Venezia 73, "Orecchie" di Alessandro Aronadio: la discesa verso l’abisso dell’irrazionalità. La recensione di Fattitaliani

È morto il tuo amico Luigi. P.S. mi sono presa la macchina”: questa frase scritta su un post-it attaccato al frigo, insieme ad un fastidioso fischio alle orecchie, sono l’introduzione a quella che sarà una giornata folle e paradossale per il protagonista del film. Se a tutto questo si aggiunge che questi non si ricorda nemmeno chi sia Luigi, il senso di smarrimento accresce e diventa predominante.

Il personaggio principale, che scopriamo essere un professore di filosofia attorno al quale ruotano tutti gli eventi, non ha un nome, ma potrebbe tranquillamente indossare le vesti di uno Zeno Cosini moderno. Il suo Italo Svevo lo fa muovere in un mondo folle, grottesco, paradossale e lo costringe a fare i conti con una realtà allo sbando, priva di qualsivoglia logica. Quasi tutti gli incontri con gli altri personaggi non sono voluti, sono incontri casuali o scelte obbligate; tutto ciò va a sottolineare quanto siano distorti, al giorno d’oggi, i rapporti umani e le relazioni interpersonali. Anche le poche visite che il protagonista sceglie volontariamente di compiere non fanno altro che alimentare l’inevitabile discesa verso l’abisso dell’irrazionalità. 
Un abisso nel quale, per forza di cose, si trova il senso stesso dell’esistenza, che il film interpreta e svela, senza mezzi termini, allo spettatore. Il professore, quindi, si ritrova a fare i conti con le abitudini e la quotidianità intrecciando le azioni subite e commesse in un reticolo che, alla fine dei giochi, compone un mosaico più grande. Il film non fa altro che ricalcare la mentalità del protagonista cercando di trovare nel particolare l’universale. Grande l’uso di allegorie, che hanno come scopo finale quello di far riflettere su temi di carattere elevato fino a cercare di dare delle risposte alle più grandi domande sull’esistenza.
Una tematica già ampiamente battuta, affrontata appunto da Svevo circa un secolo fa, che qui viene vista in chiave moderna. Lo smarrimento dell’uomo nella nostra era è addirittura maggiore rispetto a quello già elevato nel ‘900. Per novanta minuti il regista non fa altro che cercare di dirci questo, riuscendoci e facendoci riflettere sulle nostre stesse vite e su quanto, chi più chi meno, assomiglino a quella del protagonista. Il fischio alle orecchie si ritrova ad essere solo un collante che tiene unite le riflessioni. Un male di vivere costante che lascia poche interpretazioni allo spettatore ma fa crescere, nel corso del film, la curiosità su cosa sia e su come si sia generato.
Tecnicamente il regista riesce a confezionare un prodotto veramente ben fatto: resta fedele all’aspetto “quotidiano” della narrazione optando per inquadrature semplici e simmetriche, senza grandi movimenti di camera, che lasciano grande spazio alle espressioni degli attori. Attori che, in questo cast, sono veramente bene assortiti: a volti noti e ormai collaudati si affiancano giovani promesse, come Daniele Parisi, che interpreta il protagonista e con questo film è al suo esordio sul grande schermo. Un esordio premiato da un’ottima prestazione e dalle espressioni cariche di significato che gli permettono di interpretare al meglio il ruolo dell’uomo “gettato nel mondo”.
La scelta tecnica più ardua resta comunque quella del bianco e nero. Scelta che premia il regista e tutto il cast, in quanto il grigio predominante fornisce i mezzi per raccontare al meglio una storia grottesca e tragicomica. Il bianco e nero non è altro che la rappresentazione visiva del fischio alle orecchie, di un malessere constante che conduce il protagonista di fronte alla realtà dei fatti.
Tra grandi riflessioni, sguardi incrociati sui mezzi pubblici e camminate per Roma si muove quindi l’uomo del nuovo millennio, che soffre per la sua razionalità, per la sua intelligenza, che ricerca il suo Luigi dentro di sé, ma che trova soltanto sorrisi falsi ed un profondo malessere dal quale forse, un giorno, riuscirà ad uscire.
Il film sarà presentato per la prima volta alla 73° mostra internazionale del Cinema di Venezia nell’ambito di Biennale Collage, che compare fra i produttori del film e che ormai da quattro edizioni si occupa di sostenere e produrre nuovi talenti.
Giuseppe Vignanello
©Riproduzione riservata

Intervista al regista Alessandro Aronadio
Intervista al protagonista Daniele Parisi

ORECCHIE Scritto e diretto da ALESSANDRO ARONADIO con Daniele Parisi, Silvia D’Amico, Pamela Villoresi, Ivan Franek, Rocco Papaleo, Piera Degli Esposti, Milena Vukotic, Andrea Purgatori, Massimo Wertmüller, Niccolò Senni, Francesca Antonelli, Sonia Gessner e Paolo Giovannucci Prodotto da Costanza Coldagelli

CAST ARTISTICO
LUI Daniele Parisi
ALICE Silvia D’Amico
ROSANNA Pamela Villoresi
NIKOLAJ Ivan Franek
GIANCARLO Rocco Papaleo
LA DIRETTRICE DEL GIORNALE Piera Degli Esposti
LA SIGNORA MARINETTI Milena Vukotic
L’OTORINO Andrea Purgatori
IL GASTROENTEROLOGO Massimo Wertmüller
L’IMPIEGATA Francesca Antonelli
IL COMMESSO Niccolò Senni
LA VICINA Sonia Gessner
REMO Paolo Giovannucci
PHILIPPO Re Salvador
SUOR INCATENATA Silvana Bosi
SUOR GERARDA Masaria Colucci
CAST TECNICO
REGIA Alessandro Aronadio
PRODUZIONE Costanza Coldagelli per Matrioska
IN COLLABORAZIONE CON Roma Lazio Film Commission,
Frame by Frame, Rec, Timeline
SOGGETTO Alessandro Aronadio,
Astutillo Smeriglia
SCENEGGIATURA Alessandro Aronadio
con la collaborazione di Valerio Cilio
FOTOGRAFIA Francesco Di Giacomo
MONTAGGIO Roberto Di Tanna
MUSICHE Santi Pulvirenti
SCENOGRAFIA Daniele Frabetti
COSTUMI Ginevra De Carolis
CASTING Gabriella Giannattasio
SOUND DESIGN Marzia Cordò,
Daniela Bassani,
Giancarlo Rutigliano,
Stefano Grosso
SUONO IN PRESA DIRETTA Adriano Di Lorenzo
DURATA 90’
UFFICIO STAMPA ITALIA Carlo Dutto
UFFICIO STAMPA INTERNAZIONALE Biennale College - Cinema


Fattitaliani

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