"I, Tonya" superfavorito al festival del cinema di Roma tra le preferenze del pubblico

Di solito nel mondo di Hollywood, c’è un attore o un attrice che è sulla bocca di tutti, una star che si è fatta notare,  che ha riscosso grandi successi, e che è pronta a tentare la scalata all’ ambita statuetta con un ruolo che metta in discussione quanto già visto fin ora (si ricordino le vicende filmiche di una Amy Adams o, più clamorose, di Eddie Redmayne).
Per Margot Robbie sembra essere  decisamente arrivato quel fatidico momento: dopo l’exploit  di The Wolf of Wall Street, e il disastroso (ma non al botteghino) Suicide Squad, in cui tuttavia la sua Harley Quinn rimane tramandata ai posteri, la Robbie cambia le carte in tavola. Sotto la guida del versatile Craig Gillsespie (lars e una ragazza tutta sua, L’ultima tempesta) si fa cucire addosso (anche in veste di produttrice) un ruolo che, se non porterà alla statuetta, la lancerà sicuramente dritta tra le favorite.
Il plot prende le mosse da una delle più discusse e controverse vicende sportive (e di cronaca) degli anni ’90, che coinvolse la pattinatrice Tonya Harding che, nel ’94 fini sulle pagine dei giornali di tutto il mondo per l’accusa di essere direttamente responsabile dell’aggressione a Nancy Carrigan, sua rivale in una competizione che avrebbe garantito ad una delle due, l’entrata nella squadra olimpica per le olimpiadi invernali di Lillyhammer. Tramite il sistema della falsa inchiesta , e quindi con una serie di flashback e flashforward, entreremo nella vita di Tonya: il rapporto conflittuale con una madre iper-competitiva (una strepitosa Allison Janney), la relazione violenta con il suo compagno Jeff Gillooly, il classismo della Federazione del Pattinaggio degli Stati Uniti.
I, Tonya è la più classica delle parabole sul grande Sogno Americano, e sull’impossibilità della sua realizzazione. Tonya appartiene alla classe proletaria, viene definita come trash: cafona. Veste in maniera trasandata e dozzinale (anche nelle esibizioni), pattina al ritmo degli ZZ Top. Viene spinta e pressata fino all’inverosimile da una madre mostruosa ed anaffettiva, che non le riconosce mai un merito, perché è cosi che vanno le cose per quelli come loro, e si rivelerà tragicamente vero quando, dopo l’ennesima gara in cui i giudici non le accordano il punteggio meritato (pur avendo fatto cose che mai nessun’altra è riuscita a fare), le verrà amaramente confessato che lei “ha talento, ma non è quella l’America che la federazione vuole rappresentare”. 
Fattitaliani

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