Dopo l'album di debutto nel 2013, e a un anno di distanza dalla doppia release di Lisca e Q, Giovanni Di Giandomenico torna con Ambienti, un album che coniuga rigore compositivo e alta temperatura emozionale, incarna in pieno le sfide lanciate da Almendra, racchiude senso e direzione di questa nuova musicalità che si nutre di luoghi, sensazioni, memorie, pratiche consolidate e ricerche inedite.
Non è un semplice album "piano solo", Ambienti. Include l'uso del piano preparato e dell'elettronica, in un rigoroso gioco di specchi tra suoni naturali e artificiali, che avvince e conquista poiché si risolve nei pensieri, nelle emozioni e nelle vicende umane, ancor prima che artistiche, dei suoi ascoltatori e del suo autore. Un musicista giovanissimo e curioso, costantemente in movimento tra le complessità mediterranee della sua Palermo e la modernità nordeuropea di Berlino, attento alle novità e rispettoso delle lezioni del passato, sempre vicino al suo pianoforte ma mai ingessato, mai costretto dal canone o da timori reverenziali. Non è un caso che Ambienti sia un intimo, delicato ma visionario diario di viaggio: un album figlio di luoghi e non-luoghi, esperienze, visioni, sensazioni - anche tattili, anche olfattive - e ricordi. Un album in prospettiva: questa nuova uscita Almendra per pianoforte inaugura non solo i prossimi lavori di Di Giandomenico (già previsti per il 2017), ma anche una serie di "Almendra piano album" (Valentina Casesa, Marco Betta, Marcello Bonanno etc.) caratterizzati ciascuno dal protagonismo dello strumento e da un sistema compositivo di volta in volta diverso ma coerente, riconoscibile, e dai risultati pregnanti sia intellettualmente che emotivamente.
Nato a Palermo nel 1993 e oggi di stanza a Berlino, formato in pianoforte, composizione, direzione d'orchestra e improvvisazione tra il Conservatorio V.Bellini di Palermo, la Guildhall School of Music and Drama di Londra e l’Accademia Nazionale di S. Cecilia a Roma, Giovanni Di Giandomenico sfugge a qualsiasi categoria, a qualsiasi dialettica colto/popular, impegnato/leggero, e non ha bisogno di esibire ribellioni, perché: "Non ho mai avuto regole e apriori nell’ascolto o nella ricerca coerente di ciò che mi interessa. Mi lascio sorprendere da tutto sapendo di avere casa mia in ordine, pronta ad accogliere chiunque, in qualsiasi momento; che l’ospite inatteso sia Kurt Cobain o Gustav Mahler poco importa, si metta comodo e mi racconti le sue storie". Dai locali dell’underground palermitano all’Auditorium Parco della Musica a Roma, dalla NAMM Musikmesse di Mosca fino a battute di busking per le strade di Bologna, Giovanni ama portare la sua musica nei luoghi più disparati, dal vivo e in studio, in collaborazioni con musicisti di ogni estrazione linguistica, dall’hip-hop al noise rock, dalla world music all’avant jazz e alla musica classica e contemporanea, oltre a prestare la propria musica al teatro, al cinema e alla videoarte.
Questa varietà di stimoli geografici e artistici è il motivo fondante del nuovo album, ideato e scritto tra Palermo, Berlino, Roma e Bregenz, registrato e compiuto negli studi Almendra Music a Palermo: "Si chiama Ambienti perché è dagli ambienti che prende vita: gli aeroporti e le loro umanità sospese, i ristoranti nelle pause pranzo, camere d’albergo, lo studio di Almendra. Ambienti che però, in me, sempre di più, una volta vissuti, diventano luoghi e tempi di memoria, interni e difficili da spiegare, più facili da ricreare con suoni, sogni e anche odori". La musica di Ambienti rappresenta in maniera efficace l'indole di Giovanni, la suaconsapevolezza delle tradizioni classiche, del popular e delle avanguardie del ‘900 in un mix di spontaneità, rigore, energie e intimità, orientato alla esplorazione del potenziale materico del suono, a partire dal prediletto pianoforte, integrato dall’uso di strumenti elettronici sia analogici che digitali.
Ambienti è uscito martedì 6 dicembre 2016 in formato fisico, download e streaming in tutte le piattaforme digitali (distribuzione The Orchard). Presentato in anteprima streaming su SentireAscoltare, Ambienti sarà presentato dal vivo in una puntata speciale di Musica MED Live (Rai Radio1 - Rai Web Radio7) giovedì 8 dicembre alle 12.30, con Marzia Puleo e uno showcase live di Giovanni Di Giandomenico. La prossima release Almendra Music, settima tra le quattordici in calendario fino al prossimo maggio 2017, è in programma martedì 27 dicembre 2016: il debutto piano solo della compositrice e pianista Valentina Casesa.
Classica,
contemporanea, jazz, elettronica: quanta musica ha ascoltato, praticato,
assorbito e vissuto Giovanni Di Giandomenico? Quale potrebbe essere il filo
conduttore tra queste aree?
Sono
piuttosto pigro d’indole, non è stata sicuramente la curiosità, ma il caso; il
problema è che il caso e la sua imprevedibilità vanno rispettati e accolti come
ospiti non attesi, quindi è sempre bene tenere in ordine la casa affinché gli
ospiti imprevisti possano accomodarsi al meglio, mettersi a loro agio e
raccontarti le loro storie con gioia. Penso che a chiunque, in qualsiasi
cultura e tempo, venga dato un appiglio alle grandi-sconfinate reti delle “cose
che già ci sono”. Ognuno poi esplora queste reti seguendo percorsi
assolutamente personali e diversi; il mio ad alcuni appare strano forse, ma per
me è assolutamente normale perché è l’unico che avessi mai potuto percorrere.
Secondo me la cosa davvero importante è predisporsi all’ascolto: un ascolto
attento e sensibile di due battute vale più di uno superficiale dell’intera
sinfonia. Questo è il motivo per cui non ho mai avuto regole nell’ascolto o
nella ricerca coerente di ciò che mi interessa. Mi lascio sorprendere da tutto,
sapendo di avere casa mia in ordine, pronta ad accogliere chiunque, in
qualsiasi momento; che l’ospite inatteso sia Kurt Cobain o Gustav Mahler poco
importa.
Un’altra
cosa che colpisce immediatamente è la varietà di luoghi in cui hai portato la
tua musica. Quanta te ne hanno restituito questi luoghi?
Sì,
ho viaggiato molto, soprattutto in Italia, trovandomi in posti che mai avrei
immaginato prima. L’Italia è un paese meraviglioso, e non smetterà mai di
emozionarmi. I luoghi però non sempre mi restituiscono musica, per me è un po’
problematico spiegarlo, perché da un musicista molti si aspettano che viva e
senta musica dappertutto. I luoghi che ho visto e vissuto di passaggio mi
lasciano più impressioni visive e olfattive, che uditive. La mia musica infatti
attinge proprio a questi luoghi, anzi a volte non potrebbe prescindere da quei
luoghi, ma è una fase che precede l’idea musicale vera e propria, e riguarda
invece più l’immaginario, la invenzione del pretesto, a volte anche il legame
più o meno sentimentale con un materiale musicale che ancora non c’è.
Sono
pochissimi i luoghi che mi suggeriscono suoni direttamente, e raramente sono
luoghi fisici, per lo più sono luoghi che smettono di esistere fuori dalla mia
memoria. Mi accade sempre più spesso, da qualche anno, di riuscire a scavare a
fondo in questi luoghi della memoria, e spesso trovo alla loro base altri
luoghi ancora, che magari vivevano nella fantasia del me dodicenne; penso
quindi che in realtà siano memorie di fantasie, ricordate con fantasia, e
questo mi fa sentire in dialogo con me, siedo al tavolo con tutti i miei “me”
possibili e con le loro possibili, fantastiche memorie.
Ancora
luoghi, ancora geografie. Alla base del ‘concept’ di Ambienti ci sono quattro città e numerosi transiti, tanti passaggi
ed evoluzioni. Non lo consideri un disco “Ambient”…
Ambienti può essere fruito come
un disco Ambient, può tranquillamente essere lo sfondo di un contesto, il
flusso in cui stare immersi con un bicchiere di vino e gli amici che parlano, o
mentre sei in automobile nel traffico, o ancora può essere la musica in cui
cercare una sensazione di disteso abbandono. Di sicuro però non è un disco
propriamente Ambient, o almeno non nel senso in cui Brian Eno ha definito la
musica Ambient, cioè come “musica generativa”; non lo è perché ogni elemento di
Ambienti, ogni materiale, non è esito
di un processo automatico controllato da algoritmi, ed è invece organizzato in
una retorica formale, compositiva, più propria di un grande “adagio” sinfonico
che sussurra i suoi temi al posto di gridarli.
Viviamo
in una cultura del rumore, in cui si fa a gara a chi lo fa più forte, non,
semmai, a chi lo fa meglio. A me questa cosa non piace, ecco perché vedo la mia
musica, sempre più, come un flusso continuo di energie indipendenti da questo
inquinamento del pensiero, che possono dare ad alcuni esiti l’aspetto di un
genere ben definito come la Ambient ma che in realtà, semplicemente, mi
permettono di giocare all’interno dei miei suoni con la percezione del tempo,
delle forme e dei loro equilibri in quella che per me, poi, è sempre una
narrazione: incoerente, squilibrata, folle, totalmente indipendente dal mio
pensiero e dalla mia persona, appunto un’altra cosa, nata da fuori di me e che
esce fuori da me.
Diciamo
in sostanza che se dovessi definire “Ambient” Ambienti, dovrei dire che anche Flash
Mob o Polluted Suite, dal mio
primo album, sono pezzi Ambient, perché legati agli stessi strumenti e processi
compositivi di Ambienti, e
soprattutto a quella stessa urgenza creativa, quel flusso che scorre tra fuori
e dentro me, e che mai voglio sottomettere alle leggi della prevedibilità. Se
qualcuno se la sente di dire che quelle robe, Flash Mob o Polluted Suite,
sono musica Ambient, allora vorrà dire che ho sempre e solo fatto Ambient.
Nel
2012 il tuo debutto eponimo, tre anni dopo Lisca
e Q: che differenze ci sono tra Ambienti e i precedenti?
Ambienti è un album che ha avuto
un lungo periodo di gestazione, in questo senso fra i tre precedenti
sicuramente quello più vicino è Q:
anche Q è stato pensato e scritto in
luoghi differenti e poi riscritto e rilavorato a Palermo definitivamente.
Lisca indaga sul suono del
piano, esattamente come Ambienti, ma
lo fa in un modo completamente opposto: in Lisca
il piano è il supporto, è un album per “sole mani”, è infatti in Lisca il centro dell’attenzione
compositiva ed esecutiva sono i cambi di pressione, i ribattuti e le serie con
cui si dispongono gli accenti all’interno di una sequenza etc. In Ambienti
il piano è preparato, principalmente con oggetti di gomma e in alcuni pezzi
anche con viti e bulloni, cioè in un modo tradizionale, fino ad arrivare a
parti del disco in cui dentro il piano erano sospesi dei crash di batteria
oppure delle graffette appositamente piegate, inserite fra le corde più acute.
Quello
che però rende realmente diverso Ambienti
dagli altri lavori pianistici è il rapporto fra l’elettronica e il pianoforte,
soprattutto il lavoro sul riverbero, sulla sua interazione con le diverse
densità e rarefazioni del materiale, e sulle sue evoluzioni e modulazioni interne,
che creano come un effetto di diffrazione sull’esoscheletro del pianoforte.
Sei
di stanza a Berlino: quanto è importante questa città per la tua ispirazione?
Se
devo essere sincero, davvero poco. Berlino è una città immersa nel presente,
una metropoli timida e morigerata che sfoga la sua grande depressione in alcuni
buchi spazio-temporali, semiprestabiliti dall’ordine costituito. Non è un
granché, in sè, come energia creativa. È comunque un posto perfetto per fare
cose, conoscere gente nuova, sempre interessata ed interessante, e per fare
esperienza di cosa diamine accade nel mondo per davvero, almeno in musica, cosa
che in Italia viene invece filtrata dai mille salotti dei barbapapà della
musica, che devono assolutamente mostrare a tutti la ultima versione di mummia
da loro scoperta. Berlino in questo
senso è invece attiva, dinamica, moderna appassionata a qualsiasi forma di
musica possa esistere, ma diventa nella mia immaginazione un luogo di
ispirazione solo per contrasto, rispetto al “genius loci”, semplicemente perché
ci vivo e penso e mangio e compongo.
Osservando
questa città scopro chi sono con facilità anche perché allo stesso tempo la sua
freddezza mi sbatte in faccia cosa non voglio diventare, lasciando così spazio
solo a ciò che posso fare, voglio costruire, scrivere e conquistare con il
lavoro. Berlino in questi modi protegge la mia ispirazione, mi permette di
stare tranquillo, lontano dalla guerra, lontano dalla frustrazione di avere tra
le mani il potere di fare ma non potere fare nulla.
Cosa
ascolta di solito Giovanni Di Giandomenico?
Ci
sono periodi in cui ascolterei sempre lo stesso pezzo e periodi in cui navigare
in cerca di cose nuove diventa un gesto compulsivo. Dipende da cosa sto facendo
in quel periodo, se sto scrivendo o progettando qualcosa da scrivere, se sono
stressato o no, e se ho tempo oppure tappo i buchi con la musica che voglio
riascoltare, per capirla meglio o per gongolarmi in qualcosa di conosciuto,
caldo e sicuro.
Hai
qualche artista prediletto che ascolti e con cui magari ami confrontarti?
Adoro
ascoltare di tutto. Ma sicuramente mi piace tantissimo la musica dei miei
amici, è una cosa strana, non so di preciso perché, ma ascoltare la loro musica
è più intenso che ascoltare qualsiasi altra roba. E penso forse che sia pure
più sano, più umano: in fin dei conti è un po’ una sorta di musica a kilometro
zero. Forse è questo uno dei motivi per cui non ho mai avuto miti; ho un’idea
più o meno chiara di quello che voglio quando scrivo, e non mi lego ad un
compositore se non lo conosco bene.
Quello
che ho sempre cercato di seguire sono dei riferimenti, cercando di imparare
dalle grandi cose del passato, leggendo fra le righe o ascoltando i consigli
del mio Maestro Marco Betta, o dei miei amici musicisti con più esperienza di
me, insomma cercando di tirare fuori da ogni situazione di scambio o di
apprendimento qualcosa di utile ed interessante, che possa aiutarmi a risolvere
problemi del mio metodo compositivo, o che possa stimolare la mia immaginazione
su argomenti e tematiche prima ignorate.
A
proposito di predilezione, il pianoforte è tuo fedele compagno, ma nel tuo
lavoro non rinunci all’elettronica. Esistono dei limiti a questo contributo o
il piano ha ampia tolleranza?
Il
pianoforte è esattamente il “mio fedele compagno”: un amico di vecchissima
data, di quelli che non ricordi neanche come diavolo vi siete conosciuti. Come
tutti gli amici più sinceri e veri, il pianoforte non mi ha mai voluto tutto
per lui, anzi è sempre stato uno stimolo a cercare altro, pronto a guidare la
mia fuga dalle certezze rassicuranti, insomma un bel trampolino di lancio verso
tutto il resto. Più banalmente, il pianoforte è solo uno strumento del mio fare
musica, come lo è il computer o un ensemble oppure ancora un coro, e così via.
Infatti
non sono mai stato legato alla figura del virtuoso, del superstrumentista;
senza dubbio ammiro molto gli interpreti, che rendono nuovamente vivo il
pensiero degli antenati, non amo però le
gare e non capisco le motivazioni per cui qualcuno, ad un certo punto, compri
l’esclusiva su presunte verità del passato e inizi a dettare legge su come si
“debba” suonare o scrivere: un pazzo totale! Esattamente quanto chi si nasconde
dietro fancazzismi fricchettoni per nascondere la totale mancanza di qualsiasi
ombra di tecnica. Io sono sempre stato abituato a pretendere da me stesso, e a
esigere la totale indipendenza e superiorità del mio pensiero rispetto ai miei
mezzi. La tecnica, proprio per questo motivo, diventa sacrosanta ed
importantissima, e bisogna anche padroneggiarla, non bene, ma benissimo, perché
ha bisogno di leggerezza per diventare a sua volta leggera, e non gravare sulla
forma, sulla sensibilità, sulla fantasia e sull’idea. Un compositore usa, e
sviluppa, gli strumenti e la tecnica, e sceglie!, e ogni scelta viene sancita
in nome di un obiettivo chiarissimo: dare forma e suono a un pensiero musicale.
Io credo che solo attraverso questo percorso, moderato fra immaginazione,
fantasia, idee, tecniche e metodo, si possa arrivare alla libertà. É per questa
ragione che il pianoforte ha nel mio caso una totale tolleranza della mia
indipendenza da lui, senza gelosie, perché viene trattato da me come uno
strumento sempre nuovo e ricco di potenziale, mai come una vecchia bagascia da
teatro d’opera, piena di termiti e senza anima. E lui in risposta rispetta me,
sapendo che se lavoro con lui lo faccio per una ragione specifica, perché
ammiro quanto abbia ancora da dirmi, e quanto sempre riesca a sorprendermi,
senza mai diventare per me la “risorsa esclusiva” o la giustificazione
pseudogitana di uno stile oramai vecchio e superato.
Oggi
la musica viaggia velocissima, fra canali sempre più attenti alla dimensione
della performance dal vivo, al rapporto diretto degli ascoltatori con la musica
e con l’artista, e quindi io da compositore rispondo con l'urgenza e
responsabilità di osservare tutto ciò e di coltivare e sviluppare ciò che so e
ciò che ho studiato; perché, in mezzo a questa frenetica evoluzione della gente
e della nostra tecnologia, dentro di me vive la pace profonda e serena di una
consapevolezza: se mi dovessi trovare per un motivo sconosciuto su di un’isola
sperduta, e ci rimanessi per 20 anni, senza ombra di civiltà, pianoforti e
tecnologia sarei comunque in grado di intrecciare quattro foglie, tracciare un pentagramma
e scrivere la mia musica, pensandola.
Sei
una delle figure più interessanti nella scuderia Almendra. Quanto è importante
lavorare con un team creativo, con cui c’è sintonia e affinità?
È
fondamentale! Almendra è uno di quei pochi luoghi della mente e della realtà,
circuiti di armonie, in cui posso essere libero, libero da qualsiasi
circostanza esterna o dovere, essere me stesso al cento per cento, sia che
faccia musica o che sia al bar a bere un caffè o un Amaro del Capo. Conosco
Gianluca e Luca da prima che Almendra Music esistesse e, fin da quando era
soltanto un progetto, Almendra già vibrava di una forza che mai avevo visto
accadere intorno a un nucleo di persone così eterogeneo. Era scioccante ed
emozionante notare come tanta gente, così tanto diversa, stesse iniziando a
gravitare magicamente tutta intorno a un sogno, un progetto comune bello e
solido, un progetto di vita intorno alla musica e all’arte. Ho imparato
tantissimo dai ragazzi, da Luca, Gianluca, Antonio, Danilo, Filippone, Marco...
E potrei continuare all’infinito, con storie e nomi.
Ognuno
dà qualcosa e riceve qualcosa, è uno scambio umano, vero, sincero, fra persone
che amano quello che fanno e lo fanno con gioia e rigore, senza egoismi, senza
peso e senza doppi fini, limpidamente. Arrivare a Berlino è stato molto
emozionante ma altrettanto doloroso, perché mi manca tanto la quotidianità
gioiosa in Almendra a Palermo, quella del vivere la musica apprendendo sempre
qualcosa di vero e profondo dalle conquiste dell’amico al tuo fianco.
Sei
assai prolifico e con Almendra hai già all’attivo vari titoli, ai quali
seguiranno delle novità nell’immediato futuro. Saranno sulle tracce dei
precedenti o prevedi delle novità?
Non
so se voglio svelarle, posso dire certamente che c’è un bel po’ di roba che
bolle in pentola, e che spazia fra tantissime forme e diversissimi organici.
Quello che so e che voglio dire è che non ho nessuna intenzione di adagiarmi
per nessuna ragione al mondo. Sono tanti i progetti che sto completando, e
tanti anche quelli che stanno nascendo qui a Berlino, con nuove collaborazioni,
e nuovi ospiti totalmente inattesi. In realtà continuerò a fare quello che ho
sempre fatto, sentire e pensare, scrivere e suonare, cercando di fare tutto con
il massimo entusiasmo possibile, e circondato da esseri umani che amo e stimo
profondamente.
Giovanni Di Giandomenico -
piano | prepared piano | electronics
_
label & publishing: Almendra Music [
almendramusic.bandcamp.com ]
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credits
released December 6, 2016
all
music by Giovanni Di Giandomenico
produced
by Gianluca Cangemi & Luca Rinaudo
co-executive
producer: Danilo Romancino
recorded
by Luca Rinaudo and Gianluca Cangemi at Zeit Studio, Palermo (Italy)
mixed
by Luca Rinaudo and Giovanni Di Giandomenico at Zeit Studio, Palermo (Italy)
and at Marzahn Sessantunodue, Berlin (Germany)
mastered
by Luca Rinaudo at Zeit Studio, Palermo (Italy)
art direction and design by Antonio Cusimano [
3112htm.com ]