Carmen Consoli: non mi sono mai piegata ai dettami del mercato. L'intervista di Fattitaliani

Carmen Consoli riprende il suo tour e dopo le tappe italiane approda all'estero e toccherà Parigi (mercoledì 31 gennaio a "La Cigale"), Londra (giovedì 1° febbraio allo Shepherds Bush Empire) e a Bruxelles (venerdì 2 febbraio al VK Concerts). Seguiranno Amsterdam e Dublino. "Nel mio immaginario - confessa la cantautrice siciliana a Fattitaliani - mi viene spontaneo associare Bruxelles a Max Gazzè, di madrelingua francese, nato e cresciuto a Bruxelles, figlio di diplomatico. Mi parlava sempre di cosa faceva, di come si suonava il basso a Bruxelles e ogni volta che ci vado lo chiamo e gli chiedo dei posti da visitare o i locali dove mangiare. E poi c'è l'idea d'Europa alla quale sono abbastanza affezionata". 

Che cosa può aspettarsi il pubblico da questo concerto?
Farò un concerto per violoncello, violino e chitarra. Ripercorrerò tutti i pezzi che hanno fatto parte del repertorio in una formazione abbastanza insolita, molto italiana: ha delle strutture classiche che vogliamo coniugare alla musica leggera italiana e popolare siciliana. La scaletta riprodurrà quella dei concerti italiani.
Confermata l'uscita di un album dal vivo?
Uscirà ad aprile perché nel frattempo sono emerse tantissime date: abbiamo già registrato però ad aprile sarà mixato.
Se ripensi a te stessa ai tempi di «Amore di plastica» e «Confusa e felice» come ti vedi? che cosa provi?
Mi vedo con fierezza perché ho sempre fatto la mia musica rimanendo fedele alle mie urgenze creative senza piegarmi ai dettami del mercato, ho rispettato nella musica il sentimento e quello che mi va di fare. Non m'importa se avrà successo o meno e questa cosa col tempo mi ha ripagato e mi ha dato anche la possiiblità di potermi prendere anche cinque-sei anni prima di pubblicare il disco successivo e di ritrovare un pubblico pronto e attento disposto ad aspettarmi e accogliermi.
Non è così facile: con internet e le informazioni che arrivano in massa i dati si accumulano, i nomi si accavallano...
È la mia lotta contro i social network: se uno dice una cosa autentica e attira a sé il pubblico che condivide ciò che dice, non c'è bisogno della fretta e della tempestività dei social network che ti lasciano in vita. Una cosa resiste. Come quando rivedi un vecchissimo amico dopo tanti anni e dopo due minuti che si parla è come se ci si fosse lasciati il giorno prima. Questa è la forza dell'umanità che non deve assomigliare alle macchine, ma deve essere umana e deve prendersi i suoi tempi che sono biologici.
Sei tornata a vivere a Catania con tua madre e tuo figlio: questo sentimento allo stesso tempo di figliolanza ritrovata e di maternità come incidono sulla tua ispirazione?
Tanto: in realtà, noi siamo sempre stati una famiglia molto molto unita per cui essendo siciliana ci provo anche più gusto nel veder qualcuno che ti aspetta. Mio padre è scomparso. Adesso torno da mia madre e da mio figlio: questa famiglia diventa più numerosa e mi dà un certo orgoglio.
Quanto è importante educare all'arte, all'esplorazione, alla scoperta in senso lato e non passivo?
Per me è molto importante: probabilmente per qualche politico l'arte, la musica, il cinema non produce profitto. Io la penso come i francesi dell'Illuminismo che investirono su un "esercito" di maestri e intellettuali affinché potessero erudire e diffondere la cultura, il gusto del bello, l'amore per l'arte e la poesia a tutto il popolo affinché il popolo si illuminasse e quindi fosse in grado di determinarsi e scegliere di essere felice e questo è proprio scritto nella Costituzione. Attraverso la cultura e l'arte si fa un investimento umano. È un valore extrasociale su cui i governi non investono. Mio figlio Carlo crea, fa delle cose: spesso andiamo a vedere delle mostre; lui fa i disegni e poi ci indica con un percorso "La mostra di Carlo" e dice: questo quadro l'autore lo ha fatto quando voleva mangiare un kinder délice e la mamma glielo ha impedito.
A volte, mi sembra, che alcune persone di cultura la trasformino in un'altra forma di potere come se la volessero tenere per sé, non divulgarla, non condividerla... 
Ovviamente la cultura e la conoscenza sono un potere. La conoscenza ci mette nelle condizioni di avere un potere di scelta, di decidere, di non essere in balia degli altri o degli eventi. Per ragionare con la nostra testa, elaborare delle conclusioni che provengono dal nostro cervello, non da quello che ci vogliono fare credere attraverso manipolazione varie di mass-media, di giornali e di veicolatori di pensieri. E spesso si vede un pensiero unilaterale che viene imposto in maniera sottile attraverso filmati, documentari, con una serie di linee legate: si sostiene una cosa e tutti devono far parte di questo pensiero unico. Se ti discosti da questa narrativa, sei un eretico, vieni radiato. Per esempio, oggi, se sei un medico e dici che il vaccino può avere un effetto collaterale sei radiato. Ma vaccino è un farmaco, non una vitamina. Farmaco vuol dire rimedio e veleno insieme, per cui bisogna stare molto attenti e ci possono essere di conseguenza delle controindicazioni. Invece, non si può dire nulla contro il vaccino. È un esempio di cosa accade quando governi e multinazionali vogliono imporre delle cose. Con un po' di conoscenza ci rendiamo conto che magari siamo in grado di ragionare sulle cose e che forse tutto questo sembra essere esagerato: informandoci, studiando, forse riusciamo a uscire da questo incubo del terrorismo.
Riascoltando le canzoni del cd "L'abitudine di tornare" ho riscoperto una grande sensibilità attenta a dei problemi come quello di E forse un giorno: il racconto di una crisi economica che si ripercuote su una famiglia. Non è per niente scontato raccontare queste storie. Sappiamo della povertà in Italia attraverso risultati Istat e fatti clamorosi. Tu sei testimone diretta nel tuo territorio di situazioni così estreme?
Sì, sono testimone di queste situazioni estreme. Noi fondamentalmente al Sud ci siamo sempre confrontati con una crisi perenne per cui il meridionale si arrangia e fa un po' tutto per sopravvivere. Per cui dove la crisi ha colpito chi era abituato e specializzato in un lavoro, difficilmente è riuscito a fare qualcosa di diverso. Invece, da noi per assurdo, no! Ti faccio un esempio. Una manager d'azienda licenziata perché sostituita al lavoro dai computer, a 53 anni si è inventata con la sua macchina il servizio "Concetta guida per te": nel suo taxi offre delle cose siciliane e lavora tantissimo. Si è reinventata. Questo è quello che l'italiano dovrà fare: diversificarsi, possibilmente fare più lavori, inventarsi delle cose.
Siamo però costretti e vincolati da un'assurda burocrazia...
...agghiacciante che ci costringe a lavorare in nero per sbarcare il lunario e perché paghiamo più tasse di quello che guadagniamo per non avere alcun servizio. L'Italia è un paese per ricchi. 
Sembra che tu non abbia una buona opinione delle Istituzioni...
Non sono le Istituzioni, perché alla fine rappresentano noi: in questo momento questa gente non eletta sono il nulla perché noi siamo svuotati, noi votiamo le persone con nella speranza di soluzioni ma qualunque poveretto non può risolvere le cose nel giro di un anno. Che sia di destra o sinistra, non ci sono le basi. Ci sono tafferugli, non vanno d'accordo, non hanno maggioranze. Tutto è sempre bloccato. Io ho scelto di vivere in Italia e per lo più al Sud: la cosa positiva è che fra tutto questo ambaradam la gente ha empatia, parla, si aiuta, si capisce, discute, supera la crisi perché si nutre di umanità, cosa che non accade in altri Stati dove si nutre di Facebook, giustificando tante amicizie. Non abbiamo ancora bisogno dei social: c'è tanto dialogo tra noi, è una cosa emozionante. Io vivo in Italia perché m'ispira, è poetica.
Un commento a "Palermo, capitale della cultura"...
Sono d'accordissimo, una soddisfazione enorme: Palermo rappresenta tutti noi, rappresenta Federico II di Svevia, alla cui corte tutte le culture convivevano, tutte le differenze erano considerate ricchezza, in un'ottica di multicomunitarismo che oggi è all'avanguardia, la nuova frontiera.
Un altro riferimento all'attualità è la recente Giornata della Memoria: nella tua canzone "Un sorso in più" la frase "come ingoiare vetro"... fa immaginare le condizioni in cui versava chi veniva portato ai campi di concentramento...
Era una condizione incredibile. Io ne parlo dal punta di vista italiano. È stato Primo Levi a ispirarmi: "il freddo massacrante" credo sia proprio una sua espressione presa da "Se questo è un uomo". La cosa incredibile è come le leggi razziali siano state promulgate in Italia, una cosa che non si può capire. All'improvviso, persone si sono ritrovate in una condizione umana di persecuzione in nome del razzismo, di una razza superiore. Oggi un po' si sfiora questa cosa: sta tornando la cultura fascista-razzista e ce la si prende con lo straniero e queste sono "armi di distrazione di massa".
Visto i temi vari e intensi trattati anche nel tuo cd, hai mai pensato di scrivere un romanzo o dei racconti, o per te la scrittura è per forza legata alla musica?
Sono abituata a metterla in musica, non sono abituata a pensare a un romanzo o a una scrittura in prosa. Non ho la tecnica: mi piacerebbe molto però e se un giorno mi svegliassi lo farei con una macchina da scrivere Olivetti.
Ti devo fare un complimento: non so quante volte sia accaduto nella storia della musica. La parola "cantantessa" è stata creata apposta per te...
È una parola che si sposava perfettamente con me perché la cantantessa non è una vera cantante né carni né pisci: però è così, è nato un neologismo... Giovanni Zambito.
©Riproduzione riservata

Fattitaliani

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