signore è legittimato ad usare anche la violenza, la frode ed altri metodi moralmente negativi.

Altro aspetto interessante, che ritroviamo anche nella vita politica di oggi, è la particolare attenzione che Machiavelli, maestro di psicologia politica, riserva all’”immagine pubblica” del principe o leader che dir si voglia, immagine che è fondamentale per ottenere il favore dei sudditi e che ammette la possibilità di fingere di essere ciò che non si è o di dire ciò che veramente non si pensa.

In sintesi, può affermarsi che mentre Erasmo nega la possibilità di autonomia della politica dalla morale, Machiavelli ritiene che il potere abbia regole proprie. Li accomuna, peraltro, le distanze che entrambi prendono dal “sostanzialismo” del Trecento e Quattrocento che cercava nelle qualità personali del principe la soluzione ai problemi di gestione dello Stato, trovandone, invece, la realizzazione nella concreta e fattiva azione pubblica del principe stesso.
Riccardo Bramante
Fattitaliani

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