A 40 anni
dall’uscita del celebre film, dopo aver calcato vari palcoscenici, il 24
luglio, “La febbre del sabato sera” per la regia di Claudio Insegno, sarà
all’Arena di Verona.
Le coreografie sono sapientemente disegnate da Valeriano Longoni ed i costumi
da Graziella Pera.
Protagonista sarà Giuseppe Verzicco. Trent’anni, originario di Trani, grande
gavetta alle spalle e già protagonista di Grease nel ruolo di Danny Zuko. Si
ritiene fortunato di essersi trovato al posto giusto nel momento giusto e
ringrazia chi l’ha scelto per ruoli importanti, la sua perseveranza nello
studiare per migliorare e anche quelli che con i loro no ai provini, lo hanno
aiutato ad acquisire una certa serenità nell’affrontarli. Avevamo assistito al
debutto romano al Teatro Olimpico ed ogni interprete è calato nel personaggio
giusto.
Cosa
ti ha spinto ad accettare il ruolo?
Interpretare questo ruolo che mi permette
di spaziare dalla recitazione al canto, dalla musica alla danza per due ore di
spettacolo, è una possibilità pazzesca e ringrazierò Claudio Insegno per tutta
la mia vita. Mi sta portando tantissime soddisfazioni, un riscontro del
pubblico sempre meraviglioso.
Lo spettacolo ha riscosso già grandi
successi in varie città. Com’è andata?
Noi abbiamo debuttato il 9 dicembre
al Teatro Nuovo di Milano, poi abbiamo fatto Varese, Bologna ed è sempre andata
bene. Anche a Roma è andata benissimo. Lo spettacolo risulta leggermente
diverso rispetto al Film che tutti quanti conoscono ed alle altre versioni
precedenti, messe in scena in Italia da varie produzioni. All’interno di questo
allestimento, Insegno ha sentito la necessità di inserire un po’ di commedia
perché la storia raccontata all’interno della Febbre del sabato sera, racchiude
delle storie che non sono proprio serene. Si parla di una periferia di New York
in cui sono inserite alcune tematiche legate all’ emarginazione, al razzismo,
alla mancanza di lavoro. Insegno l’ha alleggerita con un po’ di commedia e
quindi ci si diverte un bel po’. In scena ho una mamma pugliese ed un papà
siciliano.
Le tematiche trattate sono ancora molto
attuali, purtroppo…
Ebbene sì, accendendo la Tv cosa che non faccio di
solito, noto che ancora oggi è così difficile pensarsi uguali e vivere in un
luogo che dovrebbe renderci felici.
Sei spaventato dal confronto con John
Travolta?
Non c’è un confronto, lui ha segnato un’epoca, è una Star
internazionale, non potrei mai paragonarmi a lui. Ho solo potuto osservare
quello che lui ha creato. Ho provato a reinterpretare il ruolo a mio modo e con
una freschezza diversa legata anche ad un’età diversa in cui questo
allestimento viene messo in scena.
Lo spettacolo è stato definito “un juke
box in versione musicale”. Cosa ne pensi?
È assolutamente vero, la musica
dei Bee Gees riesce ad entusiasmarti a tal punto che non senti neanche la
stanchezza e riesce a coinvolgere il pubblico a ballare in sala, alla fine
dello spettacolo, in maniera spontanea ed ancor prima che li coinvolgiamo noi.
Orchestra dal vivo, stesse musiche del
film e coreografie originali. Cosa si può aggiungere?
Quello che manca per
il momento è il pubblico che ci verrà a vedere. È bello interpretare il mio
ruolo con l’Orchestra dal vivo. I respiri sono seguiti dal Direttore
d’Orchestra che non vede l’ora di far partire la musica per te.
Hai citato più volte il pubblico, che età
ha chi viene a vedere o rivedere lo spettacolo?
A questa domanda non so rispondere con
esattezza, ci sono varie fasce d’età. Ovviamente non vediamo molto spesso
bambini. Ci sono ragazzi di venti anni, ci sono famiglie, persone sulla
cinquantina. Tutte fasce di età che apprezzano particolarmente la musica perché
hanno vissuto quegli anni della disco dance ed hanno ballato quelle canzoni in
discoteca.
Sei uno dei performer tra i più grandi d’Italia. Com’è iniziata la tua
carriera? Sono veramente grato alla mia vita per avermi concesso di fare
tutto quello che desideravo. Oggi riguardando il mio curriculum sono veramente
orgoglioso e mi emoziono ogni volta che ne parlo. Tutti i “ruoli” degli
spettacoli che hanno fatto parte della mia carriera, nei dieci anni che ho
fatto parte del Teatro musicale italiano, sono tutti quelli che desideravo
fare. Sono fiero di aver ricevuto tanta fortuna. Sento molta responsabilità e
mi circondo di persone che mi vogliono bene e che mi aiutano ad avere fiducia
in me perché il nostro mondo non è facile. Ci sono stati tanti no nella mia
vita ma ringrazio le persone che me li hanno detti perché mi hanno comunque
aiutato ad affrontare oggi, i ruoli che interpreto, con una serenità differente
che senza quei no, non avrei potuto avere. Spero che in futuro possano esserci
altri ruoli del genere e di poter spaziare anche in altri ambiti, come il mondo
del cinema che per me è ancora ignoto. E’ molto difficile perché sono due mondi
completamente a sé. Penso di essermi trovato nel posto giusto al momento giusto.
Spero che anche altri colleghi abbiano le possibilità che ho avuto io.
Ognuno è fabbro del proprio destino o è il destino che decide per noi?
Ognuno è fabbro del proprio destino e sono contento di essere stato testone e
di aver continuato a studiare, studiare, studiare e scegliere le persone con
cui farlo. Oggi devo essere particolarmente grato alle persone che mi hanno
saputo comunicare la curiosità del mondo teatrale e la voglia di migliorare
ogni giorno. Fare un passo di danza in più, tenere una nota più alta, un
vibrato più caldo, una battuta ricercata guardando gli occhi di un collega
in maniera diversa. Questo è quello che
mi porta ogni giorno a vivere in maniera differente lo stare in palcoscenico
con una storia da raccontare. Molti colleghi mi chiedono se non mi annoio a
stare in palcoscenico sempre con la stessa storia, dire le stesse cose, a fare
gli stessi passi ed io rispondo di no. Ogni giorno, si entra in palcoscenico con
un’energia differente che non viene percepita dal pubblico ma che viene notata
dai colleghi. E’ bello anche mettersi in gioco, mettersi alla prova. Spero che
le persone possano emozionarsi insieme a noi perché io lo faccio tutti i
giorni.
Elisabetta Ruffolo