Cinema, Noemi Maria Cognigni a Fattitaliani: l’arte deve creare senso critico. L'intervista

Noemi Maria Cognigni, attrice, ci parla dei suoi lavori nel mondo del cinema. Intervista di Andrea Giostra.

Ciao Noemi, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Abbiamo fatto altre chiacchierate per il nostro magazine e quindi non sei un’artista sconosciuta ai nostri lettori, che se volessero, potranno leggere le precedenti interviste di fattitaliani.it. Detto questo Noemi, ci parli dei tuoi ultimi lavori e dei lavori in corso di realizzazione?
Beh, che dirti, è un periodo molto proficuo per me. Sto sostenendo svariati provini, partirò con un film in coproduzione internazionale questo prossimo aprile, ho uno spettacolo teatrale a marzo, e sto portando avanti anche l’organizzazione e la direzione artistica di una kermesse nell’avellinese.
Come definiresti il tuo stile recitativo? C’è qualche attrice alla quale ti ispiri?
Bah, non saprei dirti. Io credo che ci sia intensità. Tendenzialmente mi piace sporcarmi, trovo molto facile farlo perché è proprio il mio approccio alla realtà che è estremamente aggressivo. Ho una recitazione piuttosto impetuosa, difatti il lavoro che sto facendo ora è proprio al contrario, di lavorare sulle sfumature, sul portar dentro più che sulla necessità di esternare questa marea di energia che mi ritrovo. Sono sempre stata forte, ora sto lavorando sul controllo e sulla pulizia. In ogni caso, se ragioniamo sui punti di forza, credo di riuscire sempre e comunque a far venire fuori un pezzettino di me, una sfumatura, al di là di ciò che interpreto. Attraverso i miei personaggi mi prendo il lusso di dir qualcosa di mio ritrovando quell’elemento che in ogni caso mi appartiene. Tecnicamente, questo si ripropone soprattutto in un lavoro di sguardi e di movimento corporeo. Sebbene non venga dal teatro, mi piace molto lavorare sulla fisicità e sulla presenza scenica. Mi definirei un’attrice impulsiva, nel senso che il personaggio lo faccio crescere di volta in volta ed aspetto che mi sorprenda senza darmi particolari dettami. Ripeto, c’è moltissimo di me in quello che faccio ed è un approccio soprattutto volto alla ricerca personale. Per quanto riguarda le attrici, i miei sono miti del passato. Oggi apprezzo svariate attrici sia italiane che straniere per la loro bravura soprattutto, ma non riesco ad innamorarmi delle loro personalità, dei loro carismi. Qualche tempo fa, quando c’era ancora una visione classica anche della femminilità e dell’estetica, ti era più facile leggervi anche il peso di quello che avevano dentro, i messaggi interiori che portavano, la potenza della loro aura. L’artista, in senso generale, una volta era icona, uomo o donna che fosse, icona senza tempo, non come oggi che si fa a gara per avere quei dieci minuti di celebrità. Ad ogni modo, fra le mie preferite Meryl Streep e Nicole Kidman che trovo immense. In Italia trovo molto brava la Crescentini, con la quale ho avuto il piacere di recitare sul set, e la Michelini che mi piace molto soprattutto in determinati ruoli.
Come è nata la tua passione per la recitazione?
I semi della creatività si son visti già da quando ero bambina. Ho sempre amato trasformarmi. Ricordo che tutti i pomeriggi all’uscita da scuola mettevo a manetta tre quattro cartoni animati con protagoniste femminili e le interpretavo di continuo cambiando il look, cantando le loro canzoni. Poi scrivevo, giocavo sempre a giochi nuovi reinventati da me e devo dire che ero anche abbastanza melodrammatica! Alle mie eroine ne facevo passare di cotte e di crude…! Ma in verità poi tutto questo si è poi eclissato per problemi di altra natura ed è tornato a galla solo in un momento di grande rottura con me stessa, la scomparsa di mio padre. Psicologicamente credo sia stata un po’ la mia salvezza. L’emozione si trasforma in passione e la passione poi diventa missione. 
Perché secondo te oggi il cinema, il teatro, son importanti e vanno seguiti? 
L’arte è sempre stata importante e il cinema col teatro sono la massima espressione della messa in scena del dramma. Dramma inteso non nel genere ma come “fabula” della narrazione. La potenza dell’immagine può essere distruttiva e come tale dovrebbe venir fuori ed essere trattata. L’arte deve fare emozionare, l’arte deve creare senso critico e deve aiutare a non essere neutrali di fronte a ciò che ci arriva dall’esterno. In tal senso, negli ultimi decenni il cinema, soprattutto in Italia, si è un po’ svuotato di queste prerogative, molto a mio malincuore, perché ritengo che l’industria debba essere un plus per l’arricchimento umano non una sua diminutio. Forse qualcosa di diverso sta all’orizzonte; il cinema indipendente, soprattutto straniero, ha tirato fuori capolavori negli ultimi anni. Quindi la mia risposta a questo punto è scontata. Il cinema e il teatro intesi come“messa in scena del dramma”, come diceva Jodorowskji, sono di grande utilità alla guarigione dell’anima, alla ricostruzione della propria vicenda, a non smettere di emozionarsi, mai. Il sogno ha la necessità, oggi più che mai, di non svanire dalle nostre menti e la capacità di indossare ad esempio, gli abiti di un supereroe può aiutare anche noi stessi a tirar fuori il super eroe che c’è in noi.
Noemi, hai citato Jodorowskji (1929), il grande regista franco-cileno conosciuto nel mondo dell’arte e del cinema anche come grande scrittore, e hai riportato una sua frase a proposito della “messa in scena del dramma”. Qual è il ruolo del “silenzio” nell’arte e nella rappresentazione del travaglio dell’animo umano che spesso si esprime con maggiore potenza proprio attraverso il silenzio, più che attraverso la parola? A tal proposito, Charlie Chaplin (1889-1977) amava dire che «Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L'animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca.»
Io non sono una persona silenziosa e questa cosa mi costa tanto. Mi piacerebbe ritrovarmi di più con me stessa senza avvertire il silenzio come un esercizio disciplinare. Mi chiedo se ho mai conosciuto il silenzio. Del resto, l’assenza di suono è praticamente impossibile, quindi cos’è veramente il silenzio? Potrebbe esserci silenzio nella totale frenesia se intendessimo il silenzio come il placarsi dell’animo attraverso la soddisfazione? Ecco, io partirei proprio da lì. Il silenzio inteso come restare a guardare, inteso come passività, il silenzio come lo scorrere naturale delle cose che mette tutto al proprio posto. Ma capita anche a voi di sgranare gli occhi quando improvvisamente avvertite… silenzio? Restate quasi pietrificati dal terrore di perdersi in ciò che è al di fuori di voi? E se silenzio fosse assenza di pensiero, ritenete sia possibile amare il silenzio? E se il silenzio fosse assenza di parola, crederete sia possibile continuare a tacere? La musica mi sorprende sempre per la sua capacità di sciogliermi e di portarmi a immaginare. Attraverso la musica spesso creo immagini, quasi come se fosse possibile trasformare gli hertz nella stessa energia uguale e parallela che porta i neuroni a trasformare la nostra fantasia in immagini. Un po’ come i caratteri cinesi che ad ogni suono hanno il corrispettivo in immagine. È fantastico. E non smette di emozionarmi. 
Cosa consiglieresti a giovani donne che volessero cimentarsi nella tua professione?
Beh, la prima cosa che chiederei loro è: quanto siete in debito con voi stessi? Solo chi necessita di una grande sfida può cimentarsi in uno dei percorsi più difficili che esistano. Avere a che fare con gli altri è complicato, ma avere a che fare veramente con se’ stessi è estenuante. Scavarsi dentro, sperimentare, assecondare le proprie discontinuità… detto questo, è un lavoro meraviglioso, ti permette di viaggiare, di conoscere tante persone e di crescere non ipotizzandole le cose, ma toccandole con mano. Chi è pronto a perdere può farcela.
 Qui gli articoli di Andrea Giostra
Noemi Maria Cognigni:


Andrea Giostra

Fattitaliani

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