Jazz, intervista a Gianni Savelli: la musica è esperienza di condivisione tra musicisti ed ascoltatori

Il primo impatto incontrando Gianni Savelli è una grande compostezza ed equilibrio che esprime anche nella sua pacata voce, come un’armoniosa melodia, quella che possiamo ascoltare tra le morbide note della sua musica jazz che suona con il suo gruppo ‘Media Res’.  Gianni Savelli è un artista di tutto rispetto con un back ground molto ampio.
Un jazzista che vanta collaborazioni anche con il mondo pop tra cui Riccardo Cocciante, Ornella Vanoni, Luca Barbarossa, Marina Rei e negli anni successivi ha collaborato in studio con Renato Zero, Giovanotti, Chiara Civiello e, più recentemente con Antonello Venditti. Tra le molteplici ed importanti collaborazioni del mondo musicale jazz, di cui diverse internazionali, rammentiamo la partecipazione all'”Aarhus International Jazz Festival” in Danimarca, al “Malmoe Festival” in Svezia e collabora stabilmente con alcune interessanti e spregiudicate compagini tra le quali “Corvini & Iodice Roma Jazz Ensemble” e “Six Sax” di Javier Girotto.  Con queste ed altre formazioni ha l’occasione di suonare, in concerto e/o in sala di registrazione, con musicisti come Carl Anderson, Lester Bowie, Randy Brecker, George Garzone, Horacio Hernandez, Jimmy Knepper, Yusef Lateef, Ray Mantilla, Bob Mintzer, Alfredo Rodriguez, Gunther Shuller.
Un artista che attraverso le note ingaggia il pubblico portandolo in immaginifico percorso musicale, dalle note più classiche, ma anche dal sapore di luoghi e contaminazioni più lontane come quelle brasiliane. Proviamo a conoscerlo meglio attraverso questa intervista.
Buon giorno Gianni, grazie per la disponibilità per questo incontro, ci racconti chi è Gianni Savelli musicista?
Ho iniziato da piccolo a suonare il flauto poi sono passato al sassofono sui 15 anni. Da allora la passione per la musica mi ha completamente assorbito e  ben presto ho avuto la fortuna di poterne fare una professione. Ciò che mi ha sempre accompagnato è la curiosità di scoprire qualcosa di nuovo principalmente grazie alla collaborazione con musicisti di estrazione diversa. Non ho mai pensato a barriere o etichette. Certamente gravito principalmente attorno al Jazz ma non ho mai pensato a questa musica come un universo chiuso in sé stesso. Credo che ogni musicista abbia il diritto e il dovere di cercare di sintetizzare le proprie esperienze e costruire la sua originalità. Imparare continuamente dagli altri è l’altra faccia dello sviluppo della propria personalità. Un’altra cosa per me importante è suonare dal vivo. Non riesco a pensare alla musica se non come esperienza di condivisione tra musicisti ed ascoltatori.
Gianni Savelli persona invece, qual è il tuo stile di vita?
Sono una persona comune a cui piace incontrare gli altri. Amo molto viaggiare e soprattutto viaggiare per andare a suonare.
Ci racconti qual è stato il momento più importante della tua carriera?
Non saprei dirti un momento o un incontro in particolare, Ce ne sarebbero migliaia. Certamente c’è stato un momento in cui ho capito che avrei dovuto superare la paura di cimentarmi con cose  diverse da quello che conoscevo e che avrei dovuto letteralmente tuffarmi in quello che non sapevo fare o consideravo troppo difficile per me. In realtà è così ancora oggi in ogni cosa che faccio. La paura è lì ma non posso fare a meno di cercare continuamente di esplorare ciò che a me è ignoto.
Con quali parole descriveresti il tuo stile musicale, che per me avendoti ascoltato, va molto oltre il jazz?
Ti ringrazio di questa domanda. Credo che la musica, come tutte le arti, in un senso lato, esprima la vita delle persone. Questo va oltre tempo e il luogo in cui è stata concepita. L’essere umano vive esperienze molti simili aldilà delle diversità culturali. La musica forse in maniera più incisiva di altre arti, e soprattutto in assenza di un testo, riesce a toccare corde molto intime ed evocare sentimenti, ricordi, emozioni comuni a tutti noi. In un certo senso la mia musica e in particolare quella che scrivo per Media Res, cerca di mettere assieme  il ricordo degli stimoli che ho raccolto nella musica che suono, ascolto o studio. Ne viene fuori un qualcosa che mi è difficile etichettare ma in cui, con mia grande sorpresa, molti non fanno fatica a ritrovare qualcosa di sé stessi.
Credi che coltivare la musica, in qualche forma, possa aiutare le persone a vivere meglio?
Credo che coltivare la musica  sia una delle cose più importanti che si possa fare per migliorare la propria vita. Credo che andrebbe inserita, con leggerezza,  come disciplina formativa nella scuola primaria. Già soltanto il fatto che per suonare sia indispensabile ascoltare bene gli altri è una esperienza educativa fondamentale. In questa direzione ci sono esperienze incredibili in  Venezuela, a Barcelona in Catalogna e , di recente, nei quartieri più difficili di Napoli, che dimostrano l’impatto rivoluzionario dell’educazione musicale nella vita delle persone.
Tu sei anche insegnante al Conservatorio, cosa consiglieresti a chi desidera intraprendere  la strada della musica come professione?
Oggi il mondo cambia in maniera vorticosa e ovviamente lo stesso accade nel mondo della musica. Intraprendere la vita del musicista di professione non è mai stato facile e ora è diventato veramente difficile. Il modo in cui oggi si fa musica è completamente diverso rispetto a venti anni fa. A ragione molti musicisti sono disorientati ma in realtà non si intravede ancora quali e quante possibilità di fare e vivere di musica si possano aprire nel futuro. Certamente ci sarà un restringimento dal punto di vista numerico ma non si può neanche lontanamente immaginare si possa vivere senza musica. Probabilmente si apriranno molti sbocchi con la nascita di figure professionali che oggi si fa fatica ad immaginare. Non c’è dubbio che sia indispensabile padroneggiare le nuove tecnologie  ma non bisogna dimenticare che esse sono solo degli strumenti e non un fine. Il fatto che oggi con una certa facilità si possano apparentemente avere dei risultati che nel passato necessitavano di competenze superiori di per sé è un inganno. La strada per l’omologazione è la morte della cultura e a livello personale una prigione che sul lungo periodo non può garantire un futuro professionale. La tecnologia non sostituisce la musicalità. A volte addirittura la addormenta. Imparare a suonare bene uno strumento e voler continuamente espandere le proprie capacità  in un campo così largo come la musica continueranno ad essere fattori essenziali negli anni a venire per aprirsi una strada professionale nella musica. Di pari passo molto va fatto da parte dei giovani musicisti nell’imparare a comunicare e promuovere se stessi. In questo campo oggi ci sono molte possibilità, ma è il pensiero che sta dietro gli strumenti di comunicazione che conta non gli strumenti in sé. Bisogna che i giovani riflettano sul fatto che oggi molti artisti sono essi stessi degli usa e getta, cioè il loro successo dura al massimo una stagione per poi cadere nel dimenticatoio. Voler costruire un futuro nella musica è qualcosa che deve durare una vita intera.
Pensi che ci siano sufficienti sussidi da parte delle strutture pubbliche oggi per gli artisti in generale?
E’ una domanda interessante. Naturalmente credo che una società debba investire molte più risorse nella cultura e nell’educazione e che questo sia un fattore imprescindibile per vivere una vita migliore. Se, come immagino, ti riferisci all’Italia la mia risposta è si con dei distinguo. Mi spiego meglio. Per quanto riguarda il nostro paese, ridurre tutto a una questione di fondi credo sia un approccio limitato. Credo che, se non prima, almeno di pari passo, sia indispensabile che nelle strutture pubbliche e private che si occupano di arte e di cultura sia necessario investire molto di più nella formazione del personale. Un paese ha bisogno di una classe dirigente in possesso di competenze e capacità assai alte, non di dilettanti improvvisati o peggio di personaggi che accedono a ruoli apicali per altre vie. In Italia credo sia necessario un cambio di passo radicale nel campo dell’arte e della cultura. Non penso che il mondo dell’arte debba vivere solo di sussidi pubblici. Se non ci si pone ad esempio il tema del coinvolgimento del pubblico attraverso altre forme di partecipazione rispetto a quelle attuali oppure quello della necessità di mettere in moto percorsi virtuosi dal punto di vista finanziario siamo destinati all’inaridimento culturale. L’arte deve essere libera dal potere politico. Se ne è dipendente è quantomeno condizionata. Ci sono molte esperienze positive nel mondo. e non solo nel campo culturale. Perché non copiamo da altri Paesi quando fanno meglio di noi?
Se non avessi fatto il musicista cosa avresti voluto fare?
Difficile dirlo. Ho un certo talento per le lingue quindi forse sarei andato in quella direzione.
Hai un sogno nel cassetto o la massima aspirazione o desiderio che vorresti ancora realizzare?
O si, di sogni ce ne sono tanti. Devo fare in fretta perché non sono più un bambino.
Rammentiamo ai nostri lettori dove possono seguire Gianni Savelli
Sul sito di Gianni Savelli:http://www.giannisavelli.com/it/
Intervista di Ester Campese
Fattitaliani

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