I Millennial e le altre generazioni (3): COME VALORIZZARE I GIOVANI IN AZIENDA


Con questo intervento, ospitato all’interno del quaderno Weconomy #11 “Quid Novi?, Simone Colombo, Instructional Designer presso Logotel, mette a tacere i luoghi comuni che girano sui Millennial, sostenendo che imprese e leader dovrebbero imparare a valorizzare quanto le nuove generazioni sono in grado di portare all’interno del mondo del lavoro 
“Che superficiali! Non sanno andare in profondità come noi”. Scommetto che molti, lavorando con persone più giovani, avranno detto o sentito questa frase. L’attenzione verso l’incontro inter-generazionale è globale. Cerca #millennials o #generationZ o #intergeneration. Puoi trovare i risultati del Bureau of Labor Statistics, uno studio della Oxford Economics, l’opinione del presidente della SAP SuccessFactor (sì, proprio il colosso del software tedesco), un report Gallup, un’intervista a Simon Sinek (il guru del “know why”). Persino un tweet di Leah Nadeau, artista 25enne di San Francisco che ci dice di stare all’erta perché, presidente Trump o no, i Millenial conquisteranno il mondo. Pare peraltro che se avessero votato solo gli under 35 non ci sarebbero stati né Brexit né Trump. O è più significativa una lettura geografica di questi voti con la categoria a noi più vicina della contrapposizione “città” e “campagna”?
Ma torniamo al luogo comune della superficialità. Penso a colleghi e Clienti più giovani con cui lavoro (molti) e ai miei familiari under 35 (meno). Penso alla Degrassi Next Class o a Josh di Please Like me (entrambi su Netflix). “I’m googling it”. Se non sai qualcosa cercalo. È la prima generazione a essere entrata nell’adolescenza con accesso istantaneo praticamente a ogni informazione. Ma sapere e comprendere sono cose ben diverse: il problema è l’interpretazione. La trasposizione nell’esperienza. Il racconto che trasforma quello che ho appena letto in una conoscenza e in una “skill”. Ed è per questo che quando racconti cos’hai imparato in 20 anni di lavoro, dando una chiave di lettura, scatta quel processo di fiducia che dà valore alle relazioni. È davvero così diverso rispetto a quanto accadeva tra me e mio padre?
Tutti cerchiamo un rapporto diretto con l’esperienza per sapere di cosa fidarci. I più giovani sono davvero mercenari disposti a cambiare lavoro ogni volta che hanno un’occasione migliore? O sono Imprese e leader a dover ancora imparare a valorizzare quanto le nuove generazioni possono portare? Il Bureau of Labor Statistics (US) dice che in 3 anni la media di permanenza degli under 35 nello stesso posto di lavoro è rimasta praticamente stabile, ma bassa (3,2 anni).
Sinek nella sua intervista a InsideQuest (bel format di learning community, più “intimo” di un Ted Talk perché lascia il tempo di raccontare la propria storia) dice che i Millennial scelgono di continuare con il proprio lavoro se questo permette loro di avere un impatto. E non è per tutti così? Sempre di più non si tratta solo del nostro lavoro ma della nostra vita. Il confine si assottiglia, gli spazi si fanno più liquidi. Per tutti. Poi Sinek ci scherza su e dice “qualunque cosa voglia dire impatto”. Ed è qui che tocchiamo il punto. Una differenza c’è ed è sostanziale. I più giovani sentono di non poter aver impatto sull’Impresa “tradizionale”, quella ancorata a un mondo che non ci sarà più.
Pare nel 2030, secondo il World Economic Forum, quando non ci saranno più prodotti ma solo servizi, non faremo più shopping e non possederemo nulla, né una casa, né un’auto, né la nostra privacy. E non potremo essere più felici. Come ogni cambio generazionale anche questo impone le difficoltà della convivenza. Vero è che non abbiamo mai avuto 5 generazioni insieme al lavoro, cosa che accadrà intorno al 2020 (Bureau of Labor Statistics). Ma il problema è piuttosto la leadership dell’Impresa che dovrebbe portare a quel futuro, a quello spazio collaborativo meno formale e più “divertente” che le nuove generazioni cercano. Un mondo dove nessuno potrà smettere di imparare e anzi la capacità di farlo continuamente diventerà la vera cifra del nostro “impatto”.
Il compito della leadership è difficile: tornare a insegnare perseveranza e fatica, che tutti tendiamo un po’ a dimenticare. Abbandonare il “tutto subito” e tornare al tempo necessario per fare e insegnare bene le cose. Una misura che solo l’esperienza può dare. Ed è appunto questo giudizio interpretativo la nuova risorsa scarsa dell’Impresa.
Fattitaliani

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