Ha vissuto tutta la sua vita regalando a tutti un sorriso, soprattutto
là dove c’era il dolore più grande, la malattia più grave, la miseria più nera.
Senza arretrare mai dinanzi ai potent, ai quali chiese sempre aiuto per i
derelitti, gli ultimi, come li chiamava Lei. Parliamo di una piccola donna ma
talmente Grande che il mondo, quando lei lo lasciò, si sentì orfano e
ingiustamente colpito. Parliamo di Agnese Gonxha,
figlia di un droghiere albanese, nata nel 1910 nella cittadina macedone di
Skopje ma da tutti conosciuta come Madre Teresa di Calcutta.. Entrata nel 1928
nella congregazione delle Suore di Loreto (irlandesi), venne inviata a
Dajeeling, in India. Questa terra diventa la sua patria perché li si compie il
suo destino, comprende lo scopo per cui è venuta al mondo e inizia un percorso
che la porterà alla grandezza che non ha pari e che si conquista solo con
l’amore per chi è solo, ammalato, per coloro che per tetto hanno solo il cielo.
A trentasette anni, Suor Teresa indossa per la prima volta un "sari"
(veste tradizionale delle donne indiane) bianco di un cotonato grezzo, ornato
con un bordino azzurro, i colori della Vergine Maria. E’ con il suo aiuto che
diventerà la Madre in terra di coloro che non ne hanno una, di chi è steso sui
marciapiedi, scansato perché lebbroso, che considera la morte una liberazione.
Madre Teresa comincia a cercarli, a considerarli uomini e trova il coraggio di
bussare alla porta dei potenti della terra per chiedere medicine, generi di
prima necessità e soprattutto un posto dove poterli raccogliere e curare. La sua abitazione è una baracca sterrata e lì porta
quelli che non sono accolti negli ospedali.
Durante l'inverno del 1952, un giorno in cui va
cercando poveri, trova una donna che agonizza per la strada, troppo debole per
lottare contro i topi che le rodono le dita dei piedi. La porta all'ospedale
più vicino, dove, dopo molte difficoltà, la moribonda viene accettata. A Suor
Teresa viene allora l'idea di chiedere all'amministrazione comunale
l'attribuzione di un locale per accogliervi gli agonizzanti abbandonati. Questa
Madre degli ultimo comincia ad essere conosciuta ed altre giovani donne la
raggiungono per aiutarla in questa sua missione quasi impossibile. La sua
speranza è togliere i lebbrosi, i suoi figli prediletti come li definisce,
dagli slum. Va ogni giorno a trovarli e curarli nelle loro misere baracche ma
spera di costruire per loro una città. La fatica non la spaventava, la dignità
nel chiedere per chi era abbandonato ad una sicura morte la rendeva grande al
pari dei potenti. Lei non possedeva altro che la veste che divenne la veste
delle Missionarie della Carità e la prima casa viene aperta a Cocorote in
Venezuela, è il primo luglio del 1965. Così dove c’era sempre stato il dolore nacque
la speranza, alla morte viene data la dignità che questo ultimo momento di vita
merita, i bimbi di nessuno diventano tutti suoi figli. “L’aborto è il più grande
distruttore di pace oggi al mondo – il più grande distruttore d’amore. Se non
volete i vostri figli non uccideteli ma dateli a me. Distruggere una Vita con
l’aborto è omicidio, anzi peggio di ogni altro assassinio. Poiché chi non è
ancora nato è il più debole, il più piccolo e il più misero della razza umana,
e la sua Vita dipende dalla madre – dipende da me e da te – per una Vita
autentica. Se il bambino non ancora nato dovesse morire per deliberata volontà
della madre, chi è colei che deve proteggere e nutrire quella Vita, chi altri
c’è da proteggere? Questa è la ragione per cui io chiamo i bambini non ancora
nati, i più poveri tra i poveri” Ecco perché nel viso di Madre Teresa
c’era una luce disarmante che conquistava tutti e che le è valso il Premio
Nobel per la Pace. AMARE
QUALCUNO significava vedere un MIRACOLO
invisibile agli altri. Nel
suo lavoro c’era il rispetto per la persona, il valore e la dignità
di ciascuno. Ricordiamoci quando incontriamo chi ha bisogno di noi che. AMARE
QUALCUNO significava vedere un MIRACOLO
invisibile agli altri. Da
tutto questo è nata la Città della Gioia, da una Donna che era il sorriso di
Dio.
Caterina Guttadauro La Brasca